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Arezzo da amare

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A cura di Marco Botti

La villa-fattoria dalla "superba veduta": la storia dell'incanto di Frassineto, dai bachi da seta al vino

La villa di Frassineto si spalanca alla vista in tutta la sua maestosa bellezza ma mano che ci si avvicina alla frazione, di cui rappresenta l’elemento più importante e conosciuto

Per chi entra nel territorio comunale di Arezzo, seguendo il lungo rettilineo che provenendo da Fonte a Ronco attraversa il Canale Maestro della Chiana, la Villa di Frassineto si spalanca alla vista in tutta la sua maestosa bellezza ma mano che ci si avvicina alla frazione, di cui rappresenta l’elemento più importante e conosciuto.

Durante il basso medioevo, epoca in cui la Val di Chiana raggiunse il massimo dell’impaludamento, la zona di Frassineto era connotata soprattutto da acquitrini, selve e prati, sfruttati per la pesca, il legname e la vegetazione tipica delle aree umide, come il giunco e la schiancia. L’ambiente malsano non incentivava gli insediamenti abitativi, ma in precedenza c’era stata un’area fertile e frequentata, come testimonia la spada della fase finale dell’Età del Bronzo ritrovata vicino al corso d’acqua, oggi nel Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate di Arezzo”.

La maestosa villa della Tenuta di Frassineto

Il lungo processo di bonifica che dal XIV al XIX secolo coinvolse la valle, nel Cinquecento aveva già permesso il recupero di ampie zone di nuovo coltivabili, organizzate in poderi riuniti sotto alcune fattorie. Anche Giorgio Vasari, il grande pittore, architetto e biografo, aveva qui terreni di sua proprietà, acquistati con l’atto notarile del 20 dicembre 1548 e poi aumentati a più riprese tra il 1552 e il 1556 e ancora nel 1569. Vasari teneva così tanto alle sue terre, coltivate soprattutto per il grano, che nell’edizione giuntina delle “Vite” del 1568 le definisce “la salute et il maggior bene di casa mia”.

Nel 1609 si svolse la prima visita annuale delle fattorie granducali da parte del soprintendente agli Acquisti delle Chiane e quella di Frassineto era già attiva da tempo. Nel corso del XVII secolo il complesso agricolo crebbe e diventò una delle più straordinarie testimonianze della rinascita della vallata. Nella seconda metà del Seicento alcune tenute medicee passarono sotto la gestione dell’Ordine di Santo Stefano, ma Frassineto continuò a far parte delle Fattorie di S.A.R. (acronimo di Sua Altezza Reale), quindi di diretta gestione granducale attraverso lo Scrittoio delle Possessioni.

Con il passaggio dello stato toscano dai Medici agli Asburgo-Lorena, nel 1737, fu ottimizzato lo sfruttamento agricolo. Nel 1741 le tenute vennero date in affitto inizialmente per nove anni e dal 1758 con contratti venticinquennali.  

Lo sviluppo dell’allevamento dei bachi da seta fu una delle attività che portò ad ampliare il complesso per le nuove esigenze produttive. Il 20 ottobre 1769 è documentata la prima visita a Frassineto del granduca Pietro Leopoldo I, che ne apprezzò l’efficienza. Nella sua visita del 1778 si torna a parlare della “Casa di Fattoria” e della “superba veduta” che si ammirava da essa.

Nel 1814 l’azienda contava ben 24 poderi che andavano da Ponte a Cesa ai Ponti d’Arezzo, con le relative “leopoldine”, i tipici edifici rurali sorti in quegli anni per i mezzadri che lavoravano nelle Regie Tenute della Corona. L’8 luglio 1864, con il patrimonio granducale ormai passato al Regno d’Italia, la fattoria venne acquistata all’asta dalla baronessa Fiorella de Bacheville nei Favard de L’Anglade, figura di primo piano alla corte di Napoleone III, di cui forse fu amante, e fin dal 1855 donna di spicco dei salotti fiorentini, dopo il suo trasferimento in Italia in seguito al divorzio dal marito, già propriétaire délégué della Guyana Francese.

La conoscenza delle piante esotiche arricchì il parco di rarità, come già era successo per quelli delle sue ville di Firenze e Rovezzano progettati da Giuseppe Poggi, protagonista degli interventi urbanistici per adeguare Firenze a capitale d’Italia.

