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La paura fa(ceva) Novanta

La riflessione di Giancarlo Renzi.   La  paura  è una brutta compagna e si diffonde  come un virus. Vivo in un paese  di  vite   amicali, dove  la paura era  scomparsa da qualche tempo. (ma nascevano i rew party). E la tranquillità era ...

La riflessione di Giancarlo Renzi.

La paura è una brutta compagna e si diffonde come un virus.

Vivo in un paese di vite amicali, dove la paura era scomparsa da qualche tempo. (ma nascevano i rew party). E la tranquillità era un pane quotidiano. Poi in successione qualche malfattore vi ha fatto tappa, notturna o alla luce del sole meridiano. Ed è stato subito “tenebre”: chiudiamo porte, spranghiamo balconi, cerchiamo l’estraneo, barrichiamoci in casa…

La Tv da tempo è la grancassa, la “fonderia” che suona “doppi” campanari che riecheggiano oltre le canoniche.

E’ tutto un sospetto che rigurgita ad ogni angolo, che gronda nel parlare a distesa.

E’ vero, la paura “fa paura” a tutti. Ma non è – purtroppo – una invenzione moderna. Solo che l’avevamo dimenticata.

Anche quassù in montagna. Dove ha fatto parte della nostra storia da sempre. Una sociologia della “convivenza con l’ignoto”, con lo “schioppo” a tradimento, di cui abbiamo perso la memoria.

Fino all’Ottocento si costruivano le abitazioni con le “feritoie”, cioè piccole aperture sopra le porte per sparare dall’alto a improvvidi avventori, avventurieri, briganti, malfattori di varie risme. Ma si accoglieva il viandante e il povero - i forestieri o extracomunitari di allora - dividendo con essi il tozzo di pane che scarseggiava in quasi tutte le “madie” contadine.

Se in antico i gruppi di abitazioni si stringevano sui cucuzzoli e si barricavano turriti, con porte “infrangibili” anche dopo i guelfi e i ghibellini, le guerriglie di avventurieri “senza terra”, i “malfattori” di varia genia,continuavano ad essere il pane quotidiano di una vita in continua insicurezza.

Andare in Maremma era un viaggio pericoloso. Il “Passator cortese” ha avuto – non secoli fa – meno cortesi imitatori.

Alle porte di Sestino resiste il toponimo “Fonte dei ladroni”, che è tutto un programma. A Monterone ancora nel Settecento il banditismo fu una continua sofferenza e basta citare qualche cronaca: ”I banditi fermavano e derubavano i viandanti lungo le strade e i lavoratori in aperta campagna, assalivano le canoniche, entravano di prepotenza, giorno e notte, in Monterone…Ad ogni ora vi acapitano “ e intimavano più cose agli abitanti “altrimenti se li venia male lor danno”. E a lungo si autorizzano riassetti delle abitazioni sulle mura “perché non entrino banditi”.

Qualche secolo prima, il tribunale posto sull ‘imprendibile Sasso di Simone, non conosceva soste; 1243 processi in 10 anni, con 939 condanne contro banditi, ladri, assassini, evasori fiscali (ossia delle gabelle), ruberie di vario genere, assalti ai beni altrui nelle campagne.

Non era tutto tranquillo allora. E non lo è oggi. Cambiano le tecnologie- cellulari e fiamma ossidrica – ma la vita da malfattori ha sempre avuto molti affezionati.

Comunque la paura faceva – e fa – Novanta e tanti moderni “mal di pancia”.

(Giancarlo Renzi)

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