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Psicodialogando

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A cura di Barbara Fabbroni

L'origine dell'ansia

Un approfondimento della psicoterapeuta Barbara Fabbroni

Durante il percorso della storia dell’umanità, in molti hanno cercato e tutt’ora cercano di risalire all’esperienza originaria dell’ansia. Psicologi, storici, filosofi ma anche teorici di storia della medicina hanno cercato di comprendere in profondità questo fenomeno psicofisico e gran parte di loro concordano nel far iniziare la situazione psicologica di ansia/angoscia nell’essere umano già ai tempi di Adamo ed Eva.

Come possiamo apprendere dall’etimologia, la parola panico deriva dal nome di Pan, una divinità della mitologia greca, che induceva un improvviso e intenso stato di terrore nei viandanti. Agile e furbo, si arrampicava sulle rocce, si nascondeva sui cespugli dove aspettava le sue prede o si riposava nel meriggio, l’ora più calda e insidiosa nella campagna. Al Dio venivano attribuiti i rumori di origine inesplicabile che venivano uditi la notte e dalla paura che esso causava è derivato il detto timor panico. Tuttavia, la mitologia è ricca di racconti relativi al dio Pan, infatti, in un altro mito Pan sarebbe il frutto di una relazione tra Penelope, moglie di Odisseo, ed uno dei suoi innumerevoli pretendenti. Inoltre, la duplice natura umana e divina di Pan, è segno di un “mysterium tremendum”, ovvero, il sentimento di questa creatura è il sentimento di chi affonda nella propria nullità, che scompare al cospetto di ciò che sovrasta ogni creatura.

Così che, fin dai tempi dell’antica Grecia, il timor panico è stato descritto come un disturbo che provocava paure irragionevoli in soggetti sani di mente.  Un’esperienza terribile e meravigliosa dove il contatto con il sovrannaturale è panolessia, ovvero, possessione dell’uomo da parte del dio che lo aliena e gli fa perdere le caratteristiche umane, lasciandolo in preda alle forze animali.

Ippocrate di Coos, fu colui che dette una prima definizione medica del timor panico. Egli, separando la medicina dalla religione, dalla magia e dalla filosofia, ne fece scienza a sé stante orientandola poi nei vari suoi settori. Secondo Ippocrate la malattia e la salute avevano ben poca attinenza con il mondo degli Dei: esse non erano per nulla punizioni o doni, quanto piuttosto il risultato di determinate circostanze del tutto umane. Egli riteneva che il medico dovesse essere un osservatore dei segni della malattia, poiché, il suo compito era semplicemente quello di aiutare la natura nel suo atto di guarigione. Nella scuola ippocratica la malattia si definiva dai sintomi e dalle regole della sua evoluzione, essa è una concatenazione in cui ogni fatto ha la sua ragione in quello precedente. Tant’è che, i segni ed i sintomi manifesti della malattia rimandano ad un danno funzionale o strutturale dell’organismo. A ragion di questo, Ippocrate fu il primo ad interpretare l’ansia come segno di una malattia organica, al contrario del mondo romano dove era considerata già come un qualcosa di psichico e fisico insieme.

Nel mondo greco, l’ansia, veniva chiamata melanconia e la si faceva derivare dalla bile nera, secondo la teoria pitagorica dei quattro umori. Lo stesso Ippocrate sosteneva che la melanconia derivava da uno squilibrio degli elementi terra, acqua, fuoco, aria, nonché, degli umori sangue, bile e flemma.  I rimedi per la melanconia erano vivere alla luce, non mangiare pesante, bagni, moto, ginnastica ed in seguito, anche musicoterapica. Non a caso, Apollo era dio della musica e della medicina, a seguito del magico legame tra le due arti.

Una svolta decisiva allo studio di questa sindrome è dovuta al pensiero di Rufo di Efeso, della tradizione galenica, che ne dà un’interpretazione più legata all’aspetto psicologico che organico. Vede infatti, nell’eccesso di immaginazione e di attività intellettuale le possibili cause per una degenerazione patologica.

Aristotele, il primo psicologo della storia, indagando nei Problemi sul rapporto tra vino e condizione dell’uomo deduce che ansia, malattie melanconiche, angoscia e depressione sono manifestazione derivanti dalla bile nera. Tanto da ritenere che l’effetto del vino è meno duraturo di quello della bile nera e, anzi, può portare anche all’allegria, quindi, essere un rimedio all’ansia.

Tuttavia, se volgiamo ulteriormente uno sguardo attento al percorso storico dell’ansia è possibile osservare come l’età dell’ansia per eccellenza sia stato senz’altro il Medioevo. In questo periodo storico è facile ipotizzare come le ansie potevano essere legate all’effettivo rischio di malattia, soprattutto tubercolosi, lebbra, e peste. Inoltre, le invasioni barbariche, le guerre civili e le lotte contro gli infedeli creavano uno stato di angoscia all’interno degli individui per la costante precarietà della loro vita.

Un altro aspetto fondamentale che ha certamente incrementato ed alimentato un comportamento ansioso può essere quello che intorno all’anno Mille sopraggiunse la paura della fine del mondo, il terrore per tutto ciò che è peccato, e le superstizioni giocarono un ruolo importante di circolo vizioso che conduceva ad una credenza che si autoavverava, attraverso un immaginario ipnotico collettivo. In quel periodo storico, l’ansia viene interpretata sia come malattia mentale che dello spirito, tanto che la religione sembra assumere un aspetto importante e viene considerata come l’unica via di cura. Ma anche i vecchi rimedi continuano ad essere utilizzati, integrati con le conoscenze arabe, come apposite pietre preziose con benefici influssi.

