Dentro la chiesa di San Lorenzo: misteri e capolavori perduti di un gioiello d'Arezzo chiuso al pubblico
Per il blog "Arezzo da amare", Marco Botti ci porta all'interno di un edificio che ha celato e cela tuttora enormi meraviglie: ha un'origine antichissima ed è legata a doppio filo a una domus romana del I secolo d.C.
Scendere da via Pellicceria verso via Fontanella significa ripercorrere il cardo massimo dell’antica Arezzo, ovvero la principale strada che la solcava in direzione nord-sud, e infilarsi in una parte fondamentale della città etrusca, romana e medievale. Poco prima di Palazzo Alberti, sede del Quartiere di Porta Crucifera, sulla sinistra appare ai nostri occhi la chiesa di San Lorenzo, affacciata sulla piaggia che da lei prende il nome.
Siamo di fronte a un edificio di origine antichissima, probabilmente paleocristiana, eretto sopra alcune abitazioni di epoca romana. Di sicuro è documentato dal 1025 e nel corso del Duecento fu ricostruito in stile romanico, ma di quel periodo sono rimaste poche testimonianze: le due campane accolte nel campanile a vela in mattoni con colonnette di marmo, alcune porzioni della parete esterna sinistra visibili lungo vicolo della Minerva, poco oltre il suggestivo arco, ma soprattutto l’abside di pietra decorata con elementi in cotto d’influsso ravennate, parzialmente visibile alzando gli occhi da via San Lorenzo, la strada a destra della chiesa che poi scende fino a piazza di Porta Crucifera.
Durante il Trecento il luogo di culto fu affrescato da alcuni pittori aretini. Nella seconda edizione delle sue “Vite” del 1568 Giorgio Vasari ci dice che Spinello Aretino realizzò per San Lorenzo un ciclo con le “Storie della Madonna” all’interno e una “Madonna in trono” all’esterno, protetta da un piccolo portico addossato alla facciata.
Il ciclo mariano fu ritrovato agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso nella parete destra ma venne poi attribuito ad autori locali minori, a eccezione di una pregevole “Annunciazione” assegnata a Spinello, che dopo essere stato staccata oggi si ammira nel Museo Diocesano di Arezzo. L’opera è datata ai primi anni Ottanta del XIV secolo. Purtroppo è andata persa la Madonna esterna, definita da Vasari “Nostra Donna bellissima”.
Sempre il pittore, architetto e biografo aretino ci informa che nel 1472 il grande cortonese Luca Signorelli affrescò per la chiesa una cappella con le “Storie di Santa Barbara”, da lui considerate le prime opere in assoluto dell’artista. Anche questo ciclo è scomparso del tutto e se consideriamo valida l’attribuzione vasariana, siamo di fronte a una grave perdita per la storia dell’arte.
Nel corso del Cinquecento la parrocchia di San Lorenzo fu abolita e il suo territorio accorpato a quello della chiesa di San Giustino, oggi scomparsa. L’edificio venne affidato alla corporazione dei mugnai e dei panettieri, che nel 1631 commissionò a Bernardino Santini le pitture del catino absidale, a conclusione dei lavori di restauro del luogo di culto sollecitati fin dalla visita apostolica effettuata nel 1583 dal vescovo di Sarsina Angelo Peruzzi su incarico di papa Gregorio XIII.
Nella fascia inferiore il miglior pittore cittadino del Seicento eseguì il “Matrimonio mistico di San Lorenzo” con quattro santi ai lati. Nella fascia centrale egli affrescò alcune “Storie di San Lorenzo” e nella parte sommitale un “Coro degli angeli”. Lo stesso Santini pitturò l’altare laterale destro, dove è ancora riconoscibile solo un “Sant’Antonio da Padova”.
Nel 1705 la chiesa a navata unica fu stravolta: sparì il portico, fu allungata la navata e gli affreschi interni vennero ricoperti con l’intonaco, per riemergere nei primi anni Trenta del Novecento grazie a don Ferruccio Bigi, il “rabdomante” dell’arte aretina, che dopo averli ritrovati sotto la calce ne promosse il recupero. Nel 1934, come recita una iscrizione, i restauri e le integrazioni dei dipinti si conclusero.
Due anni prima, nel 1932, la facciata era stata rifatta in stile neorinascimentale su progetto di Giuseppe Castellucci. Agli interventi degli anni Trenta risale anche la scritta “Ecclesia Sancti Laurentii” scolpita sopra l’entrata.
Oggi l’edificio sconsacrato è chiuso al pubblico e viene aperto solo per effettuare indagini archeologiche nel suo pavimento e monitorare lo stato di conservazione delle opere. Non bisogna dimenticare, infatti, che all’area di San Lorenzo è legato uno dei più importanti ritrovamenti archeologici della storia di Arezzo, la statua in bronzo della Minerva risalente agli inizi del III secolo a.C., forse fusa in una raffinata bottega della Magna Grecia e scoperta nel 1541, secondo una tradizione consolidata, durante lo scavo di un pozzo.
L’opera è correlata a una domus romana del I secolo d.C. attigua alla chiesa, dove la scultura probabilmente svolgeva un ruolo ornamentale. Una sorta di “pezzo d’antiquariato” per i ricchi proprietari della dimora.
Nel Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” di Arezzo è visitabile una apposita sala dedicata ai resti dell’abitazione, recuperati a più riprese nel corso del Novecento, e ai bronzetti provenienti dal “lararium”, ovvero il sacello privato in cui si sistemavano le statuette delle divinità protettrici della casa e della famiglia.
La Minerva, invece, nel settembre 1542 fu acquistata da Cosimo I de’ Medici e portata a Firenze, dove oggi è ammirabile nel museo archeologico del capoluogo toscano.