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I bimbi degli anni '40, figli della Liberazione: sfuggiti al Nazifascismo e falciati a migliaia dal Covid

Pubblichiamo il contributo di Romano Salvi, giornalista che vide con gli occhi di bambino la Liberazione di Arezzo. E che ricorda come la generazione degli anni Quaranta è oggi quella che paga il tributo più alto al Coronavirus

“Si erano affacciati alla vita sotto l’oppressione di Hitler e di Mussolini, e l’hanno lasciata sotto il segno di un acronimo impersonale, il Sars-Cov -2” Sono le parole con le quali Antonio Scurati, grande giornalista e scrittore, introduce il suo articolo sul Corriere della Sera per un toccante ricordo dei “bambini degli anni quaranta”, falciati dal coronavirus. Una generazione che si è portata per sempre nell’animo, spesso anche nel corpo, il trauma di una guerra che ha fatto decine di milioni di morti, il trauma delle bombe, della fame, delle stragi e delle deportazioni dei nazisti. Uomini e donne che sono stati poi protagonisti della ricostruzione di un’Italia capace di rinascere dalle ceneri fino a riconquistare tra le grandi d’Europa una dignità distrutta dal fascismo.

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Romano Salvi, giornalista

Fino ad essere i protagonisti del boom economico italiano. Tanti di loro se ne sono andati nella strage del coronavirus. “Se ne vanno – scrive Scurati citando un appello che gira sul web - mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, sacrifici”. Ma fatta anche di tante delusioni per aver poi assistito ai tanti sprechi di quello che avevano costruito, al lento degradare degli ideali fondati sullo spartiacque del 25 aprile di 75 anni fa. Il giorno della Liberazione, che segnò la fine dei loro incubi di bambini nati sotto le bombe e che un’altra tragedia, questa volta non voluta dagli uomini ma dalla natura che ha presentato il conto delle tante violenze subite, 75 anni dopo li porta via in maniera perfino più subdola delle bombe e della fame. Il destino ha voluto che a pagare il conto sia toccato soprattutto ai “figli degli anni Quaranta” falciati a migliaia dal coronavirus. Più volte negli ultimi due mesi abbiamo sperato che la festa della fine di una apocalisse coincidesse anche con la fine di questa nuova tragedia. Il 25 aprile 2020 non è come avevamo sperato. Possiamo però festeggiarlo per i valori di quello di 75 anni fa uniti alla speranza e all’impegno di un nuovo mondo fondato anche sul significato che avremo il dovere di assegnare alla Liberazione da questa nuova tragedia. Di certo è quello che vorrebbero i bambini degli anni Quaranta sopravvissuti alle bombe e alla fame ma non al “nemico invisibile”.

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