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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Uno dei capolavori architettonici del Rinascimento, alle porte di Arezzo

Fin dall’epoca etrusca nella zona era già presente un culto delle acque salutari, che sgorgavano attraverso una sorgente alle pendici nord della collina di Santa Maria delle Grazie. La loggia del santuario è una straordinaria opera del Rinascimento

Tra i colli che circondano Arezzo, quello di Santa Maria, a sud, ha un posto speciale nel cuore di molti. Basterà raggiungere la sua parte sommitale, ancora quasi del tutto scevra dalla mano dell’uomo, per godere di un panorama unico sulla città.

Fin dall’epoca etrusca nella zona era già presente un culto delle acque salutari, che sgorgavano attraverso una sorgente alle pendici nord del poggio. La fonte pagana, forse dedicata ad Apollo nel periodo romano, fu frequentata dagli aretini per tutto l’alto Medioevo, quando era detta “Fons Tuta”, e il basso Medioevo, quando invece fu provvista di copertura e chiamata “Fons Tecta”. Le sue acque erano considerate guaritrici, in particolar modo per i mali infantili.

Agli inizi del Quattrocento erano ancora molti quelli che vi si recavano e la Chiesa locale non vedeva di buon occhio la permanenza di riti precristiani nella collina, a quei tempi chiamata Pitigliano.

Il santuario di Santa Maria delle Grazie

Nel 1425 il frate Bernardino degli Albizzeschi, il futuro San Bernardino da Siena, si trovava ad Arezzo per predicare durante la Quaresima e tentò di smantellare la fonte, ma venne cacciato in malo modo. Nel 1428 tornò con intenti più bellicosi e grazie alla collaborazione di un folto gruppo di fedeli la distrusse. Al suo posto fece edificare un piccolo oratorio intitolato a Santa Maria delle Grazie, dove Parri di Spinello affrescò nel 1430/31 una splendida “Madonna della Misericordia” nell’atto di proteggere il popolo sotto il suo manto.

Tra il 1435 e il 1444, grazie alle sovvenzioni comunali e alla donazione di cento fiorini del magistrato Michelangelo Domisgiani, fu eretta una chiesa in stile tardogotico, a navata unica con volte a crociera, su progetto di Domenico del Fattore. A destra dell’edificio, tra il 1450 e il 1451, venne costruita anche una cappella esterna dedicata a San Bernardino.

Nei primi anni Settanta del XV secolo fu realizzato uno scenografico piazzale porticato, progettato da Giuliano da Maiano, dove Lorentino d’Andrea affrescò le “Storie di San Donato”.

Nel 1695 i Carmelitani Scalzi entrarono in possesso del santuario. Nel corso del XVIII secolo chiesero al Granducato i finanziamenti per restaurare il loggiato, poiché versava in pessime condizioni. Visti i continui dinieghi, il Comune di Arezzo nel 1788 lo fece demolire per questioni di sicurezza e oggi ne possiamo vedere solo una minima parte nei segmenti a destra e sinistra della chiesa. Era realizzato con colonne su base attica e archi gravanti su capitelli ionici. Lo storico dell’arte Mario Salmi definiva quello di Santa Maria delle Grazie il primo esempio di piazza porticata del Rinascimento.

Tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del XV secolo, alla facciata della chiesa fu addossata la straordinaria loggia di Benedetto da Maiano, fratello di Giuliano. Quest’opera, formata da quindici arcate sostenute da colonne in stile corinzio, è considerata uno dei massimi capolavori rinascimentali. La supremazia dei vuoti sui pieni la rende leggera e armoniosa e questa caratteristica fu esaltata anche da Gabriele D’Annunzio, che la chiamò “aerea loggia” nella serie “Le città del silenzio” del 1903, inserita in “Elettra”, il secondo libro delle sue “Laudi”.

L’aspetto attuale è dovuto al restauro del 1871 a opera del settignanese Gaetano Fortini. Il soffitto del 1495 fu invece rifatto nell’Ottocento grazie al sostegno economico della famiglia Redi, che ha lo stemma al centro.

All’entrata del piazzale si nota un portale in pietre sbozzate: è ciò che rimane di Porta Santo Spirito, una delle entrate della cinta medicea di Arezzo. Fu trasportato qui nel 1893, dopo l’abbattimento delle mura in quella parte di città.

Nel 1895, a destra del portale, fu collocata una lapide per ricordare che tra il 22 e il 23 luglio 1849 qui si accamparono le truppe di Giuseppe Garibaldi. Il Comune di Arezzo, con una giunta conservatrice, aveva infatti chiuso le sue porte all’eroe dei due mondi, fuggito da Roma il 2 luglio dopo la disfatta della Repubblica Romana. La sera del 23 luglio i garibaldini ripartirono in direzione dell’Adriatico. Si erano riposati e rifocillati grazie ai viveri offerti dai carmelitani ma anche dal popolo aretino, che aveva inviato cibo per i soldati e i cavalli.

Il santuario oggi è una parrocchia gestita dai padri carmelitani. L’interno della chiesa presenta un cospicuo patrimonio artistico, nonostante la perdita di alcune opere e il trasferimento di altre nel Museo di Arte medievale e moderna, come la tavola con la “Madonna della Misericordia e santi” del 1456 di Neri di Bicci e la tavola con la “Madonna in trono con il Bambino tra i santi Gaudenzio e Columato” del 1482 di Lorentino d’Andrea.

Nella parete destra un affresco che raffigura “Papa Sisto IV tra i cardinali Gonzaga e Piccolomini, nell’atto di concedere l’indulgenza al santuario” fu eseguito intorno al 1480 sempre da Lorentino D’Andrea. Ancora sulla destra si osserva un bassorilievo che rappresenta il “Buon samaritano”, realizzata da Luigi Gatteschi nel 1853 in memoria del nobile Giacinto Subiano, morto l’anno prima. Nella parete opposta è collocato quello di Anna Subiano scomparsa nel 1846, che descrive un sarcofago intorno al quale si vedono i familiari della defunta addolorati. L’opera è di Ranieri Bartolini.

Alla fine del Quattrocento la “Madonna della Misericordia” di Parri di Spinello fu inserita nell’altare marmoreo di Andrea della Robbia, realizzato con l’aiuto dei figli Giovanni, Marco e Luca il Giovane tra il 1487 e il 1498. Nella parte centrale quattro statue raffigurano San Donato, San Bernardino e i protomartiri Lorentino e Pergentino. La magnifica opera, coronata da una “Madonna con il Bambino tra due angeli”, è arricchita da putti reggicandela, testine di cherubini e serafini, lo Spirito Santo, medaglioni con profeti e un elegante festone di frutta in terracotta invetriata policroma. Il paliotto dell’altare maggiore rappresenta, infine, “Cristo in pietà con la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti”.

All’interno della cappella di San Bernardino sono custoditi i resti degli affreschi di Lorentino d’Andrea staccati dal portico esterno e alcuni cimeli, come la croce di legno che secondo la tradizione il frate aveva con sé durante la demolizione della fonte pagana. L’altare ligneo fu realizzato nel 1628 da Girolamo Anselmo Fiorentino e proviene dalla Pieve di Arezzo, da dove fu trasferito nella seconda metà dell’Ottocento. Il “Crocifisso” cinquecentesco su tavola sagomata, di scuola vasariana, fu invece donato da Licio Gelli, il “venerabile maestro” della loggia massonica P2, sciolta nel 1982 perché giudicata associazione a delinquere con finalità criminali ed eversive. Gelli viveva a Villa Wanda, a breve distanza dal santuario.

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