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Lavoro e Coronavirus, dallo smart working alla necessità di un nuovo Statuto

L'epidemia ha cambiato tempi e modi di lavoro che adesso necessita di un nuovo Statuto

Durante il periodo di emergenza Covid-19, quasi 5 milioni di dipendenti (di cui 2 milioni 285 mila della PA) ha lavorato da casa, secondo modalità più vicine a prestazioni di tipo autonomo che non subordinato. Lo smart-working ha quindi assottigliato ancora di più i confini tra queste due tipologie di lavoro, mostrando l’urgenza di una revisione complessiva della legislazione sul lavoro in Italia per allinearla alle esigenze di un sistema economico e produttivo che guarda sempre più alla prestazione lavorativa, in termini di risultato più che di orario.

Secondo un’elaborazione della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, già oggi, 3,7 milioni di occupati (il 16,3% del totale) si trovano al di fuori degli incardinamenti tradizionali di lavoro autonomo e dipendente: 665mila sono i lavoratori autonomi mono-committenti (2,9%) e più di 3 milioni i lavoratori dipendenti a termine (13,4%). Se a questa quota aggiungiamo 6,2 milioni di lavoratori a tempo indeterminato che potrebbero essere occupati in smart working (27,4%), si arriverebbe ad una platea di quasi 10 milioni (43,7%) di lavoratori “ibridi” le cui modalità di erogazione della prestazione si collocano a cavallo tra lavoro autonomo e subordinato tradizionale. L’analisi per classe d’età evidenzia, inoltre, che si tratta di fenomeni in forte accelerazione, considerato che tra le componenti di lavoratori più giovani, tale quota è molto più elevata, pari al 67,5% tra gli under 25 e 48,2% tra i 25-34enni. A 50 anni dallo Statuto dei lavoratori e nel pieno di un’emergenza che sta cambiando il lavoro di milioni di italiani, dunque, il Paese ha, forse per la prima volta, l’occasione di ripensare all’organizzazione stessa del lavoro in Italia. 

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