Avicenna, autorità indiscussa per secoli in campo medico, associa lo stato d’ansia ad altre malattie, propone allora cure a base di salasso e, un metodo molto in voga a quei tempi, sedute di altalena, per rallegrare il malato.

Nei monasteri, inoltre, c’erano orti per coltivare apposite piante ed iniziavano a formarsi raccolte di droghe che permettevano una cura a questi disturbi. In questo periodo storico era abbastanza consueto associare le malattie mentali a possessioni demoniache, all’interno delle quali, veniva costruito un immaginario suggestivo che rinchiudeva i soggetti sofferenti in un circolo vizioso senza via d’uscita.

Paracelso, medico e ricercatore esoterico, associava alle stelle le malattie mentali. Per lui gli astri avevano una corrispondenza sulle passioni umane; considerava Saturno il pianeta che influenzava l’umore malinconico. Paracelso nel trattamento dell’isteria usava la calamita, mentre per le malattie di origine ansiogena diffuse l’uso del laudano e dell’etere come calmanti e sedativi.

Gian Battista Della Porta consigliava, per i disturbi mentali, la noce, in quanto, riteneva che il mallo fosse simile ai tegumenti del cranio, l’endocarpo alle meningi e il gheriglio ai due emisferi cerebrali.

In questo periodo storico si iniziò a diffondere un’altra tecnica di cura delle malattie mentali, come docce fredde per rinfrescare le idee, associate a bagni caldi, tecniche che erano ritenute capaci di ottenere nell’individuo malato l’effetto di inumidire ed ammorbidire le fibre nervose disseccate. Nell’Illuminismo pur sviluppandosi la ricerca medico biologica, sono ancora in uso vecchi sistemi di intervento sul malato come i decotti, i salassi, l’oppio e le pietre preziose.

Il filosofo francese Denis Diderot, nel ‘700, formulò la prima distinzione tra ansia e malinconia. L’ansia verrà così associata al concetto di angoscia, che è figlia della paura, tanto da rimanere tradotta con la stessa parola in lingue come il tedesco (Angt) e l’inglese (Anxiety).

Nell’800, i disturbi nervosi, come ansia ed isteria, erano ancora affidati alle cure termali in cui si facevano bagni caldi, vapori e, soprattutto ci si riposava dal lavoro. Tanto che, la cura del riposo a letto, sembra essere un trattamento adeguato unito all’isolamento, ad una dieta a base di latte, a trattamenti come l’elettroterapia e i massaggi. Tuttavia, benché le manifestazioni acute di angoscia siano conosciute fin dall’antichità, l’individuazione del panico e la sua descrizione clinica è un fenomeno abbastanza recente e risale a studi quasi contemporanei della nascente psicologia di fine Ottocento. In questo periodo storico, l’ansia viene studiata all’interno di tre distinti percorsi di ricerca: psicologico, biologico ed economico sociale. La scienza medica ha osservato che la sensazione di paura mette in moto nel corpo tutta una serie di meccanismi fisiologici. È un vissuto che nella forma più estrema diventa angoscia, tanto da trarre le sue radici da qualcosa di profondo che nasce all’interno dell’individuo.

Attualmente, nel linguaggio psicologico, quando viene descritto un episodio di nevrosi legato ad un ansia acuta, lo si identifica come quel sintomo caratterizzato da tensione emotiva e terrore intollerabile, che può scatenarsi in un individuo che si sente posto di fronte ad un senso di pericolo inaspettato ed immotivato o quanto meno sproporzionato alla situazione concreta, tanto che il soggetto cade in uno stato di confusione ideomotoria, caratterizzata per lo più da comportamenti irrazionali. In psicanalisi queste sensazioni, legate alla paura e all’ansia, un tempo chiamate timor panico o terror panico, furono interpretate da Freud come manifestazioni di nevrosi legate alla repressione della sessualità, mentre per Hillman, che riconduce il panico alla paura dell’istintualità animale, che avrebbe in Pan, il dio/capro, la sua espressione mitologica, rappresentano piuttosto la paura che l’uomo civilizzato ha della libera istintualità animale; infatti, fu il primo medico a descrivere in modo dettagliato l’esperienza del panico all’interno delle nevrosi d’ansia.

Come è stato possibile osservare dalla letteratura storica, che è stata argomentata, e che ancora oggi è presente all’interno dei vari trattati, la paura, l’angoscia e l’ansia, rimandano ad un’esperienza a carattere marcatamente negativo, spiacevole, qualcosa che l’individuo non si augura e che può solo subire, tanto da essere un sentimento che almeno una volta ogni essere umano ha vissuto.

Dal breve percorso storico emerge che è una sensazione già presente in tempi antichi, un meccanismo di reazione di fronte ad una situazione di pericolo, in quanto pur essendo utile alla sopravvivenza, perché costringe l’essere umano a stare attento e a essere prudente in situazioni di emergenza, può divenire e acquisire un carattere disfunzionale nel momento in cui il soggetto sperimenta una perdita di controllo emozionale e fisica. Nessuno al mondo, almeno una volta nella vita, riesce a sottrarsi a questa emozione particolare che va sotto il nome di paura.

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