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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Aretino di nascita e per vocazione. Dal 2004 sono giornalista culturale, nonché addetto stampa e curatore di mostre ed eventi. La mia attività è rivolta principalmente, fin dall’inizio della carriera, al mondo delle arti visive. Credo nella natura divina dei Beatles

Arezzo da amare

Santa Flora e la gloriosa abbazia perduta

Nuovo appuntamento con Arezzo da Amare, la rubrica del giornalista culturale Marco Botti

La collina di Santa Flora, nella periferia sud occidentale di Arezzo, racchiude un grande passato immerso nella natura.

In antichità il colle era chiamato Titano e ospitava edifici templari. Si segnalano, ad esempio, ritrovamenti di vari frammenti di lastre di terracotta decorative e un’antefissa mutila, indicate come resti di un tempio etrusco di cui non si conosce la dedicazione, recuperati nei dintorni dell’odierna chiesa parrocchiale.

L'abbazia di Santa Flora, le immagini

Più a monte dell’edificio cristiano, in località Castellare, nel medioevo si trovava invece il castello degli Azzi, citato dall’XI secolo e documentato nel 1132 come “Castrum Titani”. Alberto Fatucchi ha ipotizzato, a poca distanza dalla struttura difensiva, la presenza di un tempio dedicato a Saturno, in base al documento del 930 dell’Archivio Capitolare dove si parla di “Arco di Saturno” e al documento dell’Archivio della Badia del 1034 dove sono ricordati un “Casale Saturni” e una “Terra Saturni”. È probabile che a quei tempi esistesse un rudere dell’antico edificio templare che continuava a dare il nome alla zona.

La collina è legata al culto molto sentito tra gli aretini per le sante Flora e Lucilla, due figure che nella revisione del “Martirologio Romano” del 2001 furono considerate leggende sorte in epoca medievale. Sempre secondo Fatucchi non sono altro che una trasposizione cristiana di due divinità romane: la dea della fioritura Flora e la dea dei parti Giunone Lucina.   

Per conoscere l’origine della devozione per le sante Flora e Lucilla è tuttavia fondamentale attingere al volume di Luigi LicciardelloAgiografia aretina altomedievale. Testi agiografici e contesti socio-culturali ad Arezzo tra VI e XI secolo” del 2005. Anche questo studioso tende a escludere l’esistenza delle due martiri e lega la nascita del culto alla scoperta di reliquie a Ostia nel IX secolo, periodo in cui fu redatta la più antica “Passio”, ovvero la narrazione del loro martirio.

Essa racconta di due giovani vergini romane, Flora e Lucilla, rapite dal re barbaro Eugegio. Colpito dalla loro bellezza, il sovrano tenta di abusare di loro ma è avvertito che entrambe sono votate a Cristo. Eugegio decide di rispettare la loro verginità e le fa alloggiare in un eremo domestico, dove possono portare avanti una vita ascetica. In cambio le ragazze pregano per il regnante ogni volta che va in battaglia. Con il tempo Eugegio si convince di essere protetto dal Dio dei cristiani per intercessione delle due fanciulle. Dopo vent’anni di prigionia, il Signore appare in sogno a Flora e Lucilla e le invita ad andare a Roma per il martirio. Il re di origini africane, ormai convertito, decide di unirsi a loro. Arrestate e condotte di fronte al prefetto Elio, le due donne confessano la propria fede. Assieme a Eugegio e altri venti cristiani vengono uccise.    

A questo testo, trasmesso con poche varianti, fa seguito la “Augmentatio Passionis” dell’XI secolo, in cui si danno i riferimenti temporali del martirio, ovvero il 29 settembre 180, durante le persecuzioni degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero e il papato di Eleuterio. Nel XIII o agli inizi del XIV secolo viene redatta una nuova “Passio” che ci dà ulteriori informazioni. Nel testo si dice che dal suburbio di Ostia, dove erano stati seppelliti, i corpi delle due ragazze furono fatti traslare nel 901 dal vescovo di Arezzo per trasferirli nella sua città. Il presule fece tappa sul Monte Amiata, dove gli abitanti gli chiesero di lasciare una parte delle reliquie in cambio della dedicazione di una chiesa alle due martiri nell’odierna Santa Fiora. Prima di arrivare ad Arezzo, il mulo che trainava il carro con i corpi si bloccò a Olmo e lasciato libero di andare dove voleva cominciò a salire sul colle Titano. Lì vennero costruiti una chiesa e un monastero benedettino. Nella “Passio” del XV secolo la traslazione dei corpi di Flora e Lucilla ad Arezzo venne anticipata all’861, mentre nel “Martirologio Romano”, revisionato tra il 1586 e il 1589 da Cesare Baronio, la morte fu posticipata al 262, durante l’impero di Valeriano e Gallieno.

