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"Così funziona il 'pit-stop' per il tampone", il racconto degli operatori della Misericordia

Oggi il primo giorno del drive-through, "alternativa alla sola possibilità esistente finora, che era quella dell’esecuzione del tampone a domicilio"

Sorveglianza attiva. Così viene denominata una serie di procedure mirate e ampliate tendenti a costituire una possibile alternativa alla chiusura totale in materia di contenimento del contagio da COVID-19. "Ma è proprio quello che sta accadendo o – nel migliore dei casi – siamo appena all’inizio?". A spiegarlo con una lunga e articolata nota è la misericordia di Arezzo. 

Mentre stiamo tutti sperimentando il morso doloroso di un lockdown (chiusura totale), che colpisce praticamente tutte le attività non connesse alla produzione di generi di primissima necessità, scrive la Confraternita, oggi anche ad Arezzo è iniziata quella che sembra essere una nuova fase strategica, e cioè quella della sorveglianza attiva.

In questo caso specifico trattasi di una prima seduta – prima per la nostra città – di esecuzione di test tampone mirati e ampliati, con la metodica del “drive-through”, una specie di pit-stop in cui coloro che devono essere fatti oggetto del famoso tampone vengono convocati a recarsi con l’auto presso una postazione all’aperto in grado di prelevargli il tampone in pochi minuti, senza che debbano neppure scendere dall’auto, in maniera del tutto riservata ma soprattutto assai più sicura per tutti, operatori e soggetti da esaminare.
Un nostro mezzo ormai ben testato per fare da base appoggio agli infermieri ASL in questi casi, cioè l’ambulatorio mobile – alias camper sanitario – di cui abbiamo l’opportunità di usufruire, si è recato in zona Stadio, sulla sinistra dell’impianto sportivo, nello spazioso piazzale all’aperto normalmente adibito a parcheggio, e lì è stato allestito un percorso orientato per le auto in arrivo che ha consentito in pochi minuti per ciascuno lo svolgimento dei previsti test a tutti i convocati.
Come funziona, a monte, il dispositivo?

Ecco le immagini del "drive-through"

È presto detto: la prima fase riguarda la valutazione che il medico di famiglia fa del singolo caso, compresa la visita al domicilio (perché ricordiamo che è tassativo non recarsi in ospedale né al pronto soccorso in caso di sintomi sospetti per COVID-19 bensì chiamare il proprio medico di famiglia, o il 118). Il medico di famiglia, valutato che in base a sintomi e storia epidemiologica personale sospetti il soggetto sia nei parametri per necessitare di un esame tampone, attiva l’Igiene pubblica del territorio la quale a sua volta attiva il Distretto sanitario di pertinenza perché incarichi proprio personale infermieristico ASL di eseguire i test tampone.
Ed è qui che può scattare la nuova modalità del drive-through, alternativa alla sola possibilità esistente finora, che era quella dell’esecuzione del tampone a domicilio.
Con il “test in auto” è indubbio che si guadagni molto tempo nelle esecuzioni dei test, che sono anche più sicure per tutti e certo più mirate, potendo essere ampliate rispetto a tutte le altre tipologie di test effettuabili finora.
Ma è lecito chiedersi se ciò sia abbastanza e purtroppo dobbiamo dubitarne: con ogni evidenza si tratta invece di poco più di un inizio di nuova strategia, quella cioè della “sorveglianza attiva” – basata sul vero “contact-tracing” – cui accennavamo in precedente articolo.
Bisogna infatti ammettere che ancora si stia tracciando in realtà i soli sintomatici – sebbene ci si sia allargati almeno ai sintomatici lievi, dato che sono in grado se non altro di guidare l’auto fino all’appuntamento con il test in piazza – ma che ne è di tutti i possibili positivi al contagio sebbene asintomatici e quindi pericolosamente infettivi? Insomma che ne è dei contatti (almeno di primo grado) dei sintomatici? Dov’è la loro tracciatura? Non lo sappiamo.
Non lo sappiamo perché non è dato di sapere se i decisori abbiano una qualsiasi strategia epidemiologica almeno di medio termine dietro queste iniziative che, altrimenti, rischiano di restare dei virtuosi esperimenti, dimostrativi di ciò che sapremmo fare ma che non potremo fare.
Ribadiamo ancora una volta che non basta “chiudere tutto”, né ampliare i test, perché non serve farli a tappeto a chiunque, ma farli in maniera mirata, così da individuare tra i contatti tracciati coloro che debbano essere isolati (in quanto positivi) anche se non hanno alcun disturbo, permettendo – in un futuro che ci auguriamo prossimo – ai sicuramente negativi perfino di tornare il libertà, e allentando così la pericolosa morsa sociale che i provvedimenti di solo lockdown altrimenti innescheranno, quando mineranno le capacità di resistenza e tolleranza della popolazione. 

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