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Venerdì, 19 Aprile 2024
Psicodialogando

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A cura di Barbara Fabbroni

"Io ho paura". La storia di Agnese e il potere terapeutico del diario narrativo

Agnese (il nome è di fantasia) è una giovane donna, laureata, vive all’interno della famiglia. I genitori sono pensionati e lei è la seconda di tre figli. Il racconto di Barbara Fabbroni

"Io ho paura". Ecco la storia di Agnese e il potere terapeutico del diario narrativo.

Agnese (il nome è di fantasia) è una giovane donna, laureata, vive all’interno della famiglia. I genitori sono pensionati e lei è la seconda di tre figli. La sorella più piccola ha venticinque anni e soffre di crisi di panico dall’età di quattordici anni, è in trattamento farmacologico, il fratello più grande si è allontanato dalla famiglia molto giovane e attualmente lavora all’estero. La madre sin dalla nascita del primo figlio fa ciclicamente cure antidepressive, il padre prende da oltre venti anni ansiolitici; lei non ha mai fatto cure farmacologiche ma è considerata la pecora nera della famiglia, quella particolare e con un carattere difficile.

Il diario narrativo di Agnese mi ha permesso di accedere al suo mondo sommerso con un’attenzione costante e continuativa, inoltre, rappresenta quel ponte di contatto continuativo tra una seduta e l’altra, che per la prima volta fa sentire Agnese accolta e riconosciuta.

Il diario di Agnese

Tante volte ho pianto perché mi sentivo completamente diversa dagli altri e sola, ho sempre pensato che nessuno potesse capirmi per la mia diversità e mi sono sempre sentita sola e impaurita di fronte alla vita, ai suoi eventi, alle persone che popolano il mondo.

Con chi puoi parlare se sei convinta che quello che senti, che provi, che percepisci gli altri non lo provano ma sono pronti a giudicare?

Che i problemi che ti trovi davanti non sono come quelli degli altri?

In questa situazione è impossibile avere una parola di conforto. Tante volte ho sentito il bisogno di parlare a qualcuno del mio problema con gli uomini, delle paure che mi tolgono il respiro e paralizzano il mio corpo, ma sono arrivata solo a provare una profonda vergogna e a sentirmi diversa dall’altro, tant’è che passavano gli anni ed il mio dolore era sempre maggiore. L’unica persona alla quale ho confidato queste paure è stata una mia amica di infanzia, quando l’ho fatto mi sono sentita liberata, mi sono sentita compresa, ho avvertito che il mio problema per la prima volta era stato ascoltato. Nel passare del tempo però, le paure sono rimaste e venivano alimentate ogni qualvolta dovevo pormi di fronte alla vita in maniera adulta, tanto che ho iniziato ad evitare i contatti con i miei amici, con le persone che avevo fino ad allora frequentato, mi sono chiusa in me tormentata dalla paura, dall’angoscia, dal dolore.  

Stasera ho parlato con mia madre. Erano diversi giorni che ero un po’ in agitazione per questa cosa e ho cercato di trovare le mie solite scuse per rimandare, come faccio quando la cosa che devo fare mi preoccupa. Quando sono arrivata a casa lei non stava bene, come capita spesso l’ho trovata a letto così mi sono messa a preparare la cena, ho cenato, ho rimesso a posto e nonostante tutto mi sentivo serena. Ho deciso che poteva essere il momento giusto, eravamo solo io e lei, mi sono sdraiata accanto a lei e le ho detto: - mamma ti voglio raccontare una cosa.

Quando le ho detto che avevo deciso di andare da uno psicologo ha iniziato a piangere e a urlare che lei non aveva colpa, che più di così non poteva fare, che si era sempre sacrificata per tutti, che io non ero mai stata riconoscente che da me non si poteva aspettare nulla di buono.  Inoltre, ha aggiunto: - adesso gli dirai che sino a 10 anni pensavi di essere stata adottata!

Mi è crollato il mondo addosso, ma sono stata capace di tranquillizzarla, di spiegarle, ho cercato di farle capire, poi sono tornata nella mia camera e mi sono sentita assalire dalla paura, il respiro mi mancava, il cuore andava all’impazzata, mi girava la testa, le mani mi sudavano ed io ho pensato che stessi morendo.

