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Tre case famiglia chiuse per irregolarità ad Arezzo, Tanti: "La Toscana cambi la legge"

Gli anziani autosufficienti possono stare nelle case famiglia ma al momento in cui passano alla non autosufficienza, dalla casa famiglia debbono uscire. Ecco il punto critico seconda la vicesindaca

La vicesindaca di Arezzo Lucia Tanti interviene sul tema delle case famiglia per aprire una polemica con la Regione Toscana a seguito della chiusura della terza struttura del genere nell'arco di poco più di un mese ad Arezzo per le irregolarità riscontrate all'interno.

“Quello a cui stiamo assistendo non solo nella città di Arezzo ma anche in molti altri territori della Toscana, da Prato alla Valdelsa, dal Senese al Grossetano, è il penultimo atto di una vicenda che da anni molti assessori alle politiche sociali stanno mettendo in evidenza - dice Tanti - o cambiano gli indirizzi regionali sulla non autosufficienza oppure noi inginocchieremo famiglie e operatori privandoli di risposte a cui hanno diritto. La Regione Toscana ha una norma molto chiara: gli anziani autosufficienti possono stare nelle case famiglia ma al momento in cui passano alla non autosufficienza, dalla casa famiglia debbono uscire. Questo indirizzo, astrattamente molto chiaro ma di una semplicità che rasenta l’incomprensione della realtà, trascura alcuni aspetti.

Primo: la persona anziana autosufficiente è destinata nel giro di qualche anno a diventare non autosufficiente. Secondo: la non autosufficienza non è un monolite, ha molti aspetti ben al di là dei livelli, e sfido chiunque a trovare un anziano che non abbia almeno il 65% di invalidità. Terzo: le Rsa per loro stessa natura hanno una vocazione vicina alla dimensione sanitaria proprio perché debbono fare fronte a una utenza fragilissima. Quarto: i posti in Rsa non ci sono e i costi sono per lo più inaccessibili.

Dato questo quadro, le circostanze che si stanno pericolosamente moltiplicando, e che erano prevedibili, è che molti anziani un tempo autosufficienti oggi sono non autosufficienti, ma tuttavia ancora nelle condizioni di avere relazioni, stimoli e diritto ad un contesto meno sanitarizzato. Tuttavia si trovano ad essere espulsi dalle case famiglia venendosi a generare due grandi elementi di complessità. Il primo: essere traferiti, laddove la famiglia non possa farsene carico, in contesti che rischiano di non essere adatti alla loro condizione che sono sì di non autosufficienza ma non per questo debbono essere istituzionalizzati insieme ad anziani infinitamente piu gravi, e quindi in un luogo massimamente sanitarizzato. La seconda: i posti non ci sono e anche là dove ci sono i costi sono per i più inaccessibili. Da qui il calvario di anziani, famiglie e bravi gestori di case famiglia inginocchiati da una normativa ideologica che non legge e soprattutto non risponde alle esigenze della realtà.

A ciò si aggiunge che nessun segno di evoluzione in materia la regione Toscana pare voler dare (se non qualche barlume sui moduli a bassa intensità), tanto da non valorizzare i 300 mln di euro del Pnrr che avrebbero creato le condizioni per una rivoluzione copernicana funzionale a fare evolvere le case famiglia verso strutture messe nelle condizioni di fare fronte anche ad alcuni livelli di non autosufficienza. Risorse rifiutate perché considerate forse ideologicamente non in linea con l’idea di istituzionalizzare gli anziani in casermoni da oltre 20 posti, con una risposta eccellente dal punto di vista sanitario ma assolutamente deprimente per chi, seppur fragile e non autosufficiente, ha ancora livelli di autonomia e relazioni col mondo. A ciò si aggiunge il dramma delle famiglie in cerca di servizi e mortificate nel non essere nelle condizioni logistiche ed economiche di far fronte da sole, e il disagio degli operatori delle case famiglia che si trovano fuori legge spesso indipendentemente dalle loro responsabilità. Delle due una, o la regione Toscana apre con tutti – comuni e operatori – una complessiva rimodulazione di queste politiche disposta a valorizzare anche le case famiglia e costruendo per esse un contesto normativo adeguato, oppure abbia il coraggio di mettere fine a queste esperienze senza delegare ad Asl e comuni il ruolo di involontari gabellieri costretti a eseguire, come normale, una legge che è tuttavia sbagliata, inadeguata, attardata, e soprattutto incapace di dare risposte coerenti. Arezzo è disponibile a diventare la città dove di questo si ragiona”.

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