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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Il San Donato portavoce nel progetto Fadoi con l'unità operativa di medicina interna

L’unità operativa di Medicina Interna della Asl di Arezzo è stata scelta tra i 19 centri in Italia, uno per regione ed unico portavoce per la Toscana, come protagonista del circolo comunicativo e di collaborazione nazionale inerente al progetto...

L’unità operativa di Medicina Interna della Asl di Arezzo è stata scelta tra i 19 centri in Italia, uno per regione ed unico portavoce per la Toscana, come protagonista del circolo comunicativo e di collaborazione nazionale inerente al progetto FADOI. Salvatore Lenti, medico internista del San Donato e membro del dipartimento del FADOI, ha spiegato che “ad Arezzo la popolazione che manifesta patologie cardiache e ipertensione arteriosa collegata ad altre malattie è anziana, con un età media di 74-75 anni, ciascuno dei quali ha almeno 3 patologie di cui una cardio-vascolare e assume giornalmente almeno 7-8 farmaci. Nella nostra provincia il valore della prevenzione alimentare e dietetica è decisamente scarso e si aggira intorno al 10 % rispetto i valori nazionali, mentre è sicuramente soddisfacente il lavoro che viene fatto con la somministrazione dei farmaci adeguati. Oltre il 70% dei pazienti che hanno subito già uno scompenso cardiaco, ictus o infarto, restano in cura e continuano ad essere controllati da noi medici internistici”.

In tema di prevenzione, molto è stato fatto ma altrettanto resta da fare. I risultati dell’indagine nazionale parlano chiaro: un buon controllo dei vari fattori di rischio si riscontra in meno del 50% dei pazienti, solo il 36,9% ha un adeguato controllo del peso, appena il 14,3% riceve un regime dietetico strutturato al momento del ricovero. Da considerare attentamente anche l’attività da svolgere in relazione al contesto vissuto dal paziente, visto che la combinazione tra condizione clinica e supporto sociale è indicata come il più importante tra I fattori limitanti per un’ottima gestione della prevenzione cardiovascolare. Un dato di particolare importanza è che il 50% dei pazienti ha insufficiente aderenza alle terapie e bassa consapevolezza del proprio profilo di rischio clinico. In tal senso l’iniziativa di FADOI è anche rivolta a creare sensibilità e consapevolezza da parte dei pazienti e degli operatori sanitari, nella convinzione che solo in questo modo sarà possibile realizzare una cura e una prevenzione secondaria incisive.

Per Plinio Fabiani, Direttore della Medicina interna dell’ospedale dell’Isola D’Elba “a livello nazionale la metà degli ipertesi non sa di esserlo e dell’altra metà il 50% vengono trattati farmacologicamente. Di questi ultimi soltanto un 20% continua ad essere controllato dopo aver manifestato infarto o un altro evento cardiaco di rilievo. All’interno di questo 20%, un 10% di pazienti manifesta ipertensione resistente. Con questo termine ci si riferisce a elevati valori pressori che anche con interventi medici non si riescono a riportare sotto i livelli limite consentiti. Le cause possono essere di tipo alimentare, ma anche farmacologiche, quando le cure previste non danno in determinati organismi gli effetti desiderati.

Le cattive abitudini alimentari e il diabete sono potenzialmente fattori di rischio particolarmente incisivi sui livelli di pressione cardiaca. Come afferma il medico cardiovascolare di Massa Marittima, Alessandro De palma: “chi è soggetto a diabete è come se avesse già avuto un infarto, per questo il paziente diabetico deve essere preso in carico a tutto tondo, non limitandosi al controllo del valore glicemico, ma anche tenendo conto delle complicanze cardiache che possono insorgere. È necessario - prosegue – personalizzare la terapia, in particolare sugli ambiti dell’alimentazione e dell’attività fisica, in concomitanza, ovviamente, con un adeguato bilanciamento nella somministrazione di farmaci che consentono di abbassare il livello glicemico senza gravare sul buon funzionamento del sistema cardiaco.”

‘Curare per prevenire’ diventa quindi fondamentale, perché il rischio di ulteriori episodi cardiovascolari maggiori è rilevante, e le patologie cardiovascolari si sommano ad altre malattie rendendo più problematico l’approccio terapeutico in pazienti che solitamente vengono ricoverati in età anziana, in condizioni di emergenza clinica e con molteplici bisogni assistenziali. In questi casi, alla necessità di prevenire ulteriori eventi, si aggiunge quindi quella di armonizzare la prevenzione cardiovascolare col resto delle cure. L’obiettivo di FADOI è quello di stabilire le linee guida necessarie a migliorare il più possibile il rapporto tra operatori sanitari ospedalieri e medici di medici generale, in sostanza tra ospedale e territorio, nella presa in carico e continuo monitoraggio/controllo dei pazienti che già hanno subito un infarto o scompenso cardiaco, nell’ambito dunque della Prevenzione Secondaria.

FADOI, Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, è una società scientifica di Medicina Interna attiva da oltre 20 anni, nata con lo scopo di trattare tematiche come lo scompenso cardiaco e il rischio cardiovascolare. In questo ambito rientra il progetto sulla Prevenzione Cardiovascolare secondaria. L’iniziativa è stata organizzata allo scopo di comprendere le modalità e le criticità di gestione per la Prevenzione Cardiovascolare Secondaria nei pazienti che vengono assistiti nei reparti di Medicina Interna. Essa ha permesso di rilevare, attraverso una capillare raccolta di dati espressi dalle centinaia di Unità Operative italiane, che oltre il 40% dei pazienti internistici è stato colpito da episodi cardiovascolari maggiori come infarto e ictus.

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