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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Centro Storico

Quando il "lapis" era senza punta. L'incredibile storia del campanile simbolo di Arezzo

Senza la struttura a fianco del duomo la skyline cittadina non sarebbe pensabile, eppure ha meno di un secolo di vita

Lo skyline di Arezzo, privo dell’inconfondibile campanile della cattedrale dei SS. Pietro e Donato, oggi non sarebbe pensabile, eppure è un’immagine che non ha nemmeno un secolo di vita. Salendo da via dei Pileati verso la parte apicale del colle di San Pietro, infatti, il cittadino e il visitatore fino agli anni Trenta del secolo scorso non avrebbero trovato la celebre “punta di lapis” e fino a metà dell’Ottocento nemmeno la “matita spuntata”.

Il campanile del Duomo

Prima di allora il duomo aretino aveva avuto solo dei campanili a vela. Uno è documentato dalla seconda metà del Quattrocento e si trovava probabilmente sopra il lato destro della facciata.  L’altro, come ricorda Andrea Andanti, venne realizzato nel 1605 sopra la parte absidale in sostituzione del precedente, durante l’episcopato di Pietro Usimbardi. Anche questo era a vela ma più grande, progettato da Gherardo Mechini, architetto granducale autore anche del completamento dell’Acquedotto Vasariano e della fontana di Piazza Grande. La nuova costruzione si sviluppava su due ordini e accoglieva sei campane, come possiamo vedere in alcuni dipinti e incisioni del passato.

Il campanile svolse la sua funzione fino alla metà dell’Ottocento, quando su finanziamento del vescovo Attilio Fiascaini venne progettata dal Luigi Mercanti una torre campanaria in stile neogotico. Il 23 dicembre 1857 ci fu la posa della prima pietra, sfruttando per il basamento i resti di un torrione medievale che secondo Angelo Tafi erano appartenuti al palazzo dei Marchesi di Monte Santa Maria.

I lavori al robusto campanile esagonale in pietra andarono avanti in maniera discontinua fino alla morte del vescovo, avvenuta nel 1860. Il suo stemma, che si nota su lato che guarda il passeggio del Prato, è ad esempio del 1858; dalle cronache si sa, invece, che agli inizi del 1859 le operazioni fino al cornicione sopra il secondo ordine di finestre erano quasi concluse, non senza difficoltà, soprattutto economiche. Sempre secondo Tafi, Fiascaini si preoccupò di far fondere le precedenti campane per realizzarne, con l’aggiunta di nuovo bronzo, altre più grandi. La mancanza di risorse lasciò tuttavia il campanile incompiuto fino ai primi anni Trenta del Novecento.

In piazzetta Dietro il Duomo, a destra dell’entrata della sagrestia, si possono notare due di quelle campane rifuse, oggi rovinate. In quella di sinistra si nota l’immagine della Madonna del Conforto, ma quella di destra è la più interessante perché prima di essere rifatta era stata dal 1359 al 1534, anno in cui fu donata all’Opera del Duomo, nella Torre Rossa del Palazzo del Comune, demolito nel 1539 per lasciare libera la visuale alla costruenda Fortezza Medicea. La campana originale era stata realizzata da Nanni di Gherardo da Pisa.

Sotto il vescovato di Emanuele Mignone, nel 1931, i lavori al campanile ripresero grazie a Giuseppe Castellucci che progettò il tamburo a rosoni e la cuspide, avvalendosi della collaborazione di Ubaldo Cassi. La posa della prima pietra per il completamento dell’opera ci fu il 12 agosto 1931 e per l’occasione fu collocata anche una pergamena miniata a ricordo della cerimonia. 

Nel contempo iniziò una grande raccolta fondi a cui aderirono enti laici e religiosi, imprenditori e semplici cittadini sotto il coordinamento di un comitato presieduto dal vescovo e da Pier Ludovico Occhini, podestà di Arezzo e presidente della Brigata Aretina degli Amici dei Monumenti.

Purtroppo all’inizio delle operazioni ci si accorse che le fondamenta erano poco solide e il sottosuolo dava segni di cedimento. In quelle condizioni la torre campanaria ottocentesca non avrebbe mai sorretto l’enorme peso della guglia, quindi si dovette procedere al complicato consolidamento della base con iniezioni di cemento liquido e la creazione di una struttura in cemento e ferro all’interno del campanile, su cui far poggiare la cuspide. Tempi e costi si dilatarono.

La Nazione del 10 maggio 1933 parlava di “grandiosi lavori” avviati il precedente 23 marzo per il rafforzamento della torre. Il 3 settembre dello stesso anno il quotidiano riportava un primo elenco di donatori e un appassionato intervento dello scrittore Giovanni Papini, che rivolgeva un appello a tutti i cattolici affinché donassero un obolo per completare l’opera al più presto.

Il 21 novembre 1937 La Nazione dichiarava l’imminente conclusione, ma l’immagine pubblicata mostrava il campanile avvolto dalle impalcature e ancora privo della guglia. La fine dei lavori era comunque prevista entro l’anno, se il maltempo non ci avesse messo lo zampino.

In realtà tutto si concluse all’inizio della primavera dell’anno seguente. Il 2 aprile 1938, infatti, ancora La Nazione dava la notizia del completamento, avvenuto il 30 marzo con la sistemazione della bandiera tricolore italiana e di quella  dell’Opera del Duomo sulla cuspide, abbellita con una croce dorata e smaltata. Quest’ultima, alta 3,10 metri, nel progetto finale sostituiva l’immagine della Madonna del Conforto di bronzo ipotizzata in principio.

La lunga punta provocò da subito un acceso dibattito che prosegue ancora ai nostri giorni. Da una parte coloro che ne apprezzano lo slancio verso il cielo e le forme neogotiche che mirano ad amalgamarsi con il resto del duomo, dall’altra quelli che la considerano, assieme al resto del campanile, un falso storico che impatta in maniera esagerata sulla splendida abside medievale. Di certo, per tutti coloro che da vicino o da lontano ammirano il panorama di Arezzo, con i suoi 76,80 metri la poderosa torre campanaria della cattedrale è un’immagine che difficilmente si dimentica.

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