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Arezzo da amare

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A cura di Marco Botti

Centro Storico

Il Canto de’ Bacci, l’ombelico d’Arezzo. La storia del crocevia più suggestivo della città

I Bacci erano grandi mercanti ma anche personaggi sensibili all’arte. Furono loro a commissionare nel 1447 gli affreschi per la cappella maggiore della basilica di San Francesco

Nella parte alta di Corso Italia, dove le odierne via Cavour e via Mazzini confluiscono nell’antico Borgo Maestro, una piccola lapide collocata negli anni Trenta del secolo scorso ricorda a tutti che ci troviamo all’altezza del cosiddetto Canto dei Bacci.

Luigi Armandi, in una sua pubblicazione di qualche anno fa dedicata al luogo, lo definì a ragion veduta “l’ombelico di Arezzo”, perché a lungo è stato un fulcro di incontri sociali, culturali, politici, ma soprattutto commerciali. Non è un caso che alcuni dei più bei negozi della città si trovavano e si trovano ancora oggi qui, come non fu un caso che nel 1794 al Canto dei Bacci vennero posizionati i primi lampioni a olio per l’illuminazione pubblica della città.

La toponomastica odierna è ispirata ai grandi personaggi del Risorgimento italiano – Giuseppe Mazzini e Camillo Benso Conte di Cavour – ma in precedenza erano altre le denominazioni che connotavano la zona.

In epoca medievale, ad esempio, arrivati all’incrocio detto “Ser Cambio” si poteva andare a destra in direzione di Porta Crucifera passando per la contrada “dai figli di Ser Cambio al Canto dei Perini”, documentata nel Trecento anche come contrada “dai Berardi ai Perini”. Dal Seicento divenne la via della Madonna di Loreto fino a diventare via Mazzini.

Sempre nel medioevo, girando a sinistra per una strada molto più stretta di quella odierna, si arrivava invece alla chiesa di San Francesco percorrendo la contrada “da Ser Cambio ai Calderai”.

Questo tratto, nei secoli a seguire, cambiò il nome in “borgo dei Bacci” e quindi “via dei Bacci”, dal nome di una delle più facoltose famiglie aretine. Oggi fa parte di via Cavour.

Il Canto dei Bacci: la storia

I Bacci erano grandi mercanti ma anche personaggi sensibili all’arte. Furono loro a commissionare nel 1447 gli affreschi per la cappella maggiore della basilica di San Francesco, iniziati dall’artista fiorentino Bicci di Lorenzo. Alla morte di quest’ultimo, nel 1452, Piero della Francesca stipulò il contratto per la prosecuzione dell’impresa pittorica, regalando ad Arezzo e all’umanità “Le storie della Vera Croce”, uno dei cicli rinascimentali più belli e importanti di sempre.

Oltre che da Palazzo Bacci a nord ovest dove è il vero “canto”, abbreviazione di cantone, il crocevia nel cuore cittadino è connotato anche da altre tre edifici di importanti famiglie: Palazzo de’ Giudici a sud ovest, risistemato nel 1862 dopo i lavori che l’anno precedente avevano portato all’allargamento di via Cavour, come ricorda ancora una lapide sulla strada, Palazzo Berardi a sud est, appartenuto a ricchi mercanti medievali, e infine l’imponente Palazzo Bostoli a nord est, che fu l’abitazione di una delle più influenti casate guelfe cittadine.

Sul lato di Palazzo Bostoli che si affaccia su Corso Italia, il 1° marzo 1857 venne inaugurato un grande esercizio commerciale che comprendeva drogheria, pasticceria, fabbrica di liquori e generi coloniali.

Si chiamava Konz, Stoppani e C. – dal 1869 Giacomo Konz e C. – ma per gli aretini divenne presto “Gli Svizzeri”, a rimarcare la provenienza dei quattro soci: Giacomo Konz, Enrico Lansel, Gasparo Stoppani e Giacomo Barth.

Curiosa è la storia della sua apertura, perché gli imprenditori erano già operativi fin dal 1850 a Pisa. Arrivati a Firenze, prenotarono una diligenza che li avrebbe portati a Cortona, dove erano intenzionati ad aprire una nuova attività, ma in viaggio con loro c’era il funzionario granducale Dario Aiazzi, di Arezzo, che lì consiglio di fermarsi in città perché avrebbero fatto maggiori affari. Così fu.

Le immagini degli anni Venti del secolo scorso, con le bellissime vetrine dell’esercizio commerciale rinominato G. Konz & C., ci ricordano che alcuni anni dopo l’apertura furono allestiti all’interno anche un ufficio per cambiare le valute e una mesticheria.   

Il dirimpettaio Palazzo Bacci è di origine trecentesca e presenta ancora molti elementi interessanti sia all’esterno che internamente. Da notare ad esempio, i grandi archi del piano terreno e i resti delle finestre con arco polilobato sul lato di Corso Italia.

All’interno si trova il cortile con un portico sorretto da colonne esagonali in pietra che terminano con capitelli contrassegnati dallo stemma familiare. Al centro di una volta del piano terra è invece visibile un affresco ritenuto di scuola spinelliana con il “Cristo Redentore”, risalente quindi alla fine del XIV secolo o agli inizi del secolo seguente, che necessiterebbe di un intervento conservativo. Salendo fino alla terrazza panoramica, frutto dello sbassamento della torre del palazzo, si gode di una delle vedute più suggestive della città turrita vista da una prospettiva inedita.

A nord, est e ovest le torri e i campanili del centro storico fanno a gara a chi si mostra nella sua veste migliore, in un gioco di forme e altezze varie indimenticabile. È a sud, tuttavia, che si può osservare dal terrazzo la veduta più singolare, perché forse è l’unico punto da cui si può ancora percepire per intero il rettilineo che dalla fine di via Romana arriva in cima a Corso Italia, ricalcando il tratto dell’antica Cassia Vetus in entrata ad Arezzo.

Ecco che allora possiamo immaginare generazioni di Bacci affacciate a guardare il “Palio di San Donato”, corsa alla lunga di cavalli scossi, ovvero senza fantino, che si svolse dall’epoca medievale fino all’Ottocento. Il 7 agosto di ogni anno, per il santo patrono, i concorrenti partivano dalla località La Mossa e giungevano al traguardo di fronte alla pieve di Santa Maria Assunta. Il vincitore si guadagnava la gloria per il proprio padrone e – ce lo auguriamo – una doppia razione di biada per un intero anno.

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