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Rapito dai terroristi e sopravvissuto alla Libia, la storia di Hassan. "Rinato ad Arezzo, ora sogno un lavoro come orafo"

Inizia oggi un viaggio che ci porterà a raccontare storie di migranti: giovani che hanno lasciato la propria terra e le proprie famiglie trovando poi un riscatto ad Arezzo.

Il viaggio

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"La prima tappa fu Addis Abeba, in Etiopia. Poi il Sudan, a Cartum, e poi verso la Libia attraversando il Sahaara. Dopo circa un mese arrivammo in Libia. Era quasi estate e finìì subito in carcere. Finii all'inferno". Dai camion, decine e decine di persone furono letteralmente scaricate nelle "carceri". "Vivevamo in 200 stipati in una sola grande stanza. Uomini, donne e bambini. Dormivamo stesi sul fianco uno accanto all'altro, perché non c'era spazio. Per uscire servivano soldi, tanti soldi, e in pochi potevano trovarli. Ogni giorno ci torturavano. Ogni notte stupravano le donne". Per essere libero ad Hassan furono chiesti 3500 euro, ma la sua famiglia non ne possedeva. "Ero sicuro che sarei morto lì: di solito le famiglie cercano soldi, si fanno aiutare, ma io non avevo un telefono per chiamarli e anche loro non avevano telefoni. Insomma non potevo contattarli". Poi nel lager arrivò un giovane del suo stesso villaggio. "Aveva un telefono e avvertì la sorella negli Stati Uniti". Così un tam tam tra migranti somani nel mondo e la raccolta fondi per salvarlo. 
"Ma non era finita lì: quando arrivarono i soldi i carcerieri mi mandarono in spiaggia con altri tre giovani. Ci diedero pezzi usati da assemblare e ci dissero di costruire un gommone. Nessuno di noi ne era capace. Il motore pesava 25 chili, io ero debolissimo e non riuscivo nemmeno ad aiutare ad alzarlo. I carcerieri mi picchiarono ancora. Pensai di aver perso tutti i denti". 

Dal lager all'Odissea in mare

Quell'imbarcazione, un gommone, fu assemblata: "Ci caricarono 110 persone e ci fecero partire da soli. Era la notte del 26 novembre 2016. A mezzogiorno del 27 novembre la barca si fermò. Pensai che non avremmo avuto scampo". Poi una nave li raggiunse: "A bordo c'erano persone in divisa, ma non so se erano italiani. So solo che ci portarono fino a Catania. Io lì fui curato, avevo profonde ferite ovunque, e avevo perso tantissimo peso".

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