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Interessante contributo sul centro storico di Arezzo

Franco Lani, architetto aretino già assessore comunale e tra l'altro progettista della ricostruzione del Palazzo della Fonte,di fronte alla Pieve di Santa Maria, mi ha inviato le riflessioni che seguono, riguardanti il centro storico di Arezzo...

Franco Lani, architetto aretino già assessore comunale e tra l'altro progettista della ricostruzione del Palazzo della Fonte,di fronte alla Pieve di Santa Maria, mi ha inviato le riflessioni che seguono, riguardanti il centro storico di Arezzo. Ritenendole notevolmente interessanti, le metto volentieri a disposizione dei lettori di Arezzo Notizie e dell'amministrazione cittadina.

Un pericolo per il futuro del nostro Centro Storico

Intorno agli anni ’70 anche per merito di alcuni architetti, urbanisti, politici ed intellettuali, si formò in Italia, in pieno boom edilizio, l’idea che bisognava rinunciare alla continua espansione edilizia delle nostre città per dedicarsi al recupero dell’esistente ed in particolar modo a quello dei Centri Storici. I principali teorici di questo nuovo modo di concepire lo sviluppo urbano furono gli architetti e Amministratori del Comune di Bologna, che con l’adozione del famoso Piano di recupero del Centro Storico, misero in atto quelle che, fino ad allora erano solo idee e teorie. Schematizzando si può dire che tre erano gli obbiettivi da raggiungere con questo nuovo approccio urbanistico. Il primo era di carattere “culturale”: si sarebbe infatti recuperato e finalmente manutenuto non solo i monumenti ed i complessi storici-artisti dei nostri Centri Storici, ma anche il loro tessuto urbano, la loro originaria edilizia, la loro morfologia, insomma la loro identità. Il secondo obbiettivo era di carattere “sociale”: recuperare, risanare ed adeguare alle esigenze moderne le parti più antiche e spesso degradate della città voleva anche dire impedire l’esodo, più o meno“forzato”, verso le nuove aree periferiche di quei residenti (spesso anziani e meno abbienti) che da tempo abitavano la città antica .Il terzo era di carattere “politico-economico”: così facendo si sarebbe contrastato la rendita fondiaria, che molto incideva (ed incide) sui prezzi degli immobili, rendita alimentata dai cambi di destinazione dei terreni che passavano con frequenza da agricoli ad edificatori. Contemporaneamente si sarebbe ottenuto anche un minor consumo di suolo e forti risparmi per le nuove urbanizzazioni non più necessarie.

Nei decenni successivi questi criteri “strategici” sono stati ben accettati e condivisi da buona parte della cultura urbanistica italiana ed in questo senso si è proceduto ad integrare i Piani urbanistici di molte città. I risultati sono stati però quasi sempre parziali: mentre infatti siamo riusciti se non a recuperare integralmente ma almeno ad impedire l’ulteriore degrado del patrimonio edilizio esistente ed a far riemergere le qualità perdute delle zone residenziali più antiche, dobbiamo costatare che la

rendita fondiaria e la speculazione edilizia hanno seguitato a costituire la spinta principale della continua espansione urbana.

Ci voleva l’attuale crisi edilizia, che ha messo in evidenza le difficoltà del mercato immobiliare ad assorbire l’enorme costruito perché ci si accorgesse, almeno a parole, dell’enorme “consumo di suolo” compiuto negli anni passati. E finalmente si considera il riuso dell’esistente, il recupero dei Centri Storici e la riqualificazione urbana come le uniche pratiche possibili.

