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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Viaggio nel tempo fino al Medioevo alla scoperta dell'ospedale di Sant’Antonio Abate

Passeggiando per strade dell'Arezzo medievale troveremmo varie strutture ospedaliere e assistenziali, quasi sempre di piccole dimensioni, ognuna con le sue caratteristiche, che tutte assieme andavano a formare un vero e proprio sistema socio-sanitario

Se la macchina del tempo ci catapultasse nell’Arezzo medioevale, passeggiando per le sue strade troveremmo varie strutture ospedaliere e assistenziali, quasi sempre di piccole dimensioni, ognuna con le sue caratteristiche, che tutte assieme andavano a formare un vero e proprio sistema socio-sanitario.
Col tempo molti di questi luoghi furono soppressi o accorpati all’ospedale principale, quello di Santa Maria del Ponte o Sopra i Ponti, sorto nei primi decenni del Duecento, che occupava quel grande quadrilatero compreso tra via Roma, Corso Italia, via Garibaldi e via Madonna del Prato. Lì svolse le sue funzioni fino al 1925, anno del definitivo trasferimento nel nuovo nosocomio di via Fonte Veneziana.

Per fortuna alcuni ospedali hanno ancora alcune tracce visibili, mentre di altri conosciamo l’ubicazione attraverso i documenti. Andare a scovarli significa ripercorrere secoli di storia cittadina e della sua sanità. 
Uno di questi ricoveri sorgeva ad esempio all’incrocio tra le attuali via Madonna del Prato e via Garibaldi, dove oggi si trova la vetrina di un negozio di calzature: l’ospedale di Sant’Antonio Abate
Siamo nel punto dove partiva la via Sacra di Arezzo, che fino alla zona di San Clemente era scandita da una serie ininterrotta di monasteri e conventi, la maggior parte femminili, sedi di compagnie laicali e religiose, chiese, oratori e, appunto, piccoli ospedali. 

Quello di Sant’Antonio Abate fu voluto dall’omonima compagnia, forse già nata nel secolo precedente, e realizzato grazie alla donazione del marzo 1423 di Donato di Gerio, detto “Mazza”, e della moglie Tessa. I due benefattori sono ricordati in una lapide marmorea a destra dell’entrata. 
In senso opposto all’ospedale, con la facciata che era rivolta sul Borgo Maestro, ovvero Corso Italia, si trovava la relativa chiesa. Un altro arco, appartenente forse a un accesso secondario del ricovero, si può notare tamponato proprio sopra l’entrata del negozio di scarpe lungo via Garibaldi.

L'ospedale di Sant'Antonio Abate

La struttura ospedaliera offriva riparo ai mendicanti e ai pellegrini poveri di sesso maschile, il fuoco per riscaldarsi soprattutto nei mesi freddi e l’assistenza per due categorie con pochi mezzi di sostentamento. Non aveva nulla a che vedere, quindi, con il limitrofo ospedale di Santa Maria del Ponte, che invece accoglieva ammalati e bambini abbandonati. 

Osservando l’architrave in pietra si possono notare tre stemmi. Al centro quello della Compagnia di Sant’Antonio con il tipico “tau”, che assieme al porcellino accompagna spesso le immagini di Sant’Antonio Abate, e le lettere S e AN, iniziali del patrono della società laicale. A sinistra lo stemma delle famiglia Lippi, a destra quello della famiglia Geri.
Poco dopo la realizzazione, intorno al 1430, nella lunetta con arco a sesto acuto sopra l’entrata venne collocata la splendida scultura in terracotta policroma di “Sant’Antonio Abate” seduto, realizzata da Michele da Firenze, oggi ammirabile nel Museo Statale di Arte Medievale e Moderna di Arezzo in condizioni non perfette a causa di rimaneggiamenti e successive ridipinture.
 
Michele di Niccolò Dini, detto Michele da Firenze, fu allievo di Lorenzo Ghiberti e collaboratore di Donatello. Operò per circa dieci anni ad Arezzo, dove negli anni Venti del XV secolo stabilì anche una bottega, lasciando importanti testimonianze in città e aggiornandola ai nuovi linguaggi fiorentini. In seguito si trasferì al nord Italia, dove eseguì altri capolavori tra l’Emilia e il Veneto. La statua per l’ospedale è considerata la sua opera aretina più donatelliana. Aldo Galli la avvicina al “San Giovanni evangelista” del 1415 scolpito per la facciata del duomo di Firenze.
Un secondo “Sant’Antonio Abate” della prima metà del Quattrocento, questa volta in piedi, si trovava invece nella chiesa del ricovero e oggi è visibile nella sagrestia della chiesa di San Giuseppe al Chiavello, meglio nota come chiesa di San Giuseppino. Anna Maria Maetzke attribuiva anche questa terracotta policroma a Michele da Firenze, ma più di recente Giancarlo Gentilini ha indicato Nanni di Bartolo, importante allievo fiorentino di Donatello, come l’autore.
 
Dalle visite pastorali eseguite tra Cinquecento e Settecento sappiamo che l’ospedale aveva pochi posti letto, in media otto, ma svolgeva egregiamente la sua funzione sotto la conduzione della Società di Sant’Antonio, che nella propria sede dava alloggio e stipendiava uno spedaliere. Nella visita del 1604 del vescovo Pietro Usimbardi si specifica che il luogo non dà ricovero ai bisognosi, se sono considerati cattivi soggetti. 
Priva di qualsiasi fonte attendibile è invece la destinazione del luogo per i malati di lebbra venuta a galla in passato. Il lebbrosario si trovava lungo via Romana, in località San Lazzaro, opportunamente isolato dalla città.

Nella seconda metà del Seicento la lunetta con la statua di Sant’Antonio Abate venne affrescata con lo stesso soggetto da Salvi Castellucci, ma i due angeli reggicortina che si notano sopra il santo eremita sono precedenti e rimandano agli affreschi realizzati intorno al 1480, che per la loro qualità sono stati attribuiti al grande Bartolomeo della Gatta da Cecilia Martelli.

Poco più a monte dell’ex entrata dell’ospedale si può notare una lunga cornice in pietra. È ciò che rimane di Porta Nova, una delle entrate di Arezzo lungo la cinta realizzata tra il 1194 e il 1200.
Con la costruzione della più ampia cerchia muraria tarlatesca, nella prima metà del Trecento, la porta fu avanzata all’incirca dove si trova oggi la stazione ferroviaria e prese il nome di Porta San Pietro. Con la realizzazione dell’ultima cinta cittadina, quella medicea nella prima metà del Cinquecento, le mura in questa zona vennero arretrate fino all’altezza dell’odierna via Spinello, ma l’entrata fu chiusa e l’unico accesso che rimase sul lato sud ovest fu la vicina Porta Santo Spirito.

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