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L'enologo Trombelli come il dottor Burioni: smonta teorie antiscientifiche e diventa star dei social

Ai più il dibattito potrebbe non dire granché. Eppure c'è un mondo pulsante dietro al vino, variamente innervato da tecnici di settore, rivenditori, produttori, sommelier e semplici - ma grandi - appassionati pronti a dirsele (e quindi a darsele...

Ai più il dibattito potrebbe non dire granché. Eppure c'è un mondo pulsante dietro al vino, variamente innervato da tecnici di settore, rivenditori, produttori, sommelier e semplici - ma grandi - appassionati pronti a dirsele (e quindi a darsele sul web) di santa ragione. Perché, ormai da anni, è accesa la diatriba sui cosiddetti vini naturali. E il crocevia del confronto, in questi giorni, è Arezzo. Perché la città è casa dell'enologo Umberto Trombelli. Allievo di Giacomo Tachis - che tra le molte altre cose è stato il padre di leggende enologiche nazionali come il Sassicaia e il Tignanello -, Trombelli ha detto la sua, una settimana fa, con un post su facebook (che riportiamo integralmente in calce all'articolo) che moltissimo ha fatto discutere (qui l'articolo di Intravino), tra centinaia di commenti e condivisioni. Quasi un Roberto Burioni (il medico che ha nel mirino gli antivax) del vino, che smonta - garbatamente ma fermamente - teorie senza fondamento. Il suo intervento, due giorni fa, è stato tradotto anche in inglese, perché il contributo sta alimentando il dibattito anche a livello internazionale. Si parla di solfiti aggiunti e di lieviti selezionati che non sono il male assoluto, ma si difende anche il modo di produrre uva rispettoso della terra e l'uso non invasivo di legni per affinazione (botti e barrique).

Come è nata l'idea di questo intervento?

"Sono da poco sui social ma mi sono subito stufato di leggere affermazioni senza fondamento. E così mi sono fatto prendere dall'enfasi".

Sui social, ha avuto la stessa idea di Umberto Eco? Cioè che hanno dato il diritto di parola a legioni di imbecilli?

"Ho pensato a Eco in effetti. Ma ci sono anche tante persone intelligenti che commentano. Spero che il mio contributo faccia chiarezza".

Lei non ce l'ha contro i produttori di vini naturali?

"Assolutamente. Ad Arezzo collaboro con La Vialla, che lavora in biodinamica. Seguo una piccola azienda biologica nelle Marche. Ma lavoro anche con aziende convenzionali".

Lavora in tutta Italia?

"Sì, con Il Pollenza, azienda in provincia di Macerata. Con la Cantina di Santadi in Sardegna. Con la Tenuta L'Entrata di Incisa della famiglia Della Valle".

Come è finito ad Arezzo?

"Sono nativo di Bologna, piemontese di adozione, ho seguito la scuola enologica di Alba. Poi ho iniziato a viaggiare per l'Italia. Sono ad Arezzo dal 2002 perché ho sposato una toscana".

Tra i fari dei produttori naturali ci sono il minor uso possibile di correttivi chimici sia in vigna, quindi nella coltivazione dell'uva, che in cantina, ossia nel processo di produzione del vino. Cosa contesta?

"Rispetto valide opinioni di appassionati. E sono anche io del parere che la terra vada rispettata, evitando pesticidi, ad esempio. Ma ci sono fobie ingiustificate, come quella dei lieviti selezionati, usati per la fermentazione del mosto. La scienza può dare una mano a limitare i difetti del vino. Perché non sfruttarla? Ci sono argomentazioni contrarie che non stanno in piedi. Viene poi demonizzata la categoria degli enologi, così senza senso".

Qual è la lezione di Giacomo Tachis che tiene a mente?

"Mai dare sentenze. Confrontarsi sempre. Con tutti".

Il territorio di Arezzo sta crescendo per qualità dei prodotti?

"Il territorio di Arezzo è forse quello meno conosciuto tra i vocati alla produzione del vino in Toscana. E' stato ingiustamente bistrattato nel passato. In realtà può dire la sua in modo molto incisivo, toccando le giuste leve comunicative. Perché non deve avere complessi di inferiorità".