Anche il Comune di Arezzo ha, negli ultimi decenni del secolo scorso, rinnovato ed adeguato gli strumenti urbanistici a questi criteri, ponendo l’attenzione in particolare al Centro Storico con l’adozione di uno specifico Piano Particolareggiato. C’è da dire che la parte murata della nostra città non presentava particolari zone degradate: è sempre stata sufficientemente abitata ed ha svolto ininterrottamente il ruolo di “Centro” dell’intera città. Credo che se il nostro Centro Storico è ancora oggi integro ed efficiente sia da attribuire al fatto che fortunatamente la funzione residenziale, quella culturale, le attività terziarie e direzionarli e la funzione civile che esso svolge siano tra loro opportunamente “miscelate”ed integrate in modo tale che la città possa ancora conservare la propria identità storica. Il compito che abbiamo quindi è quello di mantenere in equilibrio questo mix di funzioni con un attento programma di interventi e mantenendo e/o modificando opportunamente le destinazioni d’uso del costruito. Se non si opera in questo senso il Centro Storico rischia di svolgere in futuro solo attività monofunzionali: diventare cioè o quartiere residenziale, o centro commerciale-, o città per i turisti.

Questo pericolo sembra paradossalmente derivare ad Arezzo più da una incomprensiva “politica immobiliare” delle pubbliche istituzioni e amministrazioni ( proprietarie di numerosi immobili all’interno della città antica) che dalle attività commerciali e direzionali svolte da privati. Infatti, pur con le difficoltà dovute all’attuale crisi economica, il commercio di qualità ed il terziario in genere trovano ancora “confacente” e quasi “necessario” svolgere la loro attività all’interno del Centro Storico, mentre le sedi di molte attività pubbliche vengono spostate continuamente all’interno della città, come il giuoco “dei quattro cantoni”, spesso senza considerare l’impatto ed i dissesti ambientali che queste operazioni comportano. Molti e deleteri purtroppo sono stati i trasferimenti di attività pubbliche avvenute nel recente passato. Si pensi solo a titolo di esempio

all’impoverimento della città antica, anche culturale, per i continui trasferimenti nelle nuove aree urbane di scuole ed attività per la formazione, o cosa abbia comportato la chiusura e la concentrazione in una area extraurbana di tutti i cinema “storici”. Queste vicende ci devono insegnare che bisogna cambiare modo nel gestire il patrimonio edilizio pubblico, ricercando momenti di concertazione tra gli enti ma nel rispetto di una programmazione urbanistica condivisa che salvaguardi la nostra città antica. Questo atteggiamento è particolarmente necessario in un periodo, come questo, in cui incerto si presenta il futuro e la destinazione di numerosi edifici pubblici (taluni di grande prestigio e recentemente ristrutturati) per la dismissione o il trasferimento delle attività che li hanno fin’ora caratterizzati, con conseguenti traumi nell’ambiente urbano. Senza entrare nel merito, elenco solo i contenitori di proprietà pubblica che alla data odierna sono inutilizzati e/ o stanno per essere dismessi senza che si sia provveduto ad individuarne nuove destinazioni:

  • Palazzo ’“Ex Banca d’Italia” in Via Cesalpino- Proprietà del Comune
  • Palazzo Carbonati (ex Procura) in via Albergotti-Proprietà del Comune
  • Palazzo ex Uffici Comunali in via Albergotti. Proprietà del Comune
  • Palazzo Fossombroni in Piazza S.Domenico .Proprietà del Comune
  • Palazzo della Provincia . (esuberante per revoca di molte competenze)
  • Caserma Piave- Via Garibaldi (adiacente alle carceri-inutilizzata) - proprietà Ministero dei Beni culturali
  • “Casa del Clero” in Via xxsettembre- proprietà Curia Vescovile
  • “Palazzo dei Giudici” ( ex sede Fraternita dei Laici) in Via Ricasoli- proprietà Fraternita.
  • Ex caserma Ceccherelli in Via Garibaldi- Proprietà Comune.
  • Palazzo ex Carabinieri-Provincia in via S.Lorentino-proprietà Inarcassa.

Da questo elenco, seppur parziale, emerge con chiarezza che molte ed importanti attività di carattere pubblico sono scomparse o si sono spostate dal Centro Storico verso la parte nuova della città senza che siano state individuate nuove funzioni sostitutive con il pericolo di compromettere definitivamente il ruolo di “centro” che la parte antica della città ha da sempre esercitato nel territorio aretino. Franco Lani- Arezzo 2016
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