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Giovedì, 28 Marzo 2024
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Quei tesori di Arezzo sepolti al Pionta: il mistero del maestoso tempio perduto di San Donato

Un passato ricchissimo e un presente troppo spesso dimenticato. Le origini della frequentazione del Pionta risalgono al tempo degli Etruschi

Pochi luoghi sanno toccare il cuore degli aretini come il colle del Pionta, a sud ovest del centro storico di Arezzo, che dalla seconda metà del Novecento è pienamente inglobato nella città come parco pubblico a cui si accede da vari punti.

Stiamo parlando di una zona in cui la frequentazione umana si perde nel tempo. Dal periodo etrusco sono giunti ad esempio oggetti legati a un’area votiva ma anche a una necropoli. Anche per l’epoca romana sono state recuperate varie testimonianze che rimandano a un importante sepolcreto.

Secondo la “Passio Donati”, scritta come ricorda Pierluigi Licciardello tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo, il 7 agosto 362 il secondo vescovo di Arezzo Donato fu martirizzato durante il tentativo di restaurare il paganesimo dell’imperatore Giuliano. Da notare che i martirologi precedenti non parlano mai di santo martire ma solo di santo confessore.

La cittadella vescovile scomparsa del Pionta

Nei loro libri Alfredo Maroni e Angelo Tafi retrodatavano la morte al 304, ricollegandola alle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. Il successore Gelasio avrebbe poi fatto seppellire le spoglie al Pionta e promosso la costruzione di un oratorio martiriale. Leggenda o verità, grazie a questo culto la collina assunse un ruolo primario per la città e la sua vasta diocesi.

Proseguì l’utilizzo della zona come necropoli. Le indagini documentano la presenza di cinque tipi diversi di tombe, collocabili tra il IV e il VII secolo. In una, in particolare, fu scoperto un ricco corredo con gioielli d’oro databile al 650 circa. Tra VII e VIII secolo venne costruito il duomo di Santo Stefano e Santa Maria e allo stesso periodo risalgono i documenti che attestano l’esistenza nel colle di una scuola per chierici, mentre nel IX secolo fu fondato il Capitolo dei canonici, ovvero il collegio di sacerdoti e diaconi che vivevano in comunità. All’alto medioevo risale anche il nome del luogo, dal germanico “biunda”.  

Tra il 986 e il 1036 tre vescovi segnarono il massimo splendore del Pionta. Elemperto riorganizzò la Canonica e fece restaurare la cattedrale tra il 1006 e il 1009, incaricando per questo l’architetto Maginardo. Dopo la breve esperienza di Guglielmo, il vescovo Adalberto dal 1014 promosse la realizzazione di un maestoso edificio a pianta centrale e di forma ottagonale, il cosiddetto Tempio di San Donato. I lavori furono ancora assegnati a Maginardo, che venne inviato a Ravenna a studiare l’architettura di San Vitale. Il successore, Teodaldo, portò a termine il progetto e il 12 novembre 1032 le spoglie del santo furono traslate dall’oratorio paleocristiano nella nuova sede.

Eravamo nel periodo d’oro della cittadella vescovile fortificata, la cui vitalità culturale veniva ribadita dalla presenza del monaco pomposiano Guido d’Arezzo, che sotto la protezione di Teodaldo sviluppò le sue innovazioni in campo musicale.

Dal 1052, con Arnaldo, i vescovi aretini ottennero dall’imperatore Enrico III il titolo di “conti”, legittimando la loro influenza politica, ma con l’ascesa del Comune di Arezzo iniziarono gli attriti che in alcuni momenti sfociarono in veri e propri scontri.

Nel 1203 papa Innocenzo III ordinò il trasferimento dentro le mura cittadine della cattedrale e della sede vescovile. Pur rimanendo meta di pellegrinaggio, il colle perse così la sua centralità religiosa.

