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"Questa è Arezzo, culla della cultura e città dell'oro nonostante le difficoltà", il discorso di Alessandro Ghinelli

Ad aprire i lavori è stato il sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, che nel suo discorso ha raccontato la città e la sua storia

Un discorso toccante che ha toccato i momenti salienti della storia di Arezzo. Un discorso su Arezzo e sugli aretini: così il sindaco Alessandro Ghinelli ha salutato la platea dei sindaci e il presidente Mattarella. La storia del Comune, tra i momenti d'oro e quelli più bui. 

Ecco il discorso integrale:

Signor Presidente della Repubblica, carissimo Presidente di Anci Nazionale e carissimo Presidente di ANCI Toscana, colleghi Sindaci, Signor Presidente della Regione, Autorità civili e militari, benvenuti nella mia città per questa 36ma Assemblea Nazionale di ANCI. E’ per me, e per tutti gli aretini, un onore grandissimo e una altrettanto grande emozione avervi qui, in un momento storico molto particolare sia per l’Italia che per l’Europa, sia, mi verrebbe da dire, per il mondo. Un momento che certo interroga non senza qualche preoccupazione ognuno di noi, investendoci di particolari responsabilità proprio per il ruolo antico e nuovo dei Comuni che credo, insieme, dobbiamo rispettivamente consolidare e costruire. 
Prima tuttavia di soffermarmi su qualche considerazione di natura strettamente politica mi preme, seppur brevemente, raccontarvi il luogo dove siamo e lo spirito che anima da secoli questa città. Una città di origini antiche e di grandi tradizioni, terra di geni e di una operosità di cui portiamo ancora oggi la memoria nel nostro carattere laborioso e fiero che incrocia perfettamente la forza della ragione con la pazienza delle mani. E' questo che racconta la Minerva, dea dell'ingegno e della creatività, il cui culto identifica la civiltà etrusca di Arezzo. Da qui le caratteristiche più tipiche di quello spirito antico, da qui quella necessità di indipendenza e di autonomia che nei secoli ci ha visto ora vincitori ora sconfitti, ma fermi nella volontà di lasciare un segno nella storia, sia essa di questo territorio, sia essa una storia più grande.
Costanza e determinazione hanno quindi segnato le alterne vicende della città, senza mai metterne in pericolo, anzi valorizzando, il senso di identità e di indipendenza, spirito costitutivo di questa nostra comunità, che poi, in una declinazione quasi mazziniana, si è concretizzato in azione. Nasce da qui l’Arezzo forse più conosciuta, e cioè l’Arezzo dell’oro, della manifattura, del terziario, delle botteghe, delle fabbriche, di una campagna intelligente e determinata, e di quell’istituto bancario che oggi purtroppo non abbiamo più, fatto di piccoli risparmiatori diventati borghesia cosciente e laboriosa. Questo era il nostro mondo, fino a nemmeno 30 anni fa. Perché tra le tante difficoltà passate, e alcune comuni a tutto il sistema Italia, ve ne sono due molto recenti per noi – la crisi del settore orafo e la fine ingiusta di Banca Etruria - che ci hanno costretto, e dico anche utilmente in prospettiva, a doverci “reinventare”. Il passato che avevamo alle spalle andava reinterpretato, con la forza dell’innovazione e con la fantasia concreta che un’assenza traumatica e improvvisa ha reso necessario elaborare. Ecco che Arezzo oggi è ancora “città dell’oro” grazie ai nostri imprenditori, alla loro tenacia, alla loro intraprendenza, alla loro attitudine all’innovazione, al loro senso economico, alla loro capacità di sfidare la crisi con la forza di cambiare per non rinunciare a mantenere ancora un primato, in un percorso faticoso che certamente ci ha cambiati, ma che altrettanto certamente oggi ci restituisce più forti di prima. 

Ma Arezzo non è più solo la “città dell’oro”. Oggi è la città dei servizi, è la città della cultura, è la città del turismo e della Giostra del Saracino, è la città di un sistema di protezione e coesione sociale che sta cercando di tenere insieme l’identità passata con la costruzione di una identità nuova, o meglio “scoperta”, che avevamo nel nostro dna, ma che non avevamo avuto occasione, o forza, o, forse, interesse a declinare. Negli ultimi anni abbiamo rilanciato l’idea di una Arezzo come città della cultura riattingendo ad una secolare e definitiva presenza, quella di Guido di Arezzo, il monaco il cui ingegno e studio permisero di codificare il linguaggio universale della musica, trasformando in maniera definitiva il modo di insegnare, comporre, e tramandare la melodia. Tanto da proporci oggi come “città della musica”.

Ma non solo. La cultura per noi si è tradotta nella riattualizzazione di luoghi simbolo, quali il Palazzo di Fraternita, la più antica e millenaria istituzione di questa città che ha tenuto insieme nei secoli la vocazione culturale con quella della coesione sociale, e che in questi anni, proprio in questo singolare e ineludibile connubio, abbiamo riposizionato agli occhi degli aretini e della città. O la Fortezza medicea, sede privilegiata, e oserei dire “naturale” per la scultura, di mostre straordinarie come quelle di Ivan Theimer, di Ugo Riva, di Mimmo Paladino. Quest’ultima così salutata dal Generale Nistri, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, nel suo messaggio introduttivo al calendario dell’Arma per l’anno 2020: “E’ il solco di Piero della Francesca, alla cui produzione egli (Paladino) si richiama esplicitamente, al punto che mentre scriviamo, nella splendida Arezzo che custodisce il ciclo della Vera Croce, è in corso la mostra “La regola di Piero”, omaggio di Paladino al grande pittore umanista rinascimentale”. Mostre dicevamo, che raccontano il lavoro delle mani e l’ispirazione del genio, tutte che legano l'artigiano e l'artista, interpretando in questo modo la città. E ancora, il Teatro Petrarca, oggi casa degli aretini, là dove la cultura di musica e di prosa si intervalla con uno spazio dedicato alle scuole, al volontariato, al terzo settore: in un’idea unica di valorizzazione delle arti in tutte le loro declinazioni. 

Se oggi Arezzo è quella che è, è perché questa identità di mano e di mente ha ritrovato la forza di riscrivere pagine nuove, coerenti con quello che siamo sempre stati. E se voi, nell’intervallo di questi lavori, avrete tempo di percorrere il centro storico tra i vicoli e i borghi, tra piazze e palazzi, tra chiese e scorci suggestivi, potrete capire, o meglio respirare, la vocazione turistica di questo luogo, altra importante leva per la sua crescita e il suo sviluppo. Un turismo non di massa, ma di persone, un turismo consapevole e sostenibile, che intende non vendere la città ma regalarla a chi arriva, lasciando di sé negli occhi il risultato di secoli e secoli di storia, di arte, di ingegno, di lavoro.

Cultura e turismo come binomio per l’Arezzo di domani, e che già costruiamo oggi grazie ad uno strumento più efficace, quello rappresentato da due Fondazioni che ci