Mettendo da parte i racconti della tradizione cristiana, sappiamo che i monaci benedettini costruirono nella collina un’abbazia citata dal 903, in posizione strategica che consentiva di controllare sia Arezzo, sia la Val di Chiana. Lì era già una chiesa, donata ai monaci da Berta, moglie di uno dei due figli del vescovo di Arezzo Guglielmo degli Azzi. Il monastero era fortificato e munito di torri. Da qui gli studiosi fa risalire il nome di Turrita (o Torrita) di Olmo che si trova a lungo nei documenti.

Per due secoli il complesso monastico aumentò costantemente i suoi possedimenti. Questa grande influenza si scontrò con l’ascesa del libero Comune di Arezzo. Nell’intento di porre un limite al potere politico e temporale dell’ente ecclesiastico, tra il 1193 e il 1196 gli aretini smantellarono con la forza il monastero e i monaci furono “invitati” a stabilirsi tra le odierne via Cavour e via Garibaldi, dove tutt’oggi si trova la badia delle sante Flora e Lucilla. Si salvò solo la chiesa del cenobio.

Oggi una chiesetta nella parte alta della collina ci ricorda dove sorgeva il complesso benedettino. Nella visita del 1534 l’abate Vitale da Reggio trova le pareti e il tetto in buone condizioni, ma dice che il pavimento necessita di essere riparato. Nelle visite pastorali del 1567 e del 1571 del vescovo Bernardetto Minerbetti e in quella del 1576 del vescovo Stefano Bonucci non ci sono carenze o problemi da segnalare. Nella visita apostolica del 1583 del vescovo di Sarsina Angelo Peruzzi, su incarico di papa Gregorio XIII, non si parla più di chiesa di Santa Flora e Lucilla di Torrita ma di Santa Flora e Lucilla del Vignale, con 80 anime a comunione. L’edificio sacro dipese dalla badia cittadina fino alle soppressioni napoleoniche del 1810. Agli inizi del secolo scorso fu ampliato e rimaneggiato in stile neogotico. Nel 1901 ci fu la riconsacrazione.

All’interno la chiesa è a navata unica, con volte a crociera nella parte presbiteriale deliziosamente decorate.

Tra le opere presenti sono da menzionare quelle nelle due cappelle ai lati dell’altare. A sinistra la statua del “Sacro Cuore di Gesù” tra le tavole con “Sant’Agnese” e “Santa Lucia”, eseguite nel 1927 dalla suora domenicana Imelda. A destra la statua della “Madonna Addolorata”. Da ammirare sullo stesso lato, in basso, il frammento altomedievale di pietra con motivi geometrici proveniente dalla chiesa abbaziale. Due dipinti seicenteschi di ambito aretino, “Gesù che ora nell’orto” e la “Flagellazione di Gesù”, sono stati invece trasferiti nei depositi della Soprintendenza Abap per motivi di sicurezza.

All’esterno si osservano il mosaico con le sante titolari nella facciata e una stupenda croce metallica nel sagrato realizzata dalla Fonderia Bastanzetti nel 1900. Nel 2020 è stata rimossa in seguito a un atto vandalico ed è in attesa di essere ricollocata, non appena si concluderanno i lavori di recupero della canonica promossi dall’Ufficio Diocesano per l’Arte Sacra e dalla parrocchia di San Marco alla Sella, a cui quella di Santa Flora è stata aggregata.

Tra la croce e la chiesa è infine presente il bel monumento ai caduti della località nelle due guerre mondiali.

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