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"Mi dicevano che non avrei mai preso la stella. E invece". L'impresa di Luca, chef con Arezzo nel cuore

Intervista a Luca Fracassi anima del ristorante Octavin, fresco di stella Michelin: solo 14 coperti e una filosofia precisa, a partire dalla materie prime del territorio. "In tavola porto il mio pensiero, in cucina sono solo". Tra le scommesse vincenti: aceto di carpa e vino naturale

"Beh, ero stato invitato alla cerimonia, ma non avevo immaginato di ottenere questo riconoscimento. Ho realizzato soltanto quando mi hanno consegnato il grembiule da chef con la stella ricamata: quando sono salito sul palco ero emozionato, mi sono commosso. Io non sono da palcoscenico, sono da dietro le quinte". La prima stella Michelin della città di Arezzo ha il volto di un under 40, Luca Fracassi, che in poco più di tre anni ha portato la sua creatura, il ristorante Octavin, ad entrare nell'olimpo della cucina mondiale. La sfida di questo locale era partita nel 2018, con ingresso dalla scalinata Camillo Berneri che si affaccia in via Guido Monaco. Locale intimo, design curato, un'idea precisa di cucina: a partire dalla materia prima locale, che incontra tecniche apprese nel corso di una straordinaria gavetta, incrociando sapori figli di lunghi viaggi ed enorme curiosità.

E adesso l'ingresso nella Rossa, mai prima un ristorante del comune aretino c'era riuscito. E oggi in provincia gli fa compagnia soltanto Il Falconiere. "Sono rimasto un po' spiazzato - dice a mente fredda lo chef - è un riconoscimento così importante e bello. Ma io non ho lavorato per prendere la stella. Non ci pensavo, non ci speravo. E' stata una cosa totalmente inaspettata. C'era chi mi diceva che tanto non avrei mai presa la stella, io stesso non pensavo di rientrare nei criteri. E invece".

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Come è stato il ritorno ad Arezzo da chef stellato?

"Bellissimo. Non mi aspettavo un riscontro del genere. Sono stato inondato di affetto. Non immaginavo che un riconoscimento di settore potesse avere tanta eco".

Profeta in patria, non scontato.

"Mi dicevano che non sarebbe stato stato facile lavorare ad Arezzo, che forse non c'era spazio per l'idea che avevo di ristorazione. Invece da quando sono aperto ho servito soprattutto aretini. E oggi ringrazio la mia città".

Peraltro buona parte della vita dell'Octavin ha risentito della pandemia Covid.

"Eh sì, non è stato facile. Durante i periodi di chiusura imposta, ho aperto la pasticceria Cloé. E poi Otto, che ha funzionato come enoteca, abbiamo fatto anche mescita. Ma adesso mi concentro solo su panettoni e colombe per i periodi di Natale e di Pasqua. Mentre Otto è un negozio di bottiglie di vino".

Il vino che piace a te, oltretutto.

"Come per la cucina, ho deciso di puntare su quello che mi piaceva, senza compromessi. Credo che sia una scelta che alla lunga possa pagare. Vedo che rispetto a tre anni fa ci sono sensibilità nuove, altri locali che si orientano su certi prodotti".

Parliamo di vini cosiddetti "naturali". Alcuni dei quali risultano non facili da affrontare per un palato abituato a calici "convenzionali".

"Quando abbiamo iniziato sembrava un'eresia. Ma non è che ho in carta solo vini 'estremi'. Ci sono bottiglie di piccoli produttori, magari non celebri. Una volta un cliente mi ha detto che si era stupito di non conoscere nemmeno una delle etichette. Ma il bello è anche quello: noi lavoriamo molto con il wine pairing. Alessandro in sala ci si dedica molto. Abbiniamo piatti e vini. Ogni incontro è un viaggio, una scoperta".

Questa stella qualcosa cambierà per l'Octavin. Chissà le prenotazioni.

"Beh credo di sì. Però aumentano le responsabilità. Ho lavorato in ristoranti stellati. Si alza il livello, aumentano le aspettative e le esigenze. E tu devi essere sempre all'altezza. Ora si fa dura, ora viene il bello".

Hai fatto una scelta precisa da tempo: solo menù degustazione.

"Esatto: 8 portate per quello principale. E poi c'è un menù più snello da 6. Andrò avanti su questa strada, è quello che ritengo più giusto. Materie prime del territorio, dal mio orto. Carne e pesce da fornitori locali. Il menù è stagionale, ma significa che un piatto può restare anche per 2-3 settimane soltanto. Vedi le preparazioni con i funghi. Diciamo che ci sono piccole variazione mese dopo mese. E dopo 5-6 mesi il menù cambia radicalmente".

C'è un piatto a cui sei più legato?

"C'è un ingrediente a cui sono molto legato. È la carpa dei nostri fiumi, che affumico ed essicco. È entrata in un gran numero di preparazioni. Adesso ne ho ricavato un aceto, che - pur essendo formalmente di accompagnamento - è il grande protagonista della mia tartare di bovino adulto".

Qualcuno che vuoi ringraziare?

"I clienti, i miei genitori e i miei collaboratori, dal primo all'ultimo".

La stella è una tappa importante: quali sono le precedenti e fondamentali che ti hanno portato a questo punto?

"Tutte esperienze formative: penso a maestri come Paolo Teverini e Alberto Faccani. Ma dentro alla mia formazione sul campo ci metto anche i miei viaggi di piacere e scoperta".

È vero che in cucina sei solo?

"Sì. Prima di Octavin ho lavorato sempre in grandi brigate. In una grande brigata, magari lo chef nemmeno si vede. Ma a me piace pensare che il cliente venga ad assaggiare davvero il mio piatto. Ho scelto di avere solo 14 coperti per riuscire a gestirli da solo. Ma così posso portare il mio pensiero in tavola dall'inizio alla fine".

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