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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Aretino di nascita e per vocazione. Dal 2004 sono giornalista culturale, nonché addetto stampa e curatore di mostre ed eventi. La mia attività è rivolta principalmente, fin dall’inizio della carriera, al mondo delle arti visive. Credo nella natura divina dei Beatles

Arezzo da amare

La Minerva di Arezzo e la Domus di San Lorenzo

Il magnifico bronzo databile agli inizi del III secolo a.C., rinvenuto nel 1541 nei pressi della chiesa di San Lorenzo, è uno dei simboli identitari del territorio e una delle opere di riferimento quando si parla di Arezzo antica

Tra i grandi ritrovamenti archeologici del passato, nel cuore degli aretini la Minerva è seconda solo alla Chimera. 
Il magnifico bronzo databile agli inizi del III secolo a.C., rinvenuto nel 1541 nei pressi della chiesa di San Lorenzo, è uno dei simboli identitari del territorio e una delle opere di riferimento quando si parla di Arezzo antica. 
Il ritrovamento avvenne per caso durante lo scavo di un pozzo – almeno così dice la tradizione – a due passi da via Pellicceria, strada che ricalca quello che la maggior parte degli studiosi identifica come il “cardo maximum” della città etrusca e romana, ovvero il principale asse viario in direzione nord-sud. 

Nel settembre 1542 la scultura fu acquistata da Cosimo I de’ Medici e portata a Firenze. Nel 1559 venne collocata nel celebre “Scrittoio di Calliope” di Palazzo Vecchio, dove rimase alcuni anni. Nel 1676 la statua era documentata nella Galleria degli Uffizi e dalla fine dell’Ottocento andò a rappresentare uno dei pezzi forti del Museo Archeologico fiorentino.

La Minerva

La Minerva è stata associata alla tipologia “Vescovali”, che prende il nome dalla scultura in marmo della collezione omonima, oggi all’Hermitage di San Pietroburgo. A questo esempio vengono associate alcune statue di epoca romana che replicano un modello sviluppatosi in Grecia tra il 340 e il 320 a.C. da un’opera attribuita a Prassitele. Tuttavia alcune varianti rispetto alle altre sculture fanno del capolavoro aretino un unicum ed escluderebbero la sua realizzazione in un laboratorio ellenico. Più probabile la fusione in una raffinata bottega della Magna Grecia, che vantava officine rinomate, come quelle dell’area tarantina.

La dea della sapienza, delle arti e della guerra, Atena per i greci, è rappresentata in posizione eretta, con il peso del corpo gravante sulla gamba destra e i piedi provvisti di sandali che escono dalla veste femminile detta “peplo”. Sopra a quest’ultimo si trova l’elegante “himation”, capo tipico dell’antica Grecia che scende fino alle ginocchia e fascia il braccio sinistro, quindi si arrotola sotto al seno e cade lungo il fianco sinistro. Sul petto e sulle spalle si trova l’immancabile “egida”, corazza distintiva di Minerva fatta a squame e bordata da spire di serpenti. Al centro si vede la “gorgoneion”, cioè la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni che fu uccisa da Perseo grazie allo scudo donatogli dalla divinità.  
L’elmo in stile corinzio ha nella parte frontale uno dei simboli della dea, ovvero la civetta, in questo caso ad ali spiegate. La sommità era arricchita in origine da un serpente. Nel retro i capelli escono dal copricapo e sono raccolti sulla nuca con un anello. Stupendo il volto, con le labbra carnose e il naso sottile. 
Molti altri dettagli sono andati purtroppo persi, compresi gli occhi fatti d’avorio od osso.

L’ultimo complesso restauro, durato dal 2001 al 2008, ha rimosso le integrazioni dei secoli passati restituendo alla scultura una lettura più precisa. Sono stati eliminati anche il serpentello dell’elmo e il braccio destro posticcio realizzati nel 1785 da Francesco Carradori.  
Se oggi è possibile ammirare la Minerva nella sua città solo attraverso mostre temporanee, come quelle del 2008 nel Palazzo delle Logge e del 2017 nel Palazzo della Fraternita dei Laici, visitando il Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” si potranno comunque scoprire i resti della lussuosa abitazione del I sec. d.C. a cui è stata collegata la statua, dove poteva svolgere un ruolo ornamentale – anche allora si abbellivano le dimore con opere del passato – oppure continuare ad avere un fine rituale, che è anche il probabile motivo per cui era stata realizzata tre secoli prima. 

Alla Domus di San Lorenzo, indagata nell’area a destra dell’omonima chiesa nell’omonima piaggia, il museo aretino ha dedicato un’intera sala corredata da esaustivi pannelli descrittivi.
Al centro è esposto ciò che rimane di un pavimento musivo che decorava uno degli ambienti, realizzato con tessere bianche e nere. Esse vanno a formare un motivo a cerchi allacciati e cornice a fasce rettilinee, triangoli e pelte (che ricorda la mezzaluna). Al mosaico è abbinata una porzione di intonaco policromo recuperata dalla parete nord dello stessa stanza. Nella parte superiore spiccano i resti di due riquadri a rilievo. 
Tappeto musivo e intonaco furono rinvenuti negli scavi del 1933 e trasferiti nel museo l’anno successivo.

Dentro le nicchie a vetro della sala sono esposti alcuni stupendi bronzetti della prima metà del I sec. d.C. provenienti dal Lararium, ovvero il sacello che si trovava nelle abitazioni romane, in cui si collocavano le immagini delle divinità protettrici della casa e della famiglia. Da segnalare le statuette con gli dei Giove e Mercurio, il “Lars familiaris” e il “Genius familiaris”, che erano i numi tutelari che vegliavano sugli abitanti della domus, un’offerente femminile e due danzatrici. Altri oggetti presenti sono un rocchetto, una chiave e un lungo candelabro che poggia su zampe leonine. 

Dal giardino scomparso potrebbe provenire un frammento di rilievo in marmo lunense con un “Erote dormiente”.  Il fanciullo nudo alato ha un papavero nella mano sinistra e fu ritrovato nel 1907. 
Il lacerto di pavimento realizzato con la raffinata tecnica della tarsia, meglio conosciuta come “opus sectile”, fatto con lastre di marmo bardiglio di Luni e listelli di marmo rosso del Peloponneso, ribadisce infine la sontuosità della Domus di San Lorenzo e il prestigio di chi ci viveva.

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