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I figli sono la grande spinta per le donne per uscire dalla violenza. La vita nella casa rifugio

Oggi, nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne, guardiamo allo spaccato forse più nascosto, quello dei bimbi che subiscono la cosiddetta violenza assistita

Molto spesso sono i bambini a portare le mamme a reagire alla violenza e a cercare di scappare perché si rendono conto di mettere in pericolo i loro stessi figli. Anche quello dei minori, è uno spaccato doloroso e forse troppo poco raccontato, della violenza contro le donne. E succede anche ad Arezzo.

A spiegarcelo è Loretta Gianni, la presidente del centro antiviolenza Pronto Donna, ogni giorno sul fronte con l'associazione, lo sportello di ascolto, le case rifugio di prima e di seconda accoglienza. 

"Forse questa è una parte dimenticata, ma è sempre più vero che a fronte di anni di reazioni violente, le madri si rendono conto che mettono in pericolo anche i bambini, sono loro che diventano quella spinta per decidere di dire basta, di voler uscire dalla violenza e intraprendere la strada della casa rifugio protetta." 

I bambini in questi casi subiscono la cosiddetta violenza assistita "vedono i segni della violenza sulla mamma, un livido, sentono un litigio, le urla, sentono il peso della violenza psicologica, le offese. Ed è scientificamente provato che i segni che portano sono dello stesso livello di una violenza subita direttamente. Per loro è un grosso trauma. Allontanarli dalla violenza domestica prima possibile è la scelta giusta e quando arrivano nelle case rifugio, da una condizione confusa e agitata, piano piano ritrovano equilibrio e serenità."

Le donne che decidono di scappare dalle situazioni di violenza domestica, lo fanno portando con se i propri figli. E a seconda del singolo caso ci saranno più o meno regole stringenti da rispettare nella casa rifugio protetta. "A volte fuggono anche senza vestiti e arrivano con bambini sempre più piccoli. Se la madre è a rischio della vita, non potranno uscire da casa, vivranno loro costretti in una "prigione", benché con il sostegno di un team multidisciplinare che comprende educatrici per i bambini, psicologa, legale. Per questi motivi quando è possibile vengono ospitati in case rifugio di altre cittàr rispetto alla provenienza così che possano avere un minimo di permesso di uscire. Ma si possono verificare anche casi di bambini in età scolare che non possono andare a scuola. Vige comunque il principio che tutto deve essere altamente personalizzato grazie al lavoro dei servizi sociali. Per il resto le loro giornate sono scandite dal gioco organizzato. Per questo dobbiamo dire che negli anni del Covid avere avuto una terrazza o un giardino all'aperto nella casa protetta ha fatto davvero la differenza. Gli spazi in comune che ci sono creano condivisione tra i diversi nuclei che vengono ospitati per alcuni mesi, a volte nascono amicizie indissolubili."

Emanciparsi da un modello tossico deve essere l'obiettivo singolo, ma anche dell'intera comunità: "Sappiamo che i bambini maschi che hanno assistito tenderanno a rimettere in atto azioni violente che hanno visto, pur riconoscendo che non vanno bene. Per questo toglierli da quel modello di vita e di routine prima possibile è un'aspetto molto importante."

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