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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Il cippo di San Niccolò e la drammatica storia della famiglia Innocenti

Il monumento si trova in una delle aree più antiche e suggestive del centro storico cittadino

Piazza San Niccolò è il cuore dell’Arezzo etrusca e uno dei luoghi più romantici del centro storico, da cui si gode di uno scorcio indimenticabile sulla città turrita. Un monumento inaugurato il 3 luglio 2014, a breve distanza dagli scavi archeologici degli Ottanta del secolo scorso, ci ricorda tuttavia una vicenda terribile, legata a uno dei tanti crimini compiuti dai nazisti nel territorio aretino durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Torniamo indietro al 15 gennaio 1944, quando i quadrimotori degli alleati bombardarono Arezzo a più riprese, fallendo in parte gli obiettivi strategici prefissati. Furono così rovinate anche la zona monumentale e la tranquilla area di San Niccolò, dove abitava la famiglia Innocenti, composta dai coniugi Gino e Isolina e i figli Adriana di 22 anni, Bruno di 20, Anna Lisa di 19 e Vanda di 10.

Gino Innocenti era un artigiano eclettico, noto in città per il suo ingegno. Aveva il laboratorio in via San Giovanni Decollato dove faceva il fabbro, il cesellatore, il meccanico, il riparatore di strumenti delicati come stadere e bilance e dove, quando poteva, forgiava il metallo anche per creazioni più artistiche. All’interno del mondo della Giostra del Saracino è ancora oggi ricordato come l’ideatore, assieme a Giovanni Bianchi, del congegno a molla che fa roteare di scatto il Buratto. In origine, infatti, l’automa girava dopo essere stato colpito dalla lancia per inerzia. Per questo motivo i due svolsero anche il ruolo di ”famigli”, ovvero i serventi del simulacro del Re delle Indie, che veniva ricaricato dopo ogni carriera. Il meccanismo è rimasto pressoché inalterato fino ai nostri giorni.

La casa di piazza San Niccolò, dove Gino viveva con i suoi cari, fu disintegrata dagli ordigni bellici e così gli Innocenti decisero di spostarsi in campagna nella zona tra Rigutino e Policiano, in località Toppo di Figline (o Fighine), dove abitava la sorella di Isolina Boldi. Con loro non c’era il figlio Bruno, chiamato alle armi il 21 agosto, fatto prigioniero dai tedeschi il 9 settembre 1943 e deportato in Germania nei giorni a seguire. 

In quei mesi, scanditi dalla lenta risalita degli Alleati lungo la penisola e dal conseguente arretramento nazista, erano tanti gli aretini che si trasferivano nelle colline e nelle montagne intorno ad Arezzo, pensando di essere al riparo sia dalle rappresaglie tedesche, sia dalle bombe alleate che a più riprese martellavano fabbriche, infrastrutture e abitazioni della città. Purtroppo non avevano fatto i conti con la furia nazista, che durante la ritirata setacciava i boschi e le campagne in cerca di bande partigiane o di chi li proteggeva e nascondeva. 

Come riporta Enzo Gradassi nel suo libro “Innocenti. Un eccidio aretino nel 1944” (Editrice Le Balze) dedicato al tragico episodio, tra il 2 e il 6 luglio i rastrellamenti tra Rigutino e Olmo portarono alla cattura e alla fucilazione o arresto di più persone. Il 3 luglio 1944 due soldati della 15° divisione Panzergrenadier – ovvero i granatieri corazzati dell’esercito tedesco – arrivarono al Toppo di Figline a fare razzia fin dal mattino di galline e altro cibo.

Tornarono nel pomeriggio e poi ancora in serata, dirigendosi verso la casa dove avevano riparato gli Innocenti, provvista di un loggione utile anche come postazione di vedetta. Trovarono un gruppetto di persone, tra le quali Isolina e le figlie più grandi, Adriana detta “Lidia” e Anna Lisa soprannominata “Mimma”. La piccola Vanda, per tutti “Vandina”, aveva invece accompagnato il padre, che era andato ad aiutare alcuni contadini a mettere in salvo dai predoni tedeschi il bestiame nei monti vicini. I due sarebbero rimasti fuori fino al giorno seguente. Tutti i presenti furono obbligati a uscire dall’abitazione, eccetto Adriana e Anna Lisa che invece vennero invitate a spostarsi in camera. La madre, intuite le losche intenzioni dei due bruti, si rifiutò di andar via e cominciò a gridare, sperando invano nell’aiuto di qualcuno. A quel punto una mitragliata colpì lei e le figlie. 

Anna Lisa probabilmente morì sul colpo mentre Isolina, agonizzante, venne freddata con la pistola. Adriana rimase ferita alle gambe e uno dei due tedeschi le sparò per ammazzarla, ma la pallottola anziché ucciderla attraversò il suo corpo e le lesionò un rene. Creduta morta, rimase moribonda fino al mattino successivo, quando fu soccorsa e trasferita all’ospedale di Cortona, liberata dagli inglesi proprio il 3 luglio, e successivamente a quello di Arezzo, che invece dovrà aspettare il 16 luglio per affrancarsi dal giogo nazifascista. La ragazza riuscì per fortuna a salvarsi, portandosi però dietro un enorme fardello di dolore fino al 2012, anno in cui sia lei, sia il fratello Bruno, che era riuscito a rientrare in Italia il 28 agosto 1945 dopo la terribile prigionia in Germania, passarono a miglior vita.

Il ricordo della “strage degli Innocenti” rimane ancora oggi vivo grazie a Vanda, che con coraggio e forza di volontà si impegna, affinché questa terribile pagina di storia familiare e aretina non finisca nel dimenticatoio, ma si trasformi in un monito per tutti coloro che non hanno vissuto sulla propria pelle la disumanità della guerra e dei regimi totalitari. È sempre grazie alla più piccola della famiglia, l’unica ancora in vita, che nel 70° anniversario dell’eccidio venne collocato in piazza San Niccolò, nel luogo in cui si trovava la casa natale, il cippo in materiale lapideo da lei disegnato e donato al Comune di Arezzo in memoria della madre e della sorella. 

Il cippo della “strage degli Innocenti” di piazza San Niccolò

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