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Venerdì, 19 Aprile 2024
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Il Petrone di Piazza Grande, storia della colonna infame aretina

Il Petrone di oggi, nonostante non abbia nemmeno un secolo di vita, versa già in condizioni critiche. A poco è servito il piccolo intervento del 2016 e il degrado è sotto gli occhi di tutti, turisti e cittadini, che troppo spesso lo usano come panca per sorseggiare gli aperitivi

Fin dai primi anni Trenta del secolo scorso se ne sta lì, di fronte al Palazzo delle Logge, pronto a farsi osservare e fotografare da aretini e turisti, convinti di trovarsi al cospetto dell’antica “colonna infame” di Arezzo. 
Se avesse la bocca, chissà quante linguacce farebbe ogni giorno il Petrone di Piazza Grande.

In passato ogni città aveva un suo luogo per esporre i malfattori al pubblico ludibrio. C’era nel medioevo e continuò a esserci nell’età moderna, in particolar modo nei domini spagnoli in Italia. 
Nota era ad esempio la colonna della Vicaria di Napoli, situata di fronte a Castel Capuano, trasformato nel 1540 in sede del Tribunale dal viceré Pedro di Toledo. Allo stesso governante si deve anche la colonna della giustizia in piazza Mercantile a Bari, uno dei luoghi più fotografati del capoluogo pugliese. I due pilastri servivano a esibire falliti, bancarottieri e debitori insolventi, ma non erano le sole “categorie” che finivano alla gogna. 

La colonna infame più famosa della letteratura è quella milanese, innalzata nel 1630 al posto dell’abitazione di Gian Giacomo Mora, in spregio al barbiere accusato di essere un untore e per questo giustiziato durante la pestilenza che sconvolse il territorio lombardo. Nel 1778 il manufatto venne demolito ma anni dopo fu reso celebre dal saggio di Alessandro Manzoni “Storia della colonna infame”, che mise in luce la perversione del sistema giudiziario spagnolo durante la dominazione della città meneghina.
La pubblicazione uscì come appendice ai “I promessi sposi” del 1840 e l’incisore torinese Francesco Gonin, a cui vennero affidate le illustrazioni del romanzo, ne fece un’apprezzata raffigurazione.  

Un’altra colonna sorta al posto della casa di un condannato a morte è quella quadrangolare nei pressi della deandreiana via del Campo, a Genova. Con essa si ricorda il tradimento di Giulio Cesare Vachero, che nel 1628 partecipò alla congiura contro la Repubblica di Genova, ma fu scoperto e ammazzato.
“Infame” era anche la colonna nell’isola Tiberina di Roma. In quel caso serviva ad accogliere i nomi degli scomunicati dalla Chiesa.

Tornando ad Arezzo, il pilastro in pietra serena che vediamo in Piazza Grande venne collocato dopo lo spostamento della statua in marmo del granduca Ferdinando III di Lorena, realizzata nel 1822 dallo scultore neoclassico fiorentino Stefano Ricci
Nell’ambito del restyling stilistico del luogo, che in nome del recupero dei fasti medievali portò anche al rialzamento e alla merlatura di alcune torri precedentemente mozzate, la scultura fu trasferita nel 1932 sulla sommità di Piaggia di Murello. Al suo posto venne inserita nella piazza una riproduzione delle antiche colonne della giustizia, formata per l’occasione da un ampio basamento, fusto, capitello in stile dorico e sfera apicale sormontata da una croce. 
Quest’ultima, sempre di pietra, è scomparsa ma si può vedere nelle foto e nei filmati del passato. Nella base del Petrone ancora si osservano invece i campioni ufficiali delle misure di lunghezza in metallo.

La "colonna infame" aretina

Angelo Tafi, nel suo volume “Immagine di Arezzo”, scrive che una colonna infame esisteva fin dal Duecento ma non si sa in che punto della piazza fosse collocata. Di sicuro sappiamo che nel XVIII secolo era già stata rimossa, perché nella “Veduta di Piazza Grande” del 1780-90 attribuita a Cristoforo di Donato Conti, custodita nel Museo della Fraternita dei Laici, non è presente. 
 
Il particolare di un’altra opera potrebbe sciogliere il quesito, almeno per il periodo successivo al completamento del Palazzo delle Logge del 1595. Sempre nel Museo della Fraternita dei Laici, infatti, nel 2017 è stata trasferita la “Pianta del condotto vasariano di Arezzo e della Fonte della Piazza”, in precedenza sistemata nel Museo Statale di Arte Medievale e Moderna. Nonostante le cattive condizioni in cui versa la grande tela, una migliore illuminazione permette di osservare tanti dettagli interessanti e inediti. 

L’opera fu eseguita nel 1696 dal cartografo e impresario edile Giovan Battista Girelli e mostra il percorso dell’acqua dalle falde di Cognaia al centro di Arezzo. Se aguzziamo la vista, visto che il particolare è quasi impercettibile, noteremo una colonna all’angolo nord-est di Piazza Grande, dove inizia la salita verso Piaggia San Martino. 
Il colore chiaro del manufatto, anch’esso con una sfera terminale, ci fa pensare che fosse stato di un materiale lapideo più resistente della pietra arenaria, quindi marmo o travertino. Possiamo quindi ipotizzare che almeno per tutto il  Seicento quello fu il luogo scelto in città per mettere alla berlina disonesti e cattivi pagatori.

Il Petrone di oggi, nonostante non abbia nemmeno un secolo di vita, versa già in condizioni critiche. A poco è servito il piccolo intervento del 2016 e il degrado è sotto gli occhi di tutti, turisti e cittadini, che troppo spesso lo usano come panca per sorseggiare gli aperitivi. La pietra serena locale, si sa, è bella da vedere ma poco resistente agli agenti atmosferici e al vandalismo. Se ormai non è una corsa contro il tempo per salvarlo, poco ci manca. 

Il Petrone di Piazza Grande, storia della colonna infame aretina

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