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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Civitella in Val di Chiana / Via dei Laghi

Traffico di rifiuti pericolosi: giro da 21 milioni di euro. L’Antimafia apre un'inchiesta

I controlli sono scattati nelle province di Firenze, Arezzo, Roma, Viterbo, Pisa e Brescia. Perquisizioni effettuate anche all'interno dell'azienda Chimet di Badia al Pino

Sono cinque le persone finite sotto inchiesta. Otto le aziende sottoposte a perquisizione, un laboratorio d’analisi e poi verifiche effettuate anche all’interno di tre realtà operanti nella gestione dei rifiuti speciali, così da valutare il ciclo produttivo e il campionamento dei rifiuti gestiti e delle materie prime secondarie ottenute dal loro recupero. Sono questi parte dei provvedimenti disposti dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Firenze a seguito dell’indagine apertasi e riguardante un presunto traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi. Nelle giornate di martedì 30 e mercoledì 31 maggio, i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Firenze, quelli del Noe di Roma e i reparti dell'Arma territoriale hanno effettuato perquisizioni locali, personali e informatiche in ditte dislocate nelle province di Firenze, Arezzo, Roma, Viterbo, Pisa e Brescia.

I controlli, per quello che concerne l’Aretino, hanno riguardato in particolare la Chimet, realtà industriale di Badia al Pino specializzata nel recupero degli scarti di metalli preziosi.

Stando alla ricostruzione effettuata dagli inquirenti, il traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi avrebbe preso il via nel 2012 e sarebbe andato avanti fino al maggio scorso. In questo tempo circa 84mila tonnellate di scarti sarebbero state avviate al recupero e altre 12mila allo smaltimento “mediante - si legge nella nota della Dda - la declassificazione di rifiuti speciali pericolosi (contenenti sostanze altamente contaminanti), in rifiuti non pericolosi avviati, fino al novembre 2021, al recupero, presso impianti compiacenti e con la predisposizione di documentazione ad hoc, i quali li recuperavano fittiziamente, non essendo autorizzati alla ricezione dei rifiuti pericolosi, facendone perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come materie prime secondarie ad aziende, allo stato terze non indagate, attive nel settore dell'edilizia".

Il tutto, prosegue la nota "con il conseguimento di un ingiusto profitto, al momento quantificabile in almeno 21 milioni di euro, per il solo produttore, derivanti dal risparmio economico ottenuto avviando il rifiuto al recupero, con codice Eer non corretto, con enormi guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni di euro, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage, si è garantita la ricezione dei rifiuti anzidetti, che avrebbero diversamente dovuto essere avviati a impianti autorizzati".

Già nella giornata di ieri, dalla Chimet era stato precisato che la perquisizione effettuata dai carabinieri del Noe sarebbe "l'ennesima verifica riguardante il codice attribuito al rifiuto risultante all'esito del processo di recupero dei metalli preziosi. Nello specifico, il controllo si è incentrato sul conferimento di tale rifiuto, ai fini del suo recupero, a un impianto del Viterbese che si è protratto, sotto il costante controllo di Arpa Toscana e Lazio, Regione Toscana e Regione Lazio, dal 2012 al 2021. L’azienda è fermamente convinta di aver sempre attribuito un corretto codice al rifiuto, in ciò confortata dai sistematici e approfonditi controlli cui è sempre stata sottoposta".

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