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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

I monumenti alla strage nazista di San Polo

Il territorio aretino racconta attraverso i monumenti la strage di San Polo che costò la vita a 65 persone

Pochi luoghi aretini possono competere in bellezza con San Polo. Il contesto naturalistico, i percorsi a piedi e in bici, i panorami mozzafiato, un santuario mariano e un’antica pieve tra le importanti della Toscana, fanno della frazione a nord della città un angolo di paradiso. Eppure, ancora oggi, quando si dice “San Polo” il pensiero va subito al più spietato eccidio nazista avvenuto del territorio comunale di Arezzo, quello verificatosi il 14 luglio 1944 che costò la vita a 65 persone fra partigiani e civili, compresi bambini, donne e anziani.

I monumenti alla strage nazista di San Polo

In quei giorni le montagne e le colline intorno alla città erano luoghi di scontri tra invasori e partigiani collegati alla XXIII Brigata Pio Borri. Ai primi di luglio 1944, con gli alleati ormai vicini, parte della brigata era scesa dall’Alpe di Catenaia con un gruppo di prigionieri, stanziandosi nella zona Pietramala, Molin de’ Falchi e Vezzano. Allo stesso tempo furono presi contatti con gli inglesi già presenti a Cortona per consegnare i detenuti. 

Nella notte tra il 13 e il 14 luglio alcuni di loro riuscirono a scappare, raggiungendo il comando tedesco acquartierato a Villa Mancini di San Polo. La mattina del 14 luglio i nazisti pianificarono la rappresaglia e dopo aver liberato altri prigionieri, rastrellarono varie abitazioni. Dei tanti arrestati, solo una minima parte era composta da partigiani, tra i quali c’era anche la futura medaglia d’oro al valor militare Eugenio Calò. Il resto erano sfollati o abitanti inermi. Ci furono uccisioni sui luoghi delle catture, mentre le altre persone vennero incolonnate verso San Polo. Il tragitto fu un calvario, con nuovi arresti e uccisioni sommarie ai danni di coloro che rallentavano il passo. 

I militari del 274° Reggimento Granatieri dipendente dalla 94° Divisione di Fanteria, aggregato in quel momento alla 305° Divisione di Fanteria, giunsero a Villa Mancini con 48 individui che furono rinchiusi negli scantinati, dove i tedeschi iniziarono gli interrogatori e le atroci torture, utilizzando anche i tubi di caucciù utilizzati per travasare il vino. Alla fine arrivò dall’alto l’ordine di uccidere tutti e a nulla servirono i tentativi di mediazione del parroco Angelo Lazzeri.

Alle 17,30 un primo gruppo di prigionieri uscì dalla villa e fu accompagnato nel boschetto della vicina Villa Gigliosi. Dopo mezz’ora fu la volta di un secondo gruppo e alle 18,30 partì il terzo gruppo. I nazisti fecero scavare tre grandi buche e lì fu perpetrato il massacro. Dopo le esecuzioni, le fosse furono ricoperte di terra e fatte esplodere con la gelatina. Il mattino seguente don Lazzeri venne informato dei fatti e chiese di poter seppellire dignitosamente i corpi, ma il rifiuto fu categorico. Nello stesso giorno i nazisti lasciarono Villa Mancini e il 16 luglio Arezzo venne liberata.

Il 17 luglio si procedette alla riesumazione dei cadaveri o di quello che ne restava. Di quelle terribili operazioni rimangono le testimonianze fotografiche e i brevi filmati della AFPU – Army Film and Photographic Unit britannica. I medici incaricati di fare le autopsie rilevarono che in una delle fosse molti corpi non presentavano segni di arma da fuoco ma i caratteri tipici dell’asfissia. Si arrivò alla macabra conclusione che alcune vittime erano state seppellite vive.

Nei giorni successivi alla liberazione di Arezzo gli inglesi aprirono un’inchiesta sui fatti di San Polo, che non ebbe seguito. Nel 1972 il caso fu riaperto in Germania ma archiviato l’anno seguente. In Italia il fascicolo sulla strage era invece già stato “insabbiato” nel 1960 e lì rimase a lungo nel famigerato “Armadio della Vergogna” all’interno della Consiglio della Magistratura Militare presso la Corte Suprema di Cassazione di Roma. Nel 1995 il Tribunale Militare di La Spezia riaprì la pratica, finché nel 2007 arrivò la sentenza che assolse Herbert Hantschk, l’unico soldato tedesco imputato ancora in vita.     

Oggi i martiri di San Polo vengono ricordati da due monumenti. Il primo si trova nel luogo della strage, all’interno della proprietà di Villa Gigliosi ma visitabile da chiunque, grazie a un percorso esterno che conduce di fronte a manufatto dove sono riportati i nomi dei 48 uomini trucidati e dove sono presenti alcune foto stampate su ceramica e un bassorilievo marmoreo con la dedica.

Spostandoci nella parte alta di San Polo, subito a lato dell’antica pieve, si può invece ammirare in posizione panoramica il monumento realizzato grazie a un progetto che a partire dal 2006 coinvolse il Comune di Arezzo, la Circoscrizione 1 Giovi e il Liceo Artistico “Piero della Francesca” di Arezzo, da cui scaturirono negli anni a seguire anche un piccolo volume curato da Tiziana Nocentini dal titolo Memoria di un eccidio - San Polo 14 luglio 1944 il giorno più lungo” (collana De Artibus) e un docufilm per la regia di Alessandro Benci, a cui aderirono vari enti e associazioni

Il bozzetto della studentessa Elisabetta Festa dal titolo “La disperazione e la memoria” divenne un modello in terracotta raffigurante uno dei trucidati di San Polo ormai esanime, eseguito nel 2007 dallo scultore aretino Sandro Ricci ed esposto nell’atrio del Palazzo Comunale di Arezzo. Tre anni dopo lo stesso artista realizzò la splendida opera in bronzo, che assieme a una parte in cemento che rappresenta una lastra verticale con una sagoma umana a braccia alzate, prima di essere colpita a morte, va a comporre l’intenso monumento.

A sinistra un pannello riporta l’elenco dei 65 caduti tra i rastrellamenti avvenuti a Pietramala, Molin de’ Falchi, Vezzano e San Polo e l’eccidio di Villa Gigliosi. Accanto a ciascun nome leggerete anche le età di quelle povere vittime. La più anziana, Maria Barbagli, aveva 77 anni. Il più piccolo, Dante Buzzini, solo 20 giorni di vita. Anche da questo potrete riflettere sulla disumana ferocia che in un tranquillo giorno d’estate del 1944 si abbatté sulle piccole comunità a nord di Arezzo, che ancora oggi reclamano una giustizia che forse non arriverà mai.   

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