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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Psicodialogando

Psicodialogando

A cura di Barbara Fabbroni

Comprendere la sensazione di solitudine e non farsi sopraffare

Essere circondati da persone sbagliate o che pur nella loro presenza fanno sentire soli è peggio della solitudine reale

“Siamo sempre tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non ne è che concubina" (Charles Pierre Baudelaire). Chiunque, prima o poi, nella vita sperimenta questo sentimento così intenso e profondo. È un’emozione che si radica fin nelle viscere coinvolgendo ogni più piccolo spazio della propria anima, dei propri pensieri, del proprio essere nel mondo. In fondo “La solitudine è come una lente d'ingrandimento se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo" (Giacomo Leopardi). Si radica proprio qui il problema: la capacità di vivere bene in solitudine oppure di vivere la solitudine come la peggiore condanna. Tuttavia, anche chi vive bene la solitudine ha bisogno di “qualcuno a cui dire che la solitudine è bella" (Honoré de Balzac), altrimenti che solitudine è?

È tipico associare la solitudine a uno stato d’animo che generalmente ha una declinazione negativa, l’hanno dimostrato nel corso del tempo celebri autori e pensatori attraverso la loro arte che è giunta a noi raccontandoci del loro mondo. C’è anche chi sceglie di vivere una vita in solitudine rifugiandosi lontano dal mondo della vita, cercando come un asceta la coniugazione perfetta con la natura e l’ambiente. C’è chi sostiene che si scelga una vita ascetica perché “quando si è soli nel corpo e nello spirito si ha bisogno di solitudine, e la solitudine genera altra solitudine" (Francis Scott Fitzgerald).

Del resto, lo stare in compagnia non è sempre algoritmo perfetto per la felicità. Essere circondati da persone sbagliate o che pur nella loro presenza fanno sentire soli è peggio della solitudine reale. Quando una persona si sente sola, a volte, desidera solo assecondare un sentimento di malinconia cercando conforto nel mondo esterno per ciò che si prova dentro di sé. Lo si può fare in tanti modi anche se questo stato d’animo può essere dovuto a eventi che si sono susseguiti nella nostra vita oppure a esperienze vissute in età infantile che si sono cementate all’interno di noi costruendo una cortina difensiva attraverso la chiusura al mondo, all’altro. Il sentirsi soli prende una connotazione più ancestrale e diviene uno stato interiore, a prescindere dallo stato sociale: insomma, è possibile sentirsi soli da sposati così come è possibile sperimentare un forte senso di non appartenenza quando all’apparenza si vive in una famiglia unita. Il sentirsi soli è un tema importante che necessita di avere la giusta considerazione laddove questo vissuto è significativo e perdura per lungo tempo nella vita di una persona. Nell’andare a indagare con una persona esperta questa sensazione possono emergere ricordi significativi.

La sensazione di solitudine può derivare da bisogni di accudimento e relazionali rimasti insoddisfatti durante l’infanzia. Queste mancanze si sono poi cristallizzate nella mente e creano delle incongruenze e degli inappagabili bisogni di accudimento e bisogni di appartenenza. Tali bisogni sono inappagabili perché fanno ormai parte del passato, potrebbero essere appagati solo se tu avessi a disposizione una macchina del tempo. Cosa questa che ancora non esiste e non è possibile riavvolgere il tempo vissuto ritrovandosi nel là e allora per poter nuovamente ridefinire il qui e ora. Cosa fare e come farlo se la solitudine è quel qualcosa che si è impossessata della nostra vita?

Per superare la sensazione cronica della solitudine bisogna avere la forza e la volontà di accettare ed elaborare il proprio vissuto. 

Elaborare la carenza affettiva e l’eventuale ferita del rifiuto materno (o della figura di accudimento avuta durante l’infanzia), porterà in seguito a sviluppare un senso di vuoto incolmabile, una solitudine  e un senso di non appartenenza paradossalmente anche se circondata da amore. E allora? Come continuare il cammino nella vita senza avere questa sensazione ingabbiante?

Le ferite dei bambini non amati (o amati in modo disfunzionale) si trasformano in una serie di mancanze che non si percepiscono come tali ma vivono, silenti, nel quotidiano.  Tali mancanze generano ansie, insoddisfazioni, paure, rabbia, rimorsi, senso di solitudine, bassa autostima, senso di inadeguatezza, ma dato che non è facile individuarle diventa difficile porre rimedio ai problemi.

L’unico modo per uscirne è l’accettazione, l’elaborazione, l’auto-affermazione e un profondo lavoro su sé stessi attraverso la consapevolezza delle proprie ferite e al tempo stesso risorse per continuare il viaggio nel mondo della vita. Il primo passo è sempre riconoscere le proprie emozioni, guardarle in faccia, farne consapevolezza e al tempo stesso riconoscere le risorse che ci appartengono affinché diventino punti di forza. Sii te stesso e sarei sempre capace di prenderti per mano e superare ogni momento difficile, anche la solitudine. Poiché: “la solitudine o ci fa ritrovare o ci fa perdere noi stessi" (Roberto Gervaso).

Comprendere la sensazione di solitudine e non farsi sopraffare

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