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Il mito e la storia della Chimera di Arezzo

E' uno dei simboli della città. Ritrovata nei pressi di Porta San Lorentino nel 1553 è stata trasferita a Firenze per volere di Cosimo I de' Medici che era solito lucidarla

Ad Arezzo ne sono rimaste solo delle copie. Due ai lati di piazza della Repubblica, davanti la stazione. Un’altra è posta l'ingresso di Porta San Lorentino e, un’altra ancora, si trova a Palazzo Cavallo, sede del Comune di Arezzo, tra le più fotografate dai turisti.

Stiamo parlando della Chimera di Arezzo. Opera in bronzo etrusco che fu realizzata tra il V e il IV secolo avanti Cristo. L’originale, alto 78,5 cm, fu rinvenuto il 15 novembre del 1553 proprio nei pressi di Porta San Lorentino dove oggi, sopra ad un piedistallo, si trova una delle riproduzioni di cui abbiamo parlato.

Il mito della Chimera

Nell’Iliade si parla di un mostro di origine divina. “[…] leone la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di fuoco”. Secondo il mito la Chimera era solita compiere delle scorrerie nel regno del re di Licia Iobate. Il sovrano chiese allora a Bellerofonte di ucciderla. L’eroe riuscì nell’impresa servendosi di un altro animale simbolo della Toscana come Pegaso, oggi nello stemma della Regione. Bellerofonte grazie ad una briglia d’oro donatagli da Atena riuscì a rubare il cavallo alato a Zeus. Grazie a Pegaso si avvicinò alla Chimera evitando le fiamme delle sue fauci e gettandogli in bocca una lancia di piombo la soffocò. Le fiamme infatti sciolsero il metallo e la Chimera fu così sconfitta.

Il ritrovamento

Il giorno del ritrovamento, il 15 novembre 1553, chi si imbattè nell’opera in bronzo pensò in realtà di aver trovato un leone. La coda infatti mancava e venne rintracciata da Giorgio Vasari. Fu riattaccata con un lavoro di restauro che a quanto pare è sbagliato. Il serpente infatti avrebbe dovuto avventarsi contro un “nemico” e non contro la testa di capra. La scultura raffigura l’animale con la bocca spalancata e la criniera irta. La testa di capra sul dorso è già reclinata e morente a causa dei colpi ricevuti. Sono ben visibili le costole del torace e altri dettagli anatomici.
Secondo alcune teorie la Chimera di Arezzo era parte integrante di un gruppo di sculture in bronzo che dovevano comprendere anche Bellerofonte e Pegaso. Potrebbe comunque essere anche una sola opera votiva visto che sulla zampa anteriore destra vi è scritto TINSCVIL o TINS'VIL, che significa "donata al dio Tin", divinità etrusca.

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