La presenza dell’aristocratica italo-francese fu breve, perché nella seconda metà degli anni Sessanta la tenuta venne ceduta a Gioacchino Hertz, a volte citato come Sidney, appartenente a una famiglia ebrea originaria di Amburgo ma attestata a Firenze già dal Settecento, che l’11 dicembre 1867 ricevette da re Vittorio Emanuele II il titolo di conte di Frassineto. Sua moglie Maria de’ Ferrari, tra l’altro, era nipote della baronessa Fiorella. L’atto ufficiale di acquisto è tuttavia datato 10 giugno 1869, anno in cui partirono i lavori che trasformarono la casa padronale su disegno dell’architetto Pietro Comparini Rossi, collaboratore di Poggi.

Nacque così la grandiosa villa con pianta a “U” su tre livelli, per un totale di circa 5.400 metri quadrati, accessibile da ovest tramite la scenografica scala a due rampe a forma di esedra e da nord attraverso il viale carrabile, che parte dalla casa del guardiano con il fronte in mattoni e travertino e affianca la tabaccaia. A est si trovano il parco di otto ettari e l’eclettica Casina del tè, mentre a sud della villa, in un piazzale lastricato, si ammirano ancora le fosse del grano granducali.

All’interno della dimora le decorazioni pittoriche in ogni piano raggiungono l’apice con il “Ciclo di Frassineto” del Salone delle Feste, commissionato da Gioacchino al pittore lastrigiano Egisto Ferroni. Il ciclo comprende quattordici tele compiute tra il 1876 e il 1896 con scene di vita rurale e svaghi dei conti. Alla fine di quel secolo o ai primi del Novecento sono ascrivibili invece i medaglioni in ghisa con lo stemma della fattoria che si ripetono nei vari edifici, realizzati dalla Fonderia Bastanzetti di Arezzo, autrice anche delle croci dislocate nei dintorni della tenuta, datate 1896, centenario del miracolo della Madonna della Conforto.

A destra della villa svetta il campanile dell’ex chiesa parrocchiale. Nel 1744 esisteva già un oratorio, ma nelle piante della seconda metà di quel secolo risulta costruita una chiesa con la canonica, che dal 1783 accolse la neonata parrocchia dei santi Biagio ed Egidio, a cui era stato trasferito il titolo della soppressa San Biagio del Toppo di Figline.

Il 25 giugno 1871, nel punto più alto della collinetta, fu inaugurata la nuova chiesa di San Biagio finanziata dai conti ancora su progetto di Comparini Rossi, come recita una lapide nella controfacciata. Il precedente edificio sacro divenne l’oratorio privato.

A Gioacchino succedette il figlio Alfredo, agronomo e figura influente della politica aretina della prima metà del Novecento, mentre all’altro figlio Massimo spettò la dirimpettaia Fonte a Ronco. Con il regio decreto del 28 febbraio 1926 il cognome Hertz fu sostituito con Di Frassineto e il nuovo stemma della casata ancora campeggia nella facciata ovest della villa. Alla morte del conte, nel 1956, la tenuta passò ai figli Giuliana Riccardo, rimanendo alla famiglia fino ai primi anni Settanta del secolo scorso.  Dopo un breve passaggio ai romani Dorazio, nel 1974 l’azienda agricola fu acquistata dagli attuali proprietari, i ravennati Miserocchi.

Grazie a questi ultimi la Tenuta di Frassineto è oggi un’eccellenza che si estende per circa 500 ettari, di cui trenta ospitano vitigni pregiati come Semillon, Chardonnay, Sauvignon, Traminer, Pinot Bianco, Vermentino, Sangiovese, Syrah, Merlot, Cabernet Franc e Petit Verdot, coltivati con tecniche innovative. Gli enofili possono acquistare i prodotti nel wine shop e visitare l’azienda attraverso “wine tour” diversificati che prevedono degustazioni e visite guidate al parco storico, alla cantina, alla barriccaia e alle vigne.

Obiettivo della tenuta è produrre vini di alta qualità e far conoscere il territorio che ospita i vigneti e la villa, per la quale sono al vaglio progetti di restauro e valorizzazione, per farne un luogo sempre più di riferimento per gli amanti della campagna toscana.  

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