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A cura di Lucrezia Lombardo

Lucrezia Lombardo nasce ad Arezzo nel 1987. Dopo la maturità classica si laurea, con il massimo dei voti, in Scienze filosofiche a Firenze, lavora quindi come curatrice, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento. Attualmente l’autrice dirige una galleria d'arte contemporanea ad Arezzo e scrive stabilmente per la rivista inetrnazionale "La Bibliothèque Italienne", insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea. Oltre ad aver ricevuto importanti premi e riconoscimenti letterari, Lucrezia ha pubblicato il saggio L’Alunno (Divergenze, 2019), le raccolte poetiche La Visita (Giulio Perrone, 2017), La Nevicata (Il Seme Bianco, Gruppo Elliot 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone, 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica, 2018), Apologia della sorte (Transeuropa, 2019), In un metro quadro (Nulla die, 2020), la raccolta di racconti Scusate, ma devo andare (Porto Seguro, 2020) ed ha curato la silloge Elegia Ambrosiana (Divergenze, 2021) con lo scrittore Raul Montanari.

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"La parola e il silenzio", arte, scienza e contemplazione come possibili alternative alla crisi presente

Intervista allo scrittore Andrea Comincini

Andrea Comincini è scrittore, docente e traduttore e di recente ha visitato la città di Arezzo. Tra le altre cose, Andrea è autore di un saggio, pubblicato alcuni mesi fa dall’editore Divergenze e intitolato “La parola e il silenzio”, un libro profondo e visionario, che s’interroga sui rapporti di potere contemporanei e sul futuro dell’umanità. Un libro in cui l’analisi rigorosa si mischia alla riflessione estetica e scandaglia le possibilità che restano all’uomo dei nostri giorni per ritrovare pienezza di senso, attraverso la riattivazione di quella meraviglia che segna arte, scienza e contemplazione. Abbiamo dunque intervistato l’autore per comprendere più da vicino il suo punto di vista sulla nostra società in crisi.

Nel 2022 è uscito per l'editore Divergenze il tuo saggio "La parola e il silenzio", un titolo assai affascinante e che evoca due concetti apparentemente contraddittori. Come nasce questo titolo e cos'è che lega la parola e il silenzio?

Chi separa la parola dal silenzio, da me interpretato come Lichtung, direbbe Heidegger, cioè la radura da cui emerge il suono, compie un gesto politico oltre che filosofico: isola i segni, li riduce a cose, provando a far dimenticare la dimensione misterica del vivere. Per questo ritengo sia indispensabile che restino intrecciati. Quando le parole diventano merce, cose fra le cose, il rischio è altissimo. La possibilità concreta di trasformare la vita in un terreno senza eros sono enormi, perché si perde la capacità di immaginare un oltre, custodito proprio da quel silenzio. 

Nel tuo libro tessi un'analisi puntuale della società contemporanea e dell'uomo dei nostri giorni, vorrei chiederti, come valuti il nostro presente? Quali sono le tendenze che, a tuo parere, lo dominano?

Il presente non offre segnali confortanti. Proprio perché il linguaggio è ormai standardizzato e impoverito, ci stiamo degradando a pensieri-slogan. La capacità di ragionare diminuisce, manca spesso l’energia con cui scavare nelle analisi. È chiaro quindi che si possano individuare cause e soluzioni al degrado trionfante, ma se gli strumenti ermeneutici scarseggiano o sono patrimonio di pochi, è dura voltare pagina. Perché di questo abbiamo bisogno, di un nuovo sviluppo economico: siamo 8 miliardi, nutrirci, scaldarci e non inquinare sono gli obiettivi del futuro, e richiedono mutamenti di stili di vita audaci. Si cambia in armonia però soltanto quando si capisce il senso di un sacrificio, o di una scelta politica, altrimenti il rischio è un vano irrazionalismo apocalittico, o – peggio – una società orwelliana alle porte.

Quali sono, in sintesi, gli slogan e le trappole che il potere contemporaneo utilizza per "dominare" il cittadino?

 Prima di tutto non costruirei una metafisica del Potere: le assolutizzazioni non servono. Certamente, nonostante la precisazione, è chiaro che siamo dominati da un invadente algoritmo, che vuole tracciare ogni nostro passo. Il potere ci vuole depressi e spaventati. A mio avviso il messaggio nemmeno tanto celato è: “pensa a te stesso, non agitarti, al mondo badiamo noi”. La trasformazione del futuro in incubo inevitabile è il mezzo con cui si inibisce l’azione emancipatoria. Le elezioni sono ormai solo un passaggio formale, quasi folkloristico: è altrove che si decidono le sorti del mondo – e non è un discorso complottistico. “Stai buono…altrimenti..” è il messaggio subliminale della politica paternalistica.

Come vedi il nostro futuro? L'individuo-consumatore riuscirà ad emanciparsi dal carcere che ha costruito con le sue stesse mani?

Secondo me soltanto coltivando una dimensione spirituale possiamo salvarci, e non intendo necessariamente proporre l’adesione a una fede. Voglio dire che dobbiamo ri-poeticizzare la vita, guardare il mondo con occhi diversi. Se davanti a una foresta pensiamo al carico di legna che si possa ottenere, e al relativo guadagno, invece di ammirarne la maestosa solennità, ecco, siamo finiti. L’uomo del domani o sarà poetico, o non sarà.

Nel saggio, dopo l'analisi critica del presente, delinei anche delle vie alternative all'ingerenza del potere e citi l'arte, la scienza e la contemplazione, ce ne puoi parlare?

Se consideriamo un essere umano un semplice grumo di fango senziente, ci riduciamo a vivere in uno stato di nevrastenia perenne. Il materialismo integralista non ha rivelato la natura essenziale dell’uomo. Noi siamo esseri poetanti: abbiamo bisogno di immaginare, creare, esplorare. Scienza e arte non sono affatto antitetiche, ma due modalità di innamorarsi dell’esistente, investigandolo. Ritorno con il tema dell’eros, di derivazione platonica. Se riuscissimo a ritrovare uno stato di estasi nel quotidiano, se potessimo coltivare un tempo e uno spazio meno frenetici e più a misura d’uomo, sono sicuro che l’uomo e la donna potrebbero ritrovarsi. Non mi rifugerei in un passato mitico né in soluzioni consolatorie, tantomeno in quelle filosofie new age oggi così alla moda. Basta ritrovare quel thaumazein, quella meraviglia mista a paura con cui i greci guardavano al mondo, per riaccendere la scintilla di una vita vera. Perché oggi siamo maschere, ombre e feticci, merce. L’uomo invece è altro. O, almeno, può esserlo.

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