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Cronaca

"Ero sano, in 48 ore sono finito in terapia intensiva", la lotta contro il Covid di Pacielli. "Proteggetevi e fate attenzione"

Il racconto della voce storica di Radio Effe, che per 43 giorni (13 dei quali in terapia intensiva) è stato ricoverato in ospedale. L'appello agli aretini

"Quando mi sono risvegliato la dottoressa mi ha salutato con voce gioiosa e con uno sguardo solare e mi ha detto: hai dormito per 13 giorni. E' stato un modo delicato per iniziare a spiegarmi cosa era accaduto". Paolo Pacielli, voce storica di Radio Effe, oggi sta meglio. Ha combattutto per 43 lunghi giorni una complessa battaglia: quella contro il Covid. E adesso ha deciso di raccontarla per sensibilizzare gli aretini: "Perché questa malattia esiste, è pericolosa e non va sottovalutata - spiega - . Oggi vorrei lanciare un messaggio: fate attenzione. Prendete sempre tutte le precauzioni, non allentate la presa, perché le conseguenze possono essere davvero drammatiche". 

La storia

La storia di Pacielli è iniziata lo scorso 13 settembre quando, pur essendo in buona salute, ha deciso di fare un tampone a scopo precauzionale. "Il risultato è arrivato il giorno dopo: ero positivo. Io stentavo a crederci, perché stavo bene ed ero sano a tutti gli effetti".

E' scattata così la quarantena, con una raccomandazione da parte dei medici: avvisare non appena si fosse manifestato qualche sintomo. "I dottori dell'Usca nelle ore successive mi hanno chiamato più volte. Il 15 settembre, di domenica, le prime avvisaglie. Ho misurato la febbre: 38,2. Poi alcuni starnuti e sempre nella stessa giornata qualche colpo di tosse. Nulla di più. Ma la mia voce iniziava ad andare via". 

Chi ci ha parlato glielo ha fatto subito notare: la sua voce, quella che via etere da anni gli aretini ascoltano, era cambiata. "Nel pomeriggio di domenica avevo perso quasi il 50 per cento. La sera non parlavo più".  Così in meno di 48 ore Pacielli è passato dal sentirsi bene al chiamare un'ambulanza. I medici lo hanno visitato e hanno constatato che l'ossigenazione del suo sangue non era buona. Così lo hanno portato all'ospedale San Donato e nel reparto Covid sono iniziati ulteriori accertamenti. 

"Ero già in grave carenza di ossigeno - racconta - e i sanitari, con grande professionalità e grande tatto mi hanno spiegato che avevo bisogno di cure". 

Poche ore dopo era sedato e intubato in terapia intensiva. E' iniziata così una lunga battaglia al virus: 13 giorni in terapia intensiva, poi circa 30 giorni di ricovero. 

"Il sistema sanitario ha funzionato - racconta Pacielli - nonostante tutte le difficoltà che porta con sé un'emergenza sanitaria, medici, infermieri e operatori socio sanitari mi hanno sempre prestato attenzione, sono stato curato in modo amorevole. E per questo vorrei ringraziarli di cuore. Nonostante non potessi ricevere visite, non mi hanno mai fatto sentire solo né tantomeno abbandonato. Io li ritengo degli eroi, hanno salvato la vita a me e a tanti altri pazienti".

Il risveglio

Pacielli ha ricostruito tutta la sua storia a posteriori, ricomponendo i vari pezzi come in un puzzle. "Quando mi hanno detto che ero rimasto sedato per 13 giorni ero incredulo - dice - mi hanno spiegato che ero in condizioni serie, che i medici non si sono dati per vinti e hanno intrapreso due diversi interventi di terapia. Poi con gioia mi hanno accolto quando mi sono risvegliato. Il momento più difficile? Quando ho capito che alcune persone, che erano in reparto con me, se ne erano andate per sempre. Allora ho realizzato davvero quanto sia pericolosa questa malattia".

Oggi Pacielli ha riacquistato quasi tutta la sua voce, ma il recupero completo sarà graduale: "Ho cinque tamponi negativi alle spalle - racconta - sono a casa e prendo i medicinali necessari. Pian piano sto tornando alla normalità e ogni giorno apprezzo i piccoli passi verso la guarigione completa. Perché la vita è sacra". 

L'appello

In ospedale con Pacielli c'erano persone di tutte le età, compresi 30enne e cinquantenni. "Questo virus è pericoloso - dice - può colpire chiunque. Io non so come l'ho contratto: penso di aver commesso qualche errore. Eppure sono stato molto, molto attento. Al lavoro, in casa, ovunque. Misuravo la febbre prima di salire sul treno per andare al lavoro, igienizzavo le mani, ho sempre tenuto la mascherina. Al rientro in casa con altrettanto scrupolo, per proteggere mia mamma che è una persona più fragile, ripetevo tutte le operazioni. Per questo dico che le precauzioni non sono mai troppe e mi rivolgo a chi pensa che il Covid non sia una cosa seria: non sottovalutatelo, fate attenzione. Sempre".


 

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