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I processi, la bancarotta, Gelli, Berlusconi, la famiglia. Intervista a Piero Mancini: "Non smetto di combattere"

E' stato a capo di un gruppo con oltre duemila dipendenti e un giro d'affari di centinaia di milioni di euro. Poi da un giorno all'altro gli hanno sfilato l'impero dalle mani. Ma lui, a 73 anni, non si arrende: "Le accuse nei miei confronti non reggono, il tribunale lo confermerà. La mia vita? Non ho rimpianti. Io ho sempre prodotto ricchezza"

“Il 18 giugno 2008 è cambiata la mia vita. Mi hanno arrestato ed è cominciato il declino delle mie aziende. Ma non mi sono mai arreso. Né ho intenzione di farlo adesso”.

Piero Mancini, 73 anni compiuti il 27 aprile, è stato per anni un imprenditore di successo, con una rete di affari ramificata in Italia e all'estero. Telecomunicazioni, costruzioni meccaniche, impiantistica, edilizia: il gruppo aveva interessi in svariati settori, con oltre duemila dipendenti e un giro d'affari di centinaia di milioni di euro. Mancini ne era l'amministratore vulcanico, la guida carismatica, il capo che sapeva vedere più lungo degli altri, in grado di gestire gli imprevisti, i rapporti diplomatici, perfino la ribalta mediatica derivante dalla presidenza dell'Arezzo calcio, tenuta saldamente in pugno in un decennio di vittorie storiche e brucianti sconfitte. Adesso le sue partite più importanti non si giocano in campo né sui tavoli dei cda ma nelle aule di tribunale. E in attesa del processo più pesante, quello per bancarotta che comincerà nel 2022, Mancini ne sta uscendo meno ammaccato del previsto, tra prescrizioni e verdetti favorevoli. L'ultima assoluzione gli è arrivata pochi giorni fa dall'accusa di evasione fiscale.

Dica la verità. Non è stanco di combattere?

Fino a che ho forza, vado avanti. Per fortuna ho una salute di ferro. L'altra settimana mi sono messo al volante prestissimo per andare a Torino. Sono tornato la sera. La mattina dopo alle 9 ero a Milano. Io vado a letto e non vedo l'ora faccia l'alba per partire di nuovo. Sono sempre stato così.

I processi non le hanno tolto energia?

No, solo un po' di serenità. E basta.

Bancarotta, evasione fiscale, distrazione di soldi dalle sue aziende per fini personali. Sono accuse pesanti.

Guardi, è stato lo stesso commissario a sostenere che il gruppo non doveva fallire. Quando un'azienda crolla, gli stabilimenti sono vuoti. I miei li hanno trovati pieni. Io per me non ho preso nemmeno una carriola. Per questo l'accusa di bancarotta non regge. Sa quante denunce ho avuto in vita mia?

Quante?

Nemmeno una. Zero. Alle mie aziende non ho portato via nulla perché non mi è mai interessato avere l'aereo privato, lo yacht, la villa. Io vivo bene anche in quaranta metri quadrati. Da quando ci sono i cellulari non porto più nemmeno l'orologio. La mia felicità è arrivare a sera e avere creato qualcosa di buono. La guardia di finanza ha controllato, sa quanto spendevo. Al processo verrà tutto a galla.

Sta dicendo che non era e non è ricco?

Sono ricco d'animo. Non ho mai avuto bisogno di tanti soldi per andare avanti.

Ci pensa mai a una possibile condanna?

No.

Aveva un impero tra le mani e gliel'hanno sfilato nel giro di pochi giorni. E' lei che ha tradito i suoi dipendenti o qualcuno ha tradito lei?

Chi comandava, avrebbe potuto fare qualcosa. Non dico per me, che ero il primo contribuente di Arezzo, quanto per il mio gruppo e per chi ci lavorava. Ma non lo fece.

la sede del gruppo Mancini in via Molinara

Si riferisce alla politica?

Mi riferisco a quelle quattro o cinque persone che comandano in tutte le città.

In quanti le hanno voltato le spalle?

In quel periodo feci ciò che un imprenditore non dovrebbe fare mai. Mi rigiocai il cacio vinto, come si dice, per salvare le aziende. Ma commisi un errore, per la prima volta non feci di testa mia. Detti retta a un amico che nella mia sfortuna trovò la sua fortuna. Avevo fatto tanto per lui, oggi non ci parliamo più.

Può dire chi è?

Preferisco di no.

Qualche amico fidato ce l'ha ancora?

Uno. Ho tante persone di cui mi fido, ma un solo amico vero. Ho seguito quasi tutte le udienze dei miei processi perché volevo ascoltare cosa dicevano i testimoni. E ho capito molte cose.

Per esempio?

Se avessero detto tutti la verità, oggi in tribunale non dovrei andarci più.

Vuole ancora bene ad Arezzo?

Certo. Anche se fuori da Arezzo avrei avuto più opportunità e meno ostacoli. Ma a questi posti sono affezionato. Il sabato e la domenica mi rifugio nella mia Rassinata e non mi muoverei da lì.

Cosa fa oggi Piero Mancini?

L'imprenditore. Ogni due settimane vado nell'est Europa per affari. Nella mia vita ho sempre portato ricchezza e occupazione, il lavoro è la mia passione da quando ero bambino.

Addirittura?

Mio padre Domenico era un coltivatore diretto. Io a dieci anni castravo i maiali, fecondavo le vacche. I veterinari che venivano da noi e dagli allevatori lì intorno mi portavano con loro. Li guardavo all'opera, imparavo alla svelta.

Piero Mancini allo stadio ai tempi della serie B

Che rapporto aveva con suo padre?

Ottimo. Ma chi comandava era mia madre Maria. Portava avanti la casa, gli animali, accudiva me e le mie sette sorelle. Mi diceva sempre: “essere persone perbene è come avere i soldi in tasca”. Grazie a lei siamo cresciuti uniti, rispettosi. Erano bei tempi.

Meglio di quelli di oggi.

No, questo no. Per andare a scuola facevo qualche chilometro a piedi fino a Palazzo del Pero, poi prendevo l'autobus per Arezzo e restavo in città tutta la settimana. Tornavo a casa solo il sabato e la domenica. Meglio oggi.

Fino a quando ha studiato?

Ho iniziato l'istituto per geometri, ma perdevo tempo. E lasciai.

Le pesa non avere il pezzo di carta?

Mi pesa aver fatto piangere mia madre, lei voleva che mi diplomassi. Nel lavoro poi mi sono circondato di laureati. Loro ci mettevano il sapere, io le idee: ha sempre funzionato. Fino all'arresto.

Sono passati tredici anni. La procura di Firenze l'accusava di truffa e riciclaggio, con l'aggravante di aver favorito la mafia. Si sente una vittima o qualche leggerezza l'ha commessa?

Il mio arresto era infondato, inutile. Tant'è che poi il procedimento è stato archiviato. Però mi hanno tolto tutto: la carta di credito, i conti in banca, la casa di mio padre alla Rassinata. Ero diventato un bandito.

Quanto le hanno fatto male quei giorni di carcere?

Non troppo. Per fortuna ho un carattere forte e tanta serenità interiore. Il brutto viene dopo: o sei Berlusconi oppure crolli. Sa cosa penso?

Cosa?

Che io non ho pagato la mafia e la mafia me l'ha fatta pagare.

In che senso?

Lavoravo molto in Sicilia. Ho costruito il palazzo più grande di Palermo, con centinaia di appartamenti. I clan mi stavano addosso, non ho mai ceduto. Allora cominciarono le minacce, un giorno trovai una testa di capretto davanti a uno dei miei uffici.

Silvio Berlusconi, ex presidente del consiglio

Ha avuto paura?

No, anche se per qualche mese ho viaggiato con la scorta.

E' il destino di tanti potenti purtroppo.

Non mi sono mai sentito un potente. Forse la gente mi vedeva così. Io ho sempre parlato allo stesso modo con tutti, direttori e manovali. Più volentieri con i manovali.

Di lei si diceva che fosse l'uomo di Licio Gelli. Era vero?

Io non sono stato l'uomo di nessuno. Però Licio Gelli era un mio amico. E non lo rinnego.

Un amico con tante ombre, anche pesanti.

L'ho conosciuto nel 1981. E l'ho sempre visto come una persona che si dava da fare per aiutare gli altri. Se le dicessi quanti parlavano male di lui in pubblico e poi andavano a suonare il campanello di Villa Wanda, resterebbe a bocca aperta.

Lei si iscrisse alla P2?

Gelli me lo chiese, risposi di no.

Si dice anche che le sue sventure siano cominciate quando Gelli le ha voltato le spalle.

E' una diceria senza senso. Penso di essere stato una delle ultime persone che Gelli ha visto prima di morire.

Ma lei la politica la segue?

Con disillusione. Vado sempre a votare perché è un'espressione di democrazia e libertà ma i politici non mi piacciono, vendono ciò che non hanno.

Per chi vota Piero Mancini?

Sempre stato democristiano. Poi ho votato Berlusconi.

L'ha conosciuto?

Ci siamo visti in più occasioni, sia a Roma, a palazzo Grazioli, che ad Arcore. E' un grande imprenditore, uno che ama la sua patria e la sua gente. Poteva vivere ovunque con meno preoccupazioni, ha scelto l'Italia.

Mancini con l'allenatore Elio Gustinetti nell'estate del 2005

Senta, alla sua età si sarà voltato indietro qualche volta. E' contento della vita che ha fatto finora?

Sì. L'unico cruccio è di non essere riuscito a creare una famiglia unita come ce l'avevo io da bambino. Ma è cambiato il mondo.

Lei è sposato?

Sono stato sposato 33 anni. Poi mi sono separato e non ho più convissuto con nessuno fino a pochi mesi fa.

Ha riscoperto l'amore?

Sto bene con questa ragazza, che è più giovane di me e ha la pazienza di sopportarmi. Io mi alzo alle 4 come prima, lavoro come prima. Però quando torno a casa la sera, sono più contento.

E i suoi figli?

Gessica ha 43 anni, Rachele 36, Lorenzo 31. Potevo essere più presente ma non ho sensi di colpa nei loro confronti. Parlo molto con tutti e tre e cerco di trasmettere quello che i miei genitori davano a me. Il rispetto soprattutto.

Non le ho chiesto niente dell'Arezzo calcio. Lei è stato presidente dieci anni, l'ha portato in B e poi ha messo il club in liquidazione, lasciandolo nei dilettanti. E' una ferita aperta quella.

Non potevo fare altrimenti. L'avrei regalata la società, solo che nessuno la voleva. A noi ci uccise la retrocessione in C del 2007: le entrate calarono e le uscite rimasero le stesse. Sbagliai anch'io: tenni tutti i giocatori, invece avrei dovuto rivoluzionare la squadra.

L'altra settimana è venuto Gustinetti allo stadio. Ha detto che se fossero rimasti lui e il gruppo della stagione 2005/06, l'Arezzo sarebbe salito in serie A.

Può darsi. Ma se lui ci avesse messo un po' più di convinzione, forse in A ci saremmo andati anche l'anno prima.

Magari senza la cessione di Abbruscato al Torino sarebbe stato più facile.

Abbruscato non l'ho ceduto io, è voluto andare via lui. E Cairo ce l'ha pagato bene. Comunque le confesso una cosa.

Cosa?

I milioni che ho speso per l'Arezzo sono quelli che mi pesano di meno. Quando sono cominciati i problemi con la giustizia, mi hanno fatto terra bruciata intorno. Sembravo un criminale. I tifosi invece, anche oggi, mi incontrano e mi chiamano presidente. Non l'avrei mai detto, ma alla fine le soddisfazioni più belle le ho avute con il calcio.

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