rotate-mobile
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Palazzo del Pero

Alla scoperta di Badia Ficarolo: una perla della Valcerfone

Qui la storia e la natura si ergono a protagonisti di uno spettacolo impareggiabile, allietato nella bella stagione dall’ottima cucina della chef Enrica Romani

Incastonato in cima a una piccola altura affacciata sulla Valcerfone, in magnifica posizione panoramica, l’Agriturismo Ristorante Badia Ficarolo conserva i resti di una delle più affascinanti abbazie benedettine medievali del territorio aretino: Badia Ficarolo.

Tutto ebbe inizio nel 1064, quando alcuni nobili della zona donarono alla potente abbazia di Montecassino (FR) un terreno “cum castello et muris et carbonariis” per realizzare una chiesa da dedicare a San Benedetto.

A quei tempi, quindi, nella zona di Ficarolo o Ficaiolo era presente un castello dismesso con le sue strutture difensive e le relative carbonaie. Il fortilizio sorgeva in una posizione strategica, perché controllava sia l’antica via che nel fondovalle seguiva il corso del fiume Cerfone e collegava Arezzo a Città di Castello, sia i percorsi che invece sfruttavano il vicino crinale.

Oggi del castello non c’è più traccia ma con intuito Simone De Fraja ha ipotizzato la sua ubicazione a circa 150 metri a est dei resti della badia, a quota leggermente più alta, dove si nota una sommità rialzata e spianata artificialmente che offre tutti i requisiti per ospitare una rocca, poi utilizzata come cava di materiale per realizzare il complesso benedettino. Una seconda ipotesi indica la stessa badia come sede originale del maniero altomedievale, sorto a sua volta su fortificazioni più antiche.

La donazione a Montecassino è singolare. Jean Delumeau indicò quei nobili donatori come i futuri conti di Bivignano, documentati a partire dal 1144, che per motivi politici preferirono accettare la dipendenza dall’influente centro benedettino, lontano da Arezzo, rispettato alla subordinazione ai monasteri principali del territorio o al vescovo della città. La celebre porta di bronzo della chiesa abbaziale di Montecassino, voluta da Desiderio che fu abate dal 1058 al 1086 e poi salì al soglio pontificio col nome di papa Vittore III, cita anche la nostra badia. Nelle formelle aggiunte nel XII secolo per volere dell’abate Oderisio I, con i nomi dei vari possedimenti cassinesi, leggiamo infatti la diciturain Aretio S. Benedictus in Ficarola”.

In un documento del 1169 si citava la donazione alla Canonica di Arezzo di beni posseduti da Righetto di Rigolo nell’abbazia e nella vicina pieve di San Donnino a Maiano. Nel 1194 papa Innocenzo III confermò il possesso alla Chiesa aretina.

Alla pari degli altri monasteri medievali della Valcerfone, anche quello di Ficarolo non ebbe mai una comunità monastica numerosa e forse nemmeno un abate, come notava giustamente Silvano Pieri, ravvisando solo la presenza di priori. Agli inizi del Trecento, quando venne eletto Francesco Albergotti, erano presenti ad esempio solo tre monaci.

Altri priori si succedettero nei decenni a seguire. Nel 1431, con la morte di Jacopo di Cristoforo dei conti di Bivignano, non c’erano più monaci e il 5 luglio di quell’anno ci fu una stravagante presa di possesso della badia da parte di Pietro di Cecco, parroco di Peneto, davanti al notaio. La cerimonia fu poi considerata nulla dal podestà di Arezzo Lorenzo Macchiavelli, visto che l’abbazia era disabitata ma di patronato dei conti di Bivignano e senza il loro consenso nessuno poteva appropriarsene.

Nello stesso anno venne così nominato priore Bernardo Armaioli, a cui seguì Zenobio Landi. Entrambi erano fiorentini. Con il romano Celso Mellini, dal 1475 al 1481, si ebbe il primo “commendatario”. La commenda consisteva in un beneficio ecclesiastico temporaneamente affidato in custodia a un religioso o laico, che quindi godeva delle sue rendite.

Nel 1498 il fiorentino Filippo Adimari, l’ultimo priore, rinunciò al titolo. Per volere di papa Alessandro VI, il famigerato Rodrigo Borgia, il monastero ormai in condizioni precarie passò al Capitolo dei Canonici della Pieve di Arezzo.

Dalle visite religiose cinquecentesche abbiamo alcune informazioni. In quella pastorale del vescovo Francesco Minerbetti del 1535 si dice che la chiesa di “Sancti Benedecti de Ficaiolo” era stata riedificata da Donato Ottaviani, arcidiacono della pieve. Nella visita apostolica del vescovo di Sarsina Angelo Peruzzi del 1583, voluta da papa Gregorio XIII, il luogo di culto era di nuovo scoperto e abbandonato, quindi il visitatore ordinò ai canonici il restauro e l’adeguamento alle norme dettate dal Concilio di Trento, che si era concluso vent’anni prima. Probabilmente le direttive non furono rispettate, perché nella visita del vescovo Pietro Usimbardi del 1598 la chiesa era ormai diruta.

Le condizioni pietose vennero ribadite nelle visite del 1613 e del 1641. Da quelle successive non ci fu più bisogno di andare a controllare lo stato di Badia Ficarolo, segno che ormai era irrecuperabile. A metà del Seicento l’ex area abbaziale fu affidata ai Brandaglia per volere di papa Alessandro VII, ma nel 1714 erano nuovamente attestati i Canonici della Pieve. Nel XVIII secolo giunsero gli Albergotti e infine, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, tutto venne acquistato dai Romani, ancora oggi proprietari dei terreni e degli edifici che dopo la chiusura del complesso monastico furono smembrati e riadattati per ospitare i contadini che lavoravano le terre della zona. La chiesa della badia, invece, fu usata come cava di pietra.

Oggi dell’edificio di culto rimane la stupenda abside in pietra, pentagonale all’esterno e semicircolare all’interno, con la monofora a doppio strombo al centro. Gian Francesco Gamurrini ipotizzò la presenza iniziale di due absidi laterali perdute e tre navate, idea non accettata in seguito da Mario Salmi, Angelo Tafi e altri studiosi. Da notare i resti delle due porte laterali.

Ciò che rimane della chiesa è amorevolmente custodito dai Romani, che hanno anche recuperato le due coloniche abitate dai coltivatori fino all’immediato secondo dopoguerra, per realizzare il loro agriturismo. Il restauro dell’edificio più piccolo è iniziato nei primi anni Novanta e si è concluso nel 1994. Il recupero del secondo ci fu nel 1998 per la parte relativa agli appartamenti e nel 2002 per la zona della ristorazione. Entrando nel ristorante si può accedere alla cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, risalente almeno al XIII secolo e situata tra le due coloniche, dove in precedenza doveva essere il chiostro del monastero. Il deposito è scavato nella roccia ed ha una volta a botte. A osservare la parte scolpita, viene da pensare a un’origine precedente all’insediamento benedettino.

L’agriturismo e i resti dell’abbazia si raggiungono percorrendo la Sr73. Un chilometro dopo Palazzo del Pero si svolta a destra seguendo le indicazioni e si sale per un chilometro e mezzo. Arrivati sulla sommità, la storia e la natura si ergono a protagonisti di uno spettacolo impareggiabile, allietato nella bella stagione dall’ottima cucina della chef Enrica Romani.

I resti di Badia Ficarolo in Valcerfone

Si parla di

Alla scoperta di Badia Ficarolo: una perla della Valcerfone

ArezzoNotizie è in caricamento