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Una Rems ad Arezzo, il Centro Basaglia: "Non è questa la soluzione"

L'attacco della presidente Tina Chiarini: "Salute mentale, ad Arezzo sempre meno risorse"

Riceviamo e pubblichiamo dalla presidente dell'associazione Centro Basaglia Arezzo Tina Chiarini a proposito di una nuova Rems ad Arezzo.

Apprendiamo dalla stampa che la Regione Toscana ha deliberato di incrementare in attuazione del suo programma del 2014 il numero di posti letto nelle REMS-D (Residenza per l’Esecuzione di Misura di Sicurezza Detentiva) esistenti (Volterra, Empoli) e di creare ad Arezzo una “struttura intermedia psichiatrica” sempre rivolta a soggetti psichiatrici autori di reato.

La tempistica di questa deliberazione non può non fare pensare che si sia agito, anche se non lo si dice esplicitamente, in risposta al gravissimo episodio di Pisa che è costato la vita alla psichiatra Barbara Capovani.

Se così fosse, bisogna dire subito che, a nostro avviso, la risposta è sbagliata da ogni punto di vista.

Episodi come quello di Pisa, non si prevengono – sempre nei limiti del possibile – aumentando i posti letto nelle strutture residenziali psichiatriche o nelle Rems ma attuando servizi/dipartimenti di salute mentale nel territorio, forti, dotati di organici e risorse di ogni tipo, finanziati almeno come prevede la Legge.

La logica del posto letto, infatti, è sempre perdente: nel 2013 nell’opg di Montelupo erano internate 37 persone e ci sono voluti mesi per trovarne una sistemazione esterna in una Regione che all’epoca aveva circa 700 posti letto residenziali utilizzabili anche per persone con problemi psichiatrici; oggi ci sono 39 posti in Rems e non bastano e i posti residenziali psichiatrici in generale sono 900  di cui 60 solo per psichiatrici che si vorrebbero portare a 105; con la nuova struttura di Arezzo (ci si domanda dove la costruiranno, forse nell’area ex o.p. del Pionta che già ospiterà il Centro per l’autismo e la futuribile sede del centro di salute mentale?) si arriverà a 105 posti letto e di certo ancora non basteranno perché il posto  letto induce la richiesta di posto letto in una dinamica perversa sempre incrementante (basta vedere l’esperienza degli ospedali civili i cui posti non bastano mai qualunque reparto si consideri).

Alla logica del posto letto si deve rispondere con la prevenzione del ricovero e la presa in carico territoriale da parte del dipartimento di salute mentale, che per i casi giudiziari si coordina strettamente con la magistratura (di cognizione e di sorveglianza), ancora una volta, cioè, in uno stretto rapporto territoriale come peraltro prevede la legge.

Per fare questo ci vuole un servizio “forte” e una Azienda Usl impegnata nella salute mentale: non è il caso del Servizio di Arezzo (e non certo per volere dei suoi operatori) né della Asl da cui dipende.

Il servizio di Arezzo nel corso degli anni si è sempre più impoverito di risorse: il personale è carente, precarizzato, sottoposto a continui turn over, talora operante “a scavalco” tra un’area e l’altra, tutte condizioni che impediscono un efficace lavoro territoriale di presa in carico, specie quello rivolto a pazienti “complessi” come i soggetti autori di reato  (che, di conseguenza, come nel caso di Pisa, finiscono col “galleggiare” tra salute mentale e giustizia e ad alimentare il convincimento della pericolosità del paziente psichiatrico e della rems come soluzione di tutti i problemi).

Inoltre ad Arezzo sono diminuite risorse essenziali per il lavoro: da anni sono chiusi i servizi con funzione di diagnosi e cura nella Zone “minori” (per ragioni di risparmio?!) e ancora oggi l’SPDC del Valdarno è a rischio chiusura/ridimensionamento per carenze di organico col risultato di  gravare tutte le funzioni di ricovero presso l’SPDC di Arezzo, sacrificando la continuità terapeutica nel momento più critico, quello della crisi, della gestione del paziente; l’aggravamento delle condizioni di lavoro in questo reparto può indurre anche comportamenti regressivi come la chiusura delle porte e il ricorso “sporadico” alla contenzione mai accaduto prima nella storia dei servizi di ricovero ad Arezzo.

Questa situazione di difficoltà dei servizi territoriali è il risultato tanto della incapacità delle diverse usl che si sono avvicendate fino all’attuale ASL di Area vasta ad affrontare i problemi della salute mentale quanto del progressivo abbandono delle pratiche virtuose maturate ad Arezzo col superamento del manicomio .

Solo alcuni esempi: da anni (dalla chiusura ufficiale dell’O.P. nel 1990)  non si è riusciti a trovare una collocazione al di fuori dell’area dell’ex manicomio per un residuo manicomiale nell’area del Pionta (ex Colonia Agricola), né, oggi, a trovare una collocazione esterna per attività di riabilitazione tuttora collocate in locali fatiscenti nell’area dell’ex O.P., per non dire che da sei mesi il SIM non ha una sede unica dopo che la precedente, in Via Guido Monaco, è stata resa inagibile da un incendio.

I problemi sono quindi complessi e tutto questo si riflette anche sui risvolti della sicurezza di operatori ed utenti che non si risolveranno con l’aumento dei posti letto nelle REMS o creando nuove strutture residenziali per i pazienti autori di  reato.

Quindi, lo diciamo alla Regione e all’ASL Toscana SE, prima si ripristini una piena operatività dei Servizi Territoriali di Salute Mentale aretini altrimenti non è pensabile che possano farsi carico della gestione di una struttura impegnativa e complessa come una “residenza sanitaria intermedia” a bacino d’utenza di Area vasta o Regionale.

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