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L'hospice e la soluzione di via Tarlati. L'ex responsabile Maurizi: "Ad agosto i locali non risultavano adatti"

In attesa di una risposta da parte di Fraternita a proposito della possibile nuova sede dell'hospice, interviene nel dibattito cittadino l'ex responsabile delle Cure palliative che proprio in via Tarlati aveva eseguito un sopralluogo

"L'hospice nella palazzina di via Tarlati? Sono piuttosto sorpreso". Sono parole cariche di stupore quelle del dottor Pierdomenico Maurizi, ex responsabile delle cure palliative e quindi anche dell'Hospice della zona aretina della Asl Toscana Sud Est. La notizia di una possibile nuova sede per la struttura che recetemente ha cambiato più volte indirizzo risale a ieri, quando con un comunicato stampa la Asl Toscana Sud Est ha annunciato di attendere: "una risposta da parte della Fraternita dei laici che si è dichiarata disponibile a rilevare l'immobile di via Tarlati e a metterlo a disposizione proprio per l'hospice. Noi abbiamo già fatto verifiche e la struttura è assolutamente adatta. Contiamo quindi sulla disponibilità della Fraternita che, in coerenza con la sua storia, si è fatta avanti già nel mese di maggio con una sua proposta e che ci auguriamo possa concretizzare nei prossimi giorni".

Una soluzione che ha sorpreso Maurizi: "Mi spiego: fino al 31 agosto sono stato il responsabile dell'hospice e, in tale veste, ebbi l'incarico dal direttore della zona distretto Evaristo Giglio di verificare se tale immobile fosse adatto ad essere adibito ad Hospice. Dopo 2 sopralluoghi, nel luglio scorso, fu fatta una riunione tecnica tra me, il responsabile infermieristico e i tecnici dell'azienda. E dopo aver studiato le planimetrie e le normative ministeriali (caratteristiche tecniche strutturali senza le quali l'hospice non può essere accreditato) fu deciso che la struttura non era adatta. Di tale decisione fu nostra cura informare l'azienda. Oggi però scopro che la struttura sarebbe adatta".

Secondo il medico, dunque, l'edificio di via Tarlati non avrebbe superato il "primo esame" svolto all'inizio dell'estate, tanto da non essere ritenuto adatto. Perché? "Tre i motivi principali. Il primo è che non rispondeva ai requisiti richiesti da Regione e Ministero per essere definito hospice e come tale ricevere  finanziamenti specifici. In secondo luogo era disposto su due piani: ma questo dal punto di vista logistico rende la gestione molto difficile. Basti pensare che accanto alle stanze dei malati ci sono quelle dei familiari e questa vicinanza va mantenuta. Infine la distanza dall'Ospedale: l'esperienza di Pescaiola su questo fronte è stata illuminate. Per consulenze mediche, o per approvigionarsi di farmaci (le cure palliative prevedono anche medicinali a base di morfina) la lontananza dall'ospedale diventa un ostacolo importante. Detto questo non sono contrario a quella struttura, ma sarebbe opportuno che venissero prima studiate bene le planimetrie e la normativa prima di decidere".

Un trasloco dietro l'altro

Negli ultimi mesi l'hospice sembra non trovare pace. Aveva cambiato sede alla fine dello scorso marzo, quando fu deciso il trasferimento di oncologia all'interno della palazzina ex Calcit (interessata poco dopo da un violento incendio). I malati terminali furono trasferiti in alcuni locali messi gratuitamente a disposizione da Koiné.  Poi è arrivata l'emergenza Covid che ha imposto un nuovo spostamento: l'Hospice è stato trasferito temporanemente presso il San Giuseppe Hospital (dove si trova adesso) mentre nei locali di Koiné sono stati accolti pazienti Covid particolarmente fragili, provenienti dalle Rsa dell'Aretino.

Resta la preoccupazione della città per le sorti di questa struttura. La politica e le istituzioni, in modo trasversale, hanno avanzato richieste di una soluzione definitiva. Le stesse condivise anche dal mondo del volontariato. 

Ci preoccupa questo nuovo spostamento in una struttura che non è certo idonea ad accogliere il percorso delle cure palliative, a fronte di un luogo attrezzato e dignitoso che era il luogo originario - scrive Angiolo Agnolucci, nelle vesti di presidente dell'associazione Avad .
Dalla sua apertura ad oggi l’hospice ha ospitato 245 pazienti, non solo oncologici poiché le cure palliative si rivolgono principalmente alle persone giunte alla fase terminale di ogni malattia cronica ed evolutiva: le malattie oncologiche, ma anche quelle neurologiche, respiratorie e cardiologiche.
L’Azienda assicura che verrà trovata una soluzione, senza però una concreta progettualità che indichi con certezza come, dove e soprattutto quando. Arezzo ha dovuto aspettare 20 anni per avere un hospice, ultima città toscana a poterne usufruire ed al momento, nonostante che tutto il consiglio comunale lo richieda con forza, siamo di fronte a mere generiche promesse. È vero che i malati terminali muoiono egualmente anche senza un hospice, ma il come si muore dovrebbe avere la medesima dignità del come si nasce da parte di un sistema sanitario veramente equitario e solidaristico. 

Toccante la testimonianza di tre volontarie dell'associazione:

"Come volontarie formate per il servizio in hospice, in questi anni abbiamo costruito una importante relazione con gli operatori della struttura e con i pazienti e i loro familiari incentrata sulla condivisione della quotidianità e particolarmente significativa in situazioni di malattia inguaribile, trasferendo la nostra percezione del “ prendersi cura” e di come grazie alle cure palliative sia possibile affrontare la malattia e la morte con dignità, liberi dal dolore e  vicini ai propri cari.
 In un luogo pensato per questo delicato momento , un luogo attrezzato, ospitale e dignitoso.  Attualmente tutto questo è venuto a mancare e l’ultimo trasferimento dell’hospice a San Giuseppe priva i cittadini/e di questo servizio, senza poter pensare a una soluzione che sia umanamente civile e dignitosa e che possa  permettere non solo di riprendere la nostra attività (e richiamo la legge 38/10 che riconosce il ruolo del volontariato in cure palliative) ma di ridare alla città un luogo di accoglienza che migliori la qualità della vita fino all’ultimo perché come sosteniamo noi “un malato inguaribile non è per questo incurabile".

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