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Psicodialogando

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A cura di Barbara Fabbroni

I 9 passi da compiere per gestire l'abbandono e la fine della relazione

I consigli della psicoterapeuta Barbara Fabbroni: "Non inquinare il positivo vissuto. Dobbiamo avere la capacità di non far travolgere tutto dallo tsunami dell’addio"

Non credo possa esistere un manuale per gestire bene l’abbandono; è un’esperienza di vita tutta personale che dipende dal proprio vissuto. Essere abbandonati è una paura antica quanto l’uomo, un timore che affligge le persone a tutte le età. Quest’esperienza crea un disagio intenso che condiziona la vita affettiva e relazionale dell’individuo. Definire una linea per gestire bene un abbandono diventa cosa impossibile.

Rimanere soli crea paura e smarrimento, produce meccanismi di difesa per non sentire il dolore. Nella nostra società, un aiuto contro lo spettro della solitudine è portato dalla modalità on-line: dovunque ci si trovi, la rete crea l’illusione di una presenza non-presenza che apparentemente cura la solitudine. Mai essere off-line, pena la mancanza di contatto con la rete infinita di utenti “amici” e l’illusione di restare in contatto con i follower che seguono il profilo.

Nelle relazioni affettive la costante e incessante paura di poter perdere una persona significativa, rimanendo privi di qualsiasi legame, può rendere la vita un vero inferno, tanto da viverlo come la caduta nel baratro.

La convinzione di essere abbandonati si traduce ed evidenzia nelle relazioni affettive, esasperando le manifestazioni emotive più semplici, mettendo in atto una serie di comportamenti che, anziché portare all’avvicinamento della persona amata, inevitabilmente la allontanano. È una trappola affettiva che logora le relazioni, non solo quelle amorose, ma anche quelle amicali.

Ci sono coppie che si lasciano per certi periodi incontrando altri partner per poi riavvicinarsi.

Tuttavia, molte relazioni naufragano proprio perché uno dei due ha in sé la paura di essere abbandonato. Così crea situazioni che conducono a ingabbiare la coppia e l’unica possibilità per sentirsi liberi è scappare.

Alla base di questa modalità comportamentale c’è un’esperienza e un vissuto infantile dove il trauma si è originato, dando vita a un meccanismo di difesa che, invece di proteggere, crea più lontananza.

Per cui una relazione che termina genera sofferenza, se non per entrambi almeno per uno della coppia. Saper gestire la fine di una convivenza è pertanto faticoso e al tempo stesso interessa una moltitudine di emozioni di cui non è poi così facile prendersi cura.

Come e cosa fare per uscire da questa landa di dolore?

Sulle separazioni si è scritto tutto e il contrario di tutto, ma resta una variabile importante che si presenta sempre: il conflitto!

C’è sempre un’ostilità di fondo anche nelle separazioni apparentemente tranquille.

Come fa una separazione a non produrre dolore e solitudine?

È un distacco da qualcosa che è stato e non sarà più, perciò non può essere vissuta con superficialità.

Sono convinta che anche la persona più fredda e cinica viva l’esperienza della separazione come un evento forte e difficile.

Quali consigli dare a chi deve affrontare un momento così importante? Quale strategia è possibile mettere in atto per creare un terreno collaborativo? Come comportarsi di fronte all’aggressività del partner che non accetta la separazione? Esistono consigli omologabili per tutti come se fosse un vademecum da seguire?

È vero che una buona separazione dipende dalla tipologia di coppia che si era formata?

La cosa importante, dal mio punto di vista, da tener presente in questo caso o in un evento abbandonico senza preavviso, è non inquinare il positivo che abbiamo vissuto. Dobbiamo avere la capacità di non far travolgere tutto nello tsunami dell’addio. Ci saranno pure stati momenti significativi ed emozionanti.

Quindi, l’unico consiglio è: “salva il passato positivo”. Tutto quello che accadrà sarà frutto dell’esperienza individuale e del vissuto della persona che spesso porta in sé sospesi antichi significativi.

BARBARA FABBRONI

Barbara Fabbroni

Per non giungere a creare un clima invivibile, è necessario fare un’attenta riflessione su di sé e sulla relazione che è stata cercando di individuare i punti di incrinatura.

Quindi:

  1. Individuare le emozioni che hanno il sopravvento nel momento dell’abbandono.
  2. Riflettere sul passato.
  3. Mai rifugiarsi nella solitudine.
  4. Evitare partner instabili o poco desiderosi di impegnarsi in una relazione, anche se suscitano attrazione.
  5. Cercare di ritagliare momenti per sé che diano serenità.
  6. Individuare i punti di forza che si possiedono come risorsa e stimolarli.
  7. Fare nuove amicizie.
  8. Prendersi cura di sé.
  9. Non dimenticare mai di sorridere, è fondamentale.

Di fronte all’esperienza di un abbandono è importante diventare consapevoli del proprio disagio facendo emergere emozioni, sentimenti, pensieri e riflessioni, al fine di elaborarli in maniera funzionale e trovare così un’ulteriore via da percorrere.

Uno dei rischi che le persone corrono è quello di creare una dipendenza affettiva per paura di essere abbandonati. Alla base di questo ci sono due bisogni:

Avere una guida, una base sicura su cui appoggiarsi.

Nutrire la gratificazione, sentirsi sostenuti e avere qualcuno che sappia contenere l’implosione emotiva.

Le persone che sviluppano una dipendenza dall’altro per paura di rimanere sole sono alla ricerca continua di:

  • Approvazione.
  • Sottomissione.
  • Auto-sacrificio.
  • Riconoscimento.

 È normale che tutto ciò conduca a uno sbilanciamento della coppia.

 Bisogna sempre ricordarsi che l’amore deve dare gioia e serenità, tranquillità e progetto, non può essere vissuto come una lama tagliente che fende laddove non c’è scambio. In amore non ci sono vincitori, né vinti ma solo due individui che cercano una base sicura per creare un progetto di vita nutritivo e soddisfacente.

Tante volte siamo noi stessi ad abbandonarci quando siamo rapiti dalla sete narcisistica di essere sempre sotto lo sguardo dell’altro, senza pensare che non si è nulla senza una presenza autentica vicino.

L’unico paracadute per la paura di essere abbandonati è trovare sé stessi.

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