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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Centro Storico

Porta Stufi, da porta murata a principale accesso dei turisti

Un ingresso strategico dell’Arezzo medievale che, dopo secoli, consente di nuovo ad aretini e visitatori di raggiungere il centro città

Oggi per migliaia di aretini e turisti raggiungere il centro storico cittadino attraverso Porta Stufi (o di Stufo) è una consuetudine, ma fino alla sua riapertura, avvenuta intorno alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, questo ingresso strategico dell’Arezzo medievale rimase completamente murato per secoli.

Nel nome di origine germanica, “stufi o stufo”, secondo Lorenzo Guazzesi si celava il riferimento a uno stabilimento termale della zona scomparso. La congettura dell’erudito e giureconsulto aretino del Settecento veniva ripresa e sostenuta anche da Angelo Tafi.

Di sicuro Porta Stufi era uno degli accessi settentrionali della cinta tarlatesca, la più grande nella storia di Arezzo, già in costruzione nel 1317 per volere del vescovo di Arezzo Guido Tarlati. Considerando tuttavia che in questo settore della cerchia muraria la sovrapposizione con il circuito eretto tra il 1194 e il 1200 è quasi speculare, secondo Ubaldo Pasqui l’ingresso era anche uno dei tredici da lui ipotizzati per le mura di fine XII secolo.

Una delle strade più importanti della città, quella che saliva dall’asse delle odierne via Madonna del Prato - via Cesalpino, arrivata in cima alla collina di San Pietro passava tra il palazzo vescovile, voluto dal vescovo Guglielmino degli Ubertini, che vi si trasferì nel 1256, e il duomo iniziato grazie al lascito di papa Gregorio X, morto nel 1276 di ritorno dal Concilio di Lione. Il percorso, quindi, scendeva sul lato nord e usciva da Arezzo proprio attraverso Porta Stufi.

Dalla zona passava il cosiddetto “corridoio fiorentino”, ovvero quel sistema difensivo realizzato durante il breve controllo di Firenze tra il 1337 e il 1343. Il complesso fortificato si componeva di tre strutture principali: un circuito detto Cittadella, un fortilizio minore al suo interno definito Cassero di San Donato e il Cassero di San Clemente nei pressi dell’omonima porta. Le prime due parti, situate rispettivamente nelle aree del Prato e della Fortezza, erano collegate alla terza attraverso un passaggio esterno coperto, utilizzato dai fiorentini per andare in sicurezza da un cassero all’altro. Le tracce del corridoio, ovvero i resti di alcune arcate, si possono ancora notare nella cortina che va dalla porta al bastione del Torrione.

Nel 1478, su commissione del vescovo di Arezzo Gentile de’ Becchi, grande umanista urbinate nonché precettore di Lorenzo il Magnifico, l’artista fiorentino Bartolomeo della Gatta progettò uno scenografico loggiato per mettere in contatto vescovado e cattedrale. Con un po’ di fantasia possiamo immaginarcela questa loggia, che garantì una spettacolare vista panoramica a settentrione ma causò la chiusura della strada e la conseguente perdita di importanza di Porta Stufi. Con gli interventi al palazzo vescovile del 1710, per volere del vescovo Benedetto Falconcini, il loggiato venne tamponato per essere trasformato nell’ala del palazzo vescovile che vediamo ancora oggi.

Con l’esecuzione della cinta medicea, terminata nel 1556, quasi tutti gli ingressi della parte nord del perimetro cittadino scomparvero, a eccezione di Porta San Clemente. L’evoluzione del sistema difensivo aretino prevedeva infatti meno accessi e la costruzione di sette baluardi difensivi e una possente fortezza.

A sinistra di Porta Stufi, per chi entrava in città, era già stata tamponata dal 1497 Porta San Biagio, quella connessa con la strada che salendo dall‘odierno asse Corso Italia - via dei Pileati attraversava l’area del Prato, allora caratterizzata dall’avvallamento tra i colli di San Pietro e San Donato. La strada usciva da Porta San Biagio proseguendo verso l’area della Catona lungo l’attuale via Pietramala, nel medioevo la “Strata de Porta S. Blaxii”.

La realizzazione della cinta cinquecentesca coprì del tutto le tracce della porta sotto il nuovo muro di contenimento del Prato, dove si vede ancora un grande sprone. Nello stesso secolo scomparve anche Porta Sant’Angelo in Archaltis, inglobata nella nuova fortezza e tornata alla luce solo nel 1991 durante alcune indagini archeologiche.

Porta Stufi, ormai inutilizzata da alcuni decenni, venne chiusa come le altre e rimase celata fin quasi alla fine del Novecento. Tra il 1983 e il 1984 fu riaperta e restaurata, assumendo l’aspetto attuale e trasformandosi in un accesso a nord, non molto utilizzato a dire la verità a causa della salita breve ma impervia. Più sfruttata era invece l’antica postierla di Pozzolo per raggiungere piazza San Domenico, una entrata secondaria già riaperta nel 1943 su idea di padre Raimondo Caprara, per permettere alla popolazione di uscire verso la campagna in caso di bombardamenti senza dover allungare in direzione di San Clemente. Porta e postierla sono oggi collegate attraverso un camminamento intitolato alla storica dell’arte Anna Maria Maetzke, la più nota soprintendente della storia di Arezzo.

La svolta vera e propria per la valorizzazione di Porta Stufi ci fu nel 2004, con la realizzazione del nuovo ingresso a nord contrassegnato da un comodo percorso meccanizzato, che dai parcheggi di via Pietri sfocia in piazza del Duomo. Porta Stufi divenne così l’accesso più utilizzati dai turisti, situato in una zona suggestiva in cui appena usciti dalle mura sembra di essere già in aperta campagna.

Osservando la porta restaurata, sia dall’esterno, sia internamente, ammiriamo il suo grande arco a tutto sesto poggiante su mensole. Nella parte sommitale si scorgono invece i resti della torre difensiva che la sovrastava. Nonostante sia mozzata, la parte turrita consente agli studiosi di architetture militari di comprendere meglio l’aspetto degli accessi trecenteschi di Arezzo e delle sue mura. Una pagina fondamentale della storia cittadina da conoscere e tramandare.

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