Stamani al lavoro ho pianto, ho pianto per il dolore, la tristezza, la rabbia per ieri sera. Mi sentivo nervosissima, agitata, e mi mancava l’aria. Sono rimasta in questo stato tutto il giorno ed è stato durissimo lavorare.

La paura che mi prende quando mi attaccano mi catapulta in un pianto continuo, le lacrime sgorgano dai miei occhi e non riesco a trattenerle mentre il respiro si fa difficile. Anni addietro mi succedeva molto spesso anche con persone estranee, adesso mi capita solo con gli amici o con gli affetti più cari.

Accettare che sei diversa e che le cose non cambieranno è possibile ma con il tempo non riesci più a contenerlo e allora arrivano le emozioni che si impossessano dei pensieri. I pensieri popolano la mente e tolgono la voglia di vivere, di sperare e pensare che le cose possano anche cambiare, quando ti vedi persa cerchi le spiegazioni logiche ma entra la disperazione: - perché proprio a me? Cosa c’è che non va?......- fondamentalmente non sono mai riuscita a spiegarmelo, non riesco a comprendere perché sia popolata di sintomi che mi tolgono la gioia, la serenità, la voglia di costruire e credere nel domani. Con il tempo cambia tutto, anche le lacrime. Quando ero piccola erano lacrime di disperazione, ora spesso sono lacrime di paura e stanchezza. Stanchezza e paura per tutto ciò che è nuovo, per ogni nuovo giorno, per ogni mattina che non ho voglia di alzarmi perché tutti quelli che ho intorno si lamentano sempre, perché non vedo nessuna prospettiva futura. Mi hanno sempre detto che sono una persona particolare e adesso ci credo anch’io tanto che non riesco a trovare nessun stimolo per andare oltre, piccole cose che facciano passare le giornate con senso, perché le mie paure, la mia incapacità di affrontare il nuovo mi blocca e mi terrorizza. Al tempo stesso il dover fare mi spaventa, ho sempre paura di non essere all’altezza. I cambiamenti mi hanno sempre spaventato. Probabilmente è così anche per altri, ma tutto questo per me è destabilizzante ed impaurente. Ora mi sento davvero di annaspare e non concludere niente, ogni sera, se ho un motivo, anche piccolo per chiudermi in casa, sono felice perché uscire, incontrare il mio gruppo mi fa salire l’ansia. Come è sempre stato mi sembra di vivere in un limbo, niente di certo, di definito. Qualche volta vorrei che qualcuno mi dicesse cosa fare, non so, come se fossi accompagnata a sperimentare la vita, perché le responsabilità mi tolgono il respiro. Rispetto ai miei coetanei mi sembra aver iniziato a vivere timidamente con un grande ritardo rispetto a ciò che loro fanno, come se le cose che loro hanno fatto prima io le stessi iniziando a progettare adesso nella mia mente per poi metterle in pratica.

Quando qualcuno mi attacca o mi aggredisce mi vengono in automatico le lacrime agli occhi, il respiro si fa pesante, le mani mi sudano, il cuore inizia a cavalcare veloce. È una cosa che non riesco a controllare, ho anche pensato fosse una reazione chimica o qualcosa del tipo che se pungi un dito con una spina esce del sangue e se pungi me escono le lacrime e il corollario degli altri sintomi, questa mia reazione è avvolta da una totale assenza di controllo. È una cosa che mi fa innervosire, che più cerco di controllare e più mi piomba addosso, ci sono occasioni che tutto vorrei meno che si presentino questi sintomi. Il non controllo anno dopo anno diventa sempre più presente. Anche mia madre ha le lacrime come reazione, per la rabbia, per il nervoso, per la stanchezza. Quando ero piccola ero talmente abituata a vederla piangere che la cosa non mi toccava per niente, oggi mi rendo conto quanto questo invece abbia influenzato sulla mia personalità, sul mio carattere. È una cosa per la quale soffro, mi vergogno, mi sento diversa, tutto questo è cos’ irrazionale tanto che se mi raccontassero questo di un’altra persona non ci troverei nulla di cui vergognarsi, eppure per me non è così. Le mie lacrime, le mie paure, i miei sintomi mi fanno sentire diversa e in quei momenti ho bisogno di sentire che qualcuno mi consola, mi capisce, mi comprende. Piango perché vorrei che almeno una volta qualcuno fosse lì accanto a me consolandomi, offrendomi la sua spalla. Ma non riesco a chiederlo, mi chiudo ancor più in me, mi abbraccio nella mia solitudine e sento quel vuoto assordante. E allora non so nemmeno che lacrime o sintomi siano, se chiedono aiuto e ascolto, consolazione e coccole, se domandano una parola dolce, semplice ma dolce.