Non mancarono i momenti tragici, come il saccheggio dei perugini del 12 novembre 1335, ma i migliori artisti operanti in città continuarono fino almeno alla fine del Quattrocento ad arricchire i luoghi di culto del Pionta. Nella seconda edizione delle “Vite” del 1568 Giorgio Vasari fa i nomi di Margarito d’Arezzo, Buffalmacco, Giotto, Gaddo Gaddi, Iacopo del Casentino, Spinello Aretino, Parri di Spinello e Bartolomeo della Gatta.

Dal colle è probabile che provengano i tre splendidi “Crocifissi” lignei medievali, oggi custoditi nel Museo Diocesano, e il “San Sigismondo” di fine Duecento in marmo cipollino del Museo Statale d’Arte medievale e moderna. A un tabernacolo dedicato alla “Annunciazione” si fanno riferire alcuni affreschi staccati di Parri di Spinello risalenti agli anni Quaranta del XV secolo, anche questi conservati nel museo di via San Lorentino, mentre un affresco staccato di fine Trecento che raffigura la “Madonna della rosa”, attribuito a Spinello Aretino, oggi si trova nella chiesa sconsacrata della Madonna del Duomo di via Oberdan.

Sempre dal Pionta viene il cosiddetto “Deposito di San Satiro”, visibile nella cappella di Ciuccio Tarlati della cattedrale di Arezzo, che è un’urna marmorea trecentesca sormontata da un sarcofago del IV secolo d.C. 

L’ex cittadella divenne purtroppo anche un rifugio per sbandati ed eserciti nemici. Nel 1554, ad esempio, le truppe della Repubblica Senese al comando di Piero Strozzi si accamparono nella collina. Questo fu l’episodio che convinse Cosimo I dei Medici a ordinare la demolizione del complesso vescovile, iniziata il 21 ottobre 1561. Nonostante le suppliche degli aretini, lo smantellamento proseguì e in un documento del 18 agosto 1563 si dice che la distruzione era ormai “intervenuta”. Nel 1610 il vescovo Pietro Usimbardi fece erigere a ricordo un oratorio dedicato a Santo Stefano.

Si tornò a parlare del Pionta solo alla fine dell’Ottocento, quando fu decisa la costruzione del Manicomio provinciale nelle pendici occidentali della collina, che fu attivo dal 1901 al 1989. A metà degli anni Novanta l’Università di Siena fece recuperare parte degli edifici dell’ex ospedale neuropsichiatrico per trasferirvi il distaccamento della sua Facoltà di Lettere e Filosofia.

Dal secondo Novecento si riaccesero i riflettori anche sulla storia del “duomo vecchio”. Gli scavi approssimativi degli anni Sessanta e quelli proficui degli anni Settanta, sotto la direzione di Alessandra Mellucco Vaccaro, portarono alla luce i resti della cattedrale di Santo Stefano e Santa Maria e della sua cripta. Alcuni dei reperti rinvenuti – frammenti scultorei, epigrafi funerarie paleocristiane e parti di splendidi mosaici a tessere bianche e nere dei secoli XI e XII – si osservano all’interno dell’oratorio di Santo Stefano. Dalle scalinate laterali all’altare maggiore si accede invece alla cappella sotterranea, un ambiente ipogeico ritenuto la parte sopravvissuta di un luogo di culto più antico.

Nel 2001 le indagini al Pionta ripartirono grazie all’Università di Siena. Furono aperte altre aree di scavo e i ritrovamenti del periodo sono visibili in una sala allestita ad hoc nel Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate”.

Nel 2016 l’associazione Academo “Roberta Pellegrini” intraprese nuove ricerche in collaborazione con l’Università di Southampton, l’Università di Firenze e l’Università Tor Vergata di Roma, alla ricerca del Tempio di San Donato e di una migliore lettura della collina, ancora in gran parte da esplorare ma bisognosa di una decisiva e doverosa riqualificazione.

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