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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Redazione

La filosofia in carcere, straordinaria esperienza da ripetere

In una sala disadorna, dal soffitto basso e l'acustica men che decente, ho assistito ieri, insieme a diverse decine di altri aretini, a un incontro spettacolo dedicato  a riflessioni filosofiche e alla musica, ma sopratutto alle parole, di...

In una sala disadorna, dal soffitto basso e l'acustica men che decente, ho assistito ieri, insieme a diverse decine di altri aretini, a un incontro spettacolo dedicato a riflessioni filosofiche e alla musica, ma sopratutto alle parole, di Fabrizio de André. Tutto questo, per quanto interessante, non sarebbe stato così straordinario se non si fosse svolto all'interno del carcere di Arezzo e con la partecipazione attiva di un gruppo di detenuti.

Ho trovato tutto molto semplice, della massima sobrietà, eppure ho provato insieme agli altri una grande emozione. La lettura di alcune brevissime, ma intense riflessioni degli ospiti della nostra casa circondariale, stimolate da parole chiave come gioia, dolore e utopia, ha in qualche misura spiazzato e colpito gli intervenuti. La presenza dei detenuti, che hanno commentato quelle parole e le loro possibili declinazioni, ha fatto toccare momenti alti in un ambiente in cui non ci si aspetta che possa/debba accadere.

Tutto questo, insieme agli intermezzi dedicati a canzoni di alto valore intellettuale e pure filosofico, ha fatto sì che l'atmosfera, in quella sala spoglia, diventasse magica nel giro di pochi minuti.

Purtroppo in un carcere certe cose si possono fare soltanto a inviti e per un numero ristretto di spettatori, ma il solo fatto che dei detenuti abbiano potuto esprimere in pubblico il risultato del loro lavoro di gruppo (e personale) è stato avvertito dai presenti come qualcosa di straordinario e molto vicino alla filosofia della detenzione che deve tendere al recupero della piena dignità e alla riabilitazione/reintegrazione di chi ha sbagliato.

E' grazie ad iniziative come quella messa in piedi dall'impagabile Simone Zacchini, insegnante di filosofia dell'Università di Siena, che si può immaginare un percorso di analisi interiore capace davvero di arricchire le vite dei detenuti e di chi gli è familiare o amico, o semplicemente li incontra.

Il punto di partenza spesso non è alto, per via delle più varie circostanze ed esperienze di vita, ma ieri chi era presente ha chiaramente compreso come la filosofia, con la sua semplice complessità possa ancora, come sempre, avere una forza dirompente sulle vite di chiunque, detenuti compresi.

Vedere quanto gli ospiti del carcere tenessero a quell'incontro e come si siano aperti di fronte a un pubblico certo sensibile al tema, ma poco preparato a vederlo trattare in quell'ambiente e in quei termini, è stato qualcosa di straordinario, addirittura commovente.

Si può fare, quindi; si può parlare di filosofia con chiunque e dovunque, senza che questo suoni "strano" o "poco accessibile". Certo, la presenza di un esperto capace di stimolare le riflessioni è necessaria, ma alla fine non c'è nulla di più semplice e vero rispetto al porsi delle domande e cercare di dar loro delle risposte (senza sfuggirle per paura o inutile modestia).

Esperienza interessantissima e da ripetere, quindi, quella di ieri pomeriggio e del laboratorio di idee che l'ha generata.

Grazie di cuore, in particolare, alla dirigente del dipartimento aretino dell'Università di Siena (Loretta Fabbri) e alla direzione della casa circondariale di Arezzo (Paolo Basco), per aver permesso che l'idea di Simone Zacchini potesse diventare realtà, anche perché da un'ora e mezza di musica e parole siamo usciti tutti più ricchi, e nemmeno di poco.

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