Sono lacrime di rabbia o sintomi che gridano il loro bisogno di essere riconosciuta?

Per tanti anni mi sono sentita diversa dagli altri e nello specifico diversa stava per sbagliata. Pensavo che nessuno potesse capire la mia situazione, ero convinta che i miei pensieri, le mie paure, i miei giri mentali fossero talmente diversi da quelli della gente normale. Della gente che sembra non fare nessuna fatica e non avere nessun problema. Come me nessuno, e come me significa sentirsi soli, a volte talmente tanto soli da essere disperati. È strano come si alternino in me sensazioni contrastanti, a volte, questa mia convinzione di non essere come gli altri mi fa sentire quasi bene, orgogliosa di non accomunarmi alla massa, altre volte completamente inadeguata e incompatibile con tutto. Quando mi aggrediscono la mia prima e incontrollabile reazione è di piangere, anche se mi sento di aver ragione e di essere in grado di argomentare, io piango. A volte ho pensato che queste lacrime fossero un freno alle parole: come se qualcosa mi impedisse di parlare e di dire veramente quello che penso veramente perché mi prende la paura che se dico come vedo le cose, loro non mi vogliono più. Sono poche le persone con le quali non ho questa paura. Devo proprio arrivare a livelli di insofferenza alti perché possa parlare liberamente. Magari succede che sopporto cose, situazioni, atteggiamenti che non condivido per molto tempo e finisco poi per sentirmi io la sbagliata ed in colpa per non capire abbastanza, così che sbotto e mi metto in una posizione criticabile perché fino a quel momento non avevo detto nulla.

A volte credo che la parola amore, in tutte le sue forme ed espressioni, sia inflazionata, o comunque usata con troppa facilità. Se si analizza bene quello che abbiamo intorno è facile accorgersi che molte persone stanno insieme ma non sanno bene perché, di certo non per amore. Molte coppie, molti rapporti familiari non sono felici, ma è molto più facile continuare a stare insieme che lasciarsi, perché questo significherebbe mettersi in discussione, affrontare i problemi personali, le paure; quindi, sofferenza e la sofferenza è una cosa che tutti   cercano di scansare. A nessuno piace soffrire, stare male, ma senza conoscere per bene il dolore credo che nella vita manchi qualcosa, un individuo non può essere completo. Credo che la prima cosa sia importante stare bene con sé stessi, se una persona non sta bene anche da sola non è possibile essere felici insieme ad altri. Mi spaventano le persone che si accontentano, le persone che si annullano completamente, che vivono in funzione dell’altro ed alla fine la tragedia perché se tutta la vita, tutta la giornata ruota intorno a qualcuno ed improvvisamente te lo tolgono impazzisci e è difficile trovare una sostituzione. Questo mi spaventa e il fatto di conoscere tante persone così mi spaventa ancora di più, sarebbe meglio si fermassero un attimo a pensare, ma quasi nessuno lo fa, troppa fatica e troppo dolore. A volte sento la necessità di stare sola perché così non avrò mai paura di ritrovarmi sola.

Le cose in me stanno cambiando, sento che il mio pensiero, le voci sorde della mia mente stanno lasciando posto a qualcosa di nuovo, che a volte mi fa paura, ma che sento accogliente e cerco di sperimentarlo. Ogni volta che scrivo e percorro le tappe del mie essere nel mondo, delle mie emozioni in relazione all’altro mi viene in mente mia madre, una donna che ancora devo incontrare, che conosco solo attraverso le sue lacrime, i suoi silenzi, le sue giornate tristi e malinconiche passate a letto con noi bambini che dovevamo stare in perfetto silenzio. Ripenso a quando bambina cercavo un sorriso, una carezza, una parola ma trovavo solo un muro di gelo che, come un gigante, mi guardava dall’alto e mi chiudeva la gola. E vedo una bambina con un viso bagnato di lacrime e incapace di parlare e dire, ma sola pronta a fare. Stasera parlavo con mio padre, è strano come a volte nell’ambito di una famiglia, i vari componenti siano persone che, se non fossero legate da una parentela, magari non si sarebbero mai frequentate, magari non si sarebbero mai conosciute. I genitori sono l’unico punto fermo che hai nella vita e crescendo i sentimenti che provi nei loro confronti maturano: ad una certa età, quando sei adulto, incominci ad amarli di un amore diverso, direi di un affetto riconoscitivo, incominci a vederli con i loro difetti, a renderli umani, allora inizi a prenderti cura di te.

C’è qualcosa che non mi torna, mi sento un po’ confusa e soprattutto mi sento presa in giro dal mondo intero. Sono stanca di tutte queste situazioni imbarazzanti, di tutte le mie fughe dalla vita, sono stanca di permettere al mondo di trattarmi così, c’è qualcuno che si è mai domandato di cosa ho bisogno? Qual è la cosa che desidero?

Mi sento sempre messa in discussione e poi arriva la paura in sottofondo latente e dilaniante.

In me stanno avvenendo dei cambiamenti, le persone si accorgono di questo e arrivano anche dei complimenti, riesco ad uscire di più e raramente mi chiudo in casa. Riesco a farmi rispettare e la paura se sale è in maniera più lieve e gestibile. A volte mi sento felice e questa cosa mi fa tanta tanta tenerezza. Sono contenta di me, non ho quasi più l’ansia, non ho angoscia e la paura è quasi sparita. Sono soddisfatta di essermi rispettata, di aver reagito ad una situazione senza pensare prima agli altri e poi a me. Sul momento sono rimasta turbata ma ora contrariamente a tante volte non sono qui a chiedermi se ho sbagliato e cosa pensano tutti gli altri. Di sicuro ho smesso di sentirmi in colpa.

Stasera mi va di scrivere e mi va di farlo perché è successa una cosa che mi ha messo di buon umore. Oggi ho parlato con mia madre e anche se la cosa è iniziata nel peggiore dei modi, alla fine ci siamo addirittura abbracciate (solo scriverlo mi sembra strano). Erano diversi giorni che la vedevo nervosa, che mi rispondeva male e mi parlava poco, poi è esplosa, ha iniziato con le solite prediche sulla precisione, su quello che non faccio, sulla mia assicurazione pagata da lei, sulla mancanza di rispetto verso di lei, il mio menefreghismo, il fatto che io non parlo e tante altre cose. Mi sono sentita di rassicurarla, e in quel momento sentivo che mi rassicuravo. Abbiamo pianto tutte e due, e questo non è mai successo, ma la cosa stupefacente è che lei mi ha dato un bacio. Ci siamo anche abbracciate e per me è stata una sensazione fortissima. Mi sentivo felice e per la prima volta avevo incontrato mia madre. Sembra strano abbracciare la propria madre dovrebbe essere la cosa più normale del mondo, ma finora per me non lo è mai stato. Sono contenta.

Come sono cambiate le cose, non ho più paura, non mi sento più delusa da me, non provo più quella insoddisfazione per le mie paure e le mie debolezze, ora capisco che ero impaurita. Non arrivo più a quei punti in cui mi sentivo delusa dagli altri perché io c’ero sempre e loro no, sono più tranquilla, più in contatto con me. Senza Barbara, senza il mio percorso credo che non sarei mai stata capace di provare e di scrivere queste cose, mentre le scrivo percepisco le emozioni, sento il mio corpo che parla e che chiede aiuto, riconoscimento, presenza, contatto, nutrimento. A volte sento fatica di scrivere, ma quando mi sforzo di farlo dopo mi sento bene.

Sto sorridendo da sola, anzi con me.

"Io ho paura". La storia di Agnese e il potere terapeutico del diario narrativo

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