Terra da rossi di qualità. E i bianchi e gli spumanti?

"Ritengo che ci sia spazio anche per i bianchi e le bollicine: il territorio di Arezzo ha alture medio alte, che permettono la coltivazione di vitigni a bacca bianca, oppure a bacca rossa come il pinot nero, che un tempo non si pensavano adatti a queste zone".

Un consiglio a un giovane produttore che vuol fare vino naturale?

"Quello di studiare. Poi la produzione di vini nella maniera più naturale possibile è un fine perseguibile. E mi piacerebbe anche aggiungere una cosa".

Prego.

"Il 1° marzo a Villa Severi ad Arezzo sarò ospite di una serata organizzata da Ais Arezzo. Ci saranno in degustazione una decina di vini. Si parlerà di vitigni autoctoni (come sangiovese, trebbiano), ma anche di quelli internazionali (merlot, cabernet sauvignon). Perché, a dispetto di quello che si può erroneamente credere, anche questi ultimi possono far esaltare la territorialità di un vino".

@MattiaCialini

L'ignoranza fa più danni dei lieviti e dei solfiti

di Umberto Trombelli

Prendo spunto da alcune riflessioni e commenti postati negli ultimi giorni sui Social per approfondire alcune tematiche a cui tengo particolarmente e a cui non posso più voltare le spalle.

Nei giorni scorsi stata pubblicata un'intervista ad un produttore vitivinicolo fautore dei vini naturali. In essa l'intervistato esprimeva dissenso su quei Produttori di vini naturali che vedono nei difetti organolettici un simbolo distintivo della loro naturalità e della territorialità.

Nello stesso tempo, difendendo la buona gestione della cantina, esprimeva il suo disappunto su chi utilizza lieviti selezionati e /o coadiuvanti vari in vinificazione.

Il succo dell'articolo pubblicato voleva, in qualche modo, sostenere che il difetto, così come l'uso di coadiuvanti e additivi, altera l'originalità di un vino e il suo legame con il territorio. Questo punto di vista, tra i meno estremi in circolazione, sta diventando il tema dominante tra molti enoappassionati a cui si aggiungono fantomatici esperti che alimentano il dissenso mettendo alla gogna Imprenditori vinicoli ed Enologi.

Vediamo di fare un po' di chiarezza.

Nei miei 30 anni di attività di enologo ho avuto modo di approfondire le tecniche di produzione per vini prodotti da uve coltivate in Bio, in Biodinamica o in Agricoltura convenzionale; su vini senza solfiti aggiunti, senza l'uso dei lieviti selezionati, su vini cosiddetti “industriali” e vini commercializzati con sedimento in bottiglia. Ritengo di aver fatto una discreta esperienza ma non mi sento né appagato né arrivato, anzi, sono talmente appassionato a questo lavoro che continuo a leggere e a studiare perché troppe sono le lacune che la Scienza ancora non riesce a spiegare, nell'approfondimento dei chimismi fermentativi e conservativi dei vini.

Mi fa male vedere criminalizzare l'Enologia in generale da chi di Enologia non sa un fico secco. Come enologo sono felice di sentire finalmente che tra i Produttori di vini Naturali si riconoscano i difetti per quello che sono: non esprimono un territorio ma bensì lo sviliscono. Molti, però, tra cui alcuni Opinionisti, anche di grido, li esaltano e ne fanno un punto di forza per scoprire nuovi astri nascenti. Il difetto, come dice un famoso collega, è identificabile in ogni luogo e in ogni dove; quindi, oltre ad essere svilente è anche un carattere omologante. Non sono nuovi questi temi: negli anni sono stati “divinizzati” vini che un Produttore metteva in bottiglia senza nessun controllo, così che ti capitava di comprare o ordinare una bottiglia che aveva fatto una malolattica in bottiglia o era rifermentata per qualche residuo zuccherino mal considerato: guai ad avanzare qualche critica perché eri segnato come barbaro e ignorante; paradosso dei paradossi.

Mentre sono d’accordo sul riconoscere che i difetti sono difetti, non posso condividere invece il concetto che un vino, per essere originale e riconoscersi in un territorio deve essere prodotto senza l'uso di coadiuvanti e/o additivi. Riconosco che nei vini di massa se ne fa uso e, in certi casi, dai quali prendo le distanze, un uso esagerato. Se, però qualcuno cercasse di approfondire i temi, l'ABC della Biologia, della Chimica e di tutti i fenomeni che stanno alla base delle trasformazioni che ci portano ad ottenere un vino, forse sarebbe più disposto a riconoscere che il motore biologico che ci permette di vinificare va guidato dall'uomo. L'evoluzione naturale dell'uva infatti quella di riprodurre da un seme un'altra vite: il vino un prodotto regolato, voluto e condotto dall'uomo.

In Natura non esiste se non per un breve intermezzo nell'arco del processo di deperimento biologico dell'acino d'uva.

L'uva prodotta in un vigneto posto in un territorio vocato fa l'unica differenza. Il vitigno autoctono è un elemento in più ma solo se ben selezionato.

L'uso di lieviti selezionati, quelli identificati come veloci e sicuri attivatori della fermentazione, l'uso di batteri malolattici, magari ottenuti dalla conservazione in cantina nell'anno precedente, l'uso dei solfiti in modo corretto e non invasivo, non è il male. La barrique e il contenitore in legno in genere sono nati per uno scopo: affinare, illimpidire e stabilizzare naturalmente il vino; non conciarlo su un gusto di legno!

Tutte queste sono tecniche e strumenti che l'uomo ha escogitato nei secoli per migliorare e rendere fruibile nel tempo il vino. Non ci vedo niente di male in questo, anzi, lo ritengo il modo ideale per valorizzare un vino in un territorio purché si usino con il contributo di una Viticoltura attenta e mirata, in un legame indissolubile.

Questa sarà la sfida del futuro per l'Italia: emergere su un mercato globale legando i nostri vini ai propri territori di produzione e con essi unirci la nostra Storia, il nostro patrimonio gastronomico e culturale.�Oggi, più che mai, è importante avere una coscienza comune per imporci su un mercato sempre più difficile e complesso. Ridurre il problema pensando che i lieviti selezionati siano un fatto negativo è fuori tema e controproducente.

Se è vero che sono stati selezionati ceppi di lieviti che caratterizzano e generalizzano il bouquet di un vino è anche vero che ne esistono tantissimi che sono solo buoni fermentatori che non intaccano le peculiarità originali delle uve. La scelta è ampia. Pensiamo solo per un attimo a che cosa sarebbe oggi la produzione di Champagne o di Spumanti, di qualsiasi zona del mondo, se non ci fossero i lieviti selezionati: sono stati selezionati appositamente per raggiungere quel risultato enoico e senza snaturare, anzi, per valorizzare gli stessi.

Che dire poi di come si selezionino nell'ambiente "Cantina" i lieviti cosiddetti “Spontanei” che fermentano i mosti di quei Produttori “ Naturali”: essi sono microorganismi che vivono in quiescenza nelle loro cantine (non nei loro vigneti!), si risvegliano a contatto dei mosti e si propagano durante tutto l'arco della vendemmia per poi ritornare, alcuni, di nuovo dormienti. In una cantina non esiste un lievito unico che inizia e porta a termine un processo fermentativo, nemmeno quelli selezionati possono fare ciò.

Per caso, chi sostiene il contrario ha mai fatto fare delle ricerche microbiologiche per capire chi sono e che origine hanno i loro agenti lievitanti?

A loro posso dire che se facessero delle indagini, delle mappe genetiche di quei ceppi “Indigeni” scoprirebbero che quei lieviti si trovano anche commercializzati e venduti come buoni vinificatori; troverebbero dei comuni Saccharomyces Cerevisiae, il microorganismo appartenente al mondo Vegetale, un fungo, l'agente della fermentazione. Troverebbero anche colture di lieviti apiculati, lieviti "non buoni", "pericolosi", non perché mostri ma perché in determinate condizioni ambientali preferiscono mangiare altro oltre agli zuccheri, e questo “altro” è un problema, un difetto 9 volte su 10.

Scoprirebbero semplicemente che ciò che dicono è senza fondamento.

Come dicevo ho provato a vinificare uve e ad affinare vini senza l'uso dei solfiti per più vendemmie. Il risultato che ne ho tratto che si possono produrre ma con un risultato qualitativo privo di personalità. Per un effetto ossidativo i profumi si perdono rendendo i vini insignificanti rispetto ai tradizionali. A oggi non esiste una tecnica che permetta di produrre vini di pregio, soprattutto a lungo invecchiamento senza l'uso di questo complesso additivo che funge da antisettico, da conservante e da stabilizzante. A che prezzo poi? Perché se proprio si volesse evitarne l'uso bisognerebbe usare altri additivi quali tannini, tannini e ancora tannini. Che dire poi dei vini bianchi senza l'uso dei solfiti: aiuto!

È vero: i solfiti aggiunti sono fastidiosi, tossici. Se usati in modo accorto, però, non arrecano tutto il fastidio di cui si sente vociferare. I limiti legali di essi sono stati abbassati nei vini negli ultimi tempi e subiscono continui ritocchi al ribasso mano a mano che cresce l'esperienza degli operatori ma non è, al momento, possibile farne a meno. A chi ne contesta l'uso vorrei chiedere se compra e consuma crostacei freschi, senape, sottoli, sottaceti, salse in genere ecc. Ci si chiede mai quanti solfiti aggiunti ci sono in gran parte dei cibi conservati? E quando si fa un conto della dose massima ingeribile per chilo corporeo di solfiti si considerano mai quelli ingeriti attraverso i cibi tutti? Troppo facile parlare senza sapere!

Perché si deve sempre pensare che la Ricerca, lo studio e chi cerca di applicare il frutto di tale lavoro siano dei pericoli, dei terroristi speculatori che vogliono avvelenare il prossimo?

Sono un Enologo e cerco di valorizzare al meglio i vini dei miei clienti lavorando sulle peculiarità delle uve che producono in uno specifico territorio. Uso pochi coadiuvanti e solo quando sono necessari.

Nonostante questo non si può trovare una identità comune tra tutti i vini a cui lavoro, passando dal Nord al Sud dello Stivale e non per questo credo di essere un “Alchimista”: credo di essere solo un buon “Pilota” che usa le tecniche che la Scienza mi dà per svolgere bene il mio lavoro. Non solo, mi ritengo fortunato. Tanti miei colleghi non possono dire lo stesso perché sul Mercato del vino non ci sono solo i vini famosi, ci sono anche i vini normali, quelli che si bevono tutti i giorni, come si beve una semplice birra; perché c'è anche un consumatore che qualche volta vuole bere soltanto un buon vino senza fare elucubrazioni se sta bevendo un Cabernet o un Sangiovese. Ci sono dei consumatori novizi che per arrivare ad un vino importante devono educare il proprio palato iniziando a bere vini semplici. I vini semplici non sono dei veleni! Sono dei vini ottenuti da Uva! I loro mosti sono vinificati con tecniche moderne e affidabili usando anche coadiuvanti e additivi alimentari autorizzati per ottenere anche vini "perfetti" e "piacioni". E allora? Dovremmo lasciare questo Mercato? Dovremmo dire a migliaia di operatori di cambiare mestiere perché qualcuno che non conosce e non si informa pensa che stiano facendo qualcosa di inaccettabile? Che stanno perseguendo un business contro natura? Assurdo! Il vino deve essere considerato in tutte le sue varianti qualitative e commerciali da un Paese che il primo produttore mondiale. Se la Tecnologia ci permette di contenere i costi ed essere competitivi anche sulle fasce di prezzo più convenienti non c'è niente di male. Nel mercato c'è posto per tutti e il nostro intento deve essere quello di migliorare sempre. Farsi la guerra per un pugno di lieviti mi sembra un modo per voler cercare un capro espiatorio che non risponde alle domande importanti. Concludo facendo presente che le mie riflessioni da professionista sono principalmente una mano tesa a chi si rivolge al mondo del vino con passione e competenza con il quale non vedo l’ora di confrontarmi in modo costruttivo.

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