rotate-mobile
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Alla scoperta della Chiusa dei Monaci

Nuovo appuntamento con la rubrica Arezzo da Amare di Marco Botti

La campagna che circonda Arezzo sa regalare in qualunque periodo dell’anno colori, profumi e sensazioni uniche.

Uno dei luoghi più affascinanti e gettonati per passeggiare o andare in bici si trova nella periferia ovest, a soli cinque chilometri dal centro. Dopo aver percorso via Calamandrei e svoltato a destra alla rotonda di Chiani in direzione di via Molinara, apparirà infatti davanti ai nostri occhi la Chiusa dei Monaci sul Canale Maestro della Chiana, spettacolare opera di ingegneria idraulica dalla lunga storia che vale la pena ripercorrere.

Le splendide immagini della Chiusa dei Monaci

La prima chiusa era già citata nei documenti del 1115 ma si trovava leggermente più a valle di quella attuale. Fu voluta dagli influenti monaci benedettini dell’abbazia delle sante Flora e Lucilla di Torrita di Olmo, che la utilizzarono sia come “pescaia”, sia per alimentare con un canale artificiale le gualchiere per la lavorazione della lana e un molino per i cereali. 

In un’epoca nella quale la Val di Chiana soffriva di progressivo impaludamento, la chiusa fu utile anche a regolare il deflusso delle acque. Per lo stesso motivo il Comune di Arezzo tra il 1339 e il 1348 promosse l’abbassamento dell’alveo di quello che era definito “fossatum novum”, primo passo del futuro “canale maestro”. Nel contempo la vecchia infrastruttura venne demolita e ricostruita più grande. 

L’opera si raggiungeva dalla città tramite la strada che uscendo da Porta Buja andava in direzione di Chiani, attraversando l’aperta campagna dove nel Novecento crebbe il quartiere di Pescaiola.  

L’escavazione del letto della Chiana nei dintorni della Chiusa dei Monaci proseguì sotto il controllo di Firenze anche dopo la definitiva sottomissione di Arezzo del 1384. 

Le piene che ciclicamente travolgevano il manufatto portarono nel 1532 a un nuovo smantellamento e conseguente riedificazione negli anni a seguire. Altre alluvioni devastanti, seguite da pronte ricostruzioni, sono documentate nel 1570, nel 1579, nel 1589 e nel 1593. 

Fu così che alla fine del XVI secolo gli aretini ipotizzarono un ulteriore ampliamento del canale, ma i fiorentini si opposero, temendo che una maggiore gettata nell’Arno avrebbe comportato un rischio più elevato di inondazioni nella loro città.

Anche nel 1601 e 1603 le piene provocarono vari danneggiamenti alla chiusa e per questa ragione i monaci ottennero l’autorizzazione a trasferirla poco più a monte, dove la roccia permetteva delle fondamenta più solide. Nel 1607 ci fu tuttavia un nuovo crollo e il consequenziale rifacimento.

Sempre nel corso del Seicento il matematico castiglionese Enea Gaci suggerì la demolizione totale dell’opera, ma il romano Evangelista Torricelli, dal 1641 matematico ufficiale del Granducato di Toscana, si oppose al progetto. 

A metà Settecento l’ingegnere trapanese Leonardo Ximenes fu invitato a sviluppare un piano per abbassarla, ma per non compromettere la navigabilità del canale non se ne fece nulla.

Nel 1769 furono avviati i lavori di restauro alla chiusa, ormai fatiscente. Nel 1797 fu ceduta dai benedettini, dopo quasi otto secoli, all’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano che già gestiva grandi proprietà agricole nella vallata per conto del governo lorenese. In quegli anni pure l’aretino Vittorio Fossombroni, soprintendente al dipartimento delle acque della Val di Chiana, consigliava la riduzione del suo livello.

Nuovi rifacimenti interessarono l’opera nel XIX secolo. Dal 1829 al 1839 l’ingegnere fiorentino Alessandro Manetti progettò un considerevole abbassamento e la realizzazione di nuove paratoie e di uno scaricatore a fianco per regolare il flusso delle acque. La possente infrastruttura in pietra e laterizio del Manetti è quella che ammiriamo in buona parte ancora oggi, nonostante i danni bellici del 1943 che distrussero il regolatore di destra, poi sostituito con un canale derivatore. La Seconda Guerra Mondiale causò anche il crollo delle tre arcate monumentali in mattoni del vicino ponte ferroviario ottocentesco sulla Chiana, in seguito rimpiazzate da un viadotto ad arco unico di minore pregio estetico. 

Punto di partenza dell’itinerario ciclopedonale inaugurato nel 2008 con il nome di Sentiero della Bonifica “Vittorio Fossombroni, che da Arezzo raggiunge Chiusi e affianca per 62 chilometri il canale maestro, l’area della Chiusa dei Monaci fu protagonista di un ultimo intervento conservativo e migliorativo concluso nel luglio 2019, quando venne inaugurata sulla sponda sinistra la bretella di collegamento fra il sentiero e la Ciclopista dell’Arno.

L’inizio della passeggiata in direzione del Ponte di Pratantico permette di ammirare da un punto di vista privilegiato il Molino Romboli, che la Provincia di Arezzo aveva previsto di riconvertire a Museo della Bonifica della Val di Chiana, un progetto dalla valenza storica e didattica rimasto finora sulla carta. In futuro quest’ultimo potrebbe diventare la ciliegina sulla torta di un luogo sempre più frequentato da aretini e turisti, che hanno la possibilità di osservare da vicino un esempio mirabile di dialogo tra uomo e natura.

Si parla di

Alla scoperta della Chiusa dei Monaci

ArezzoNotizie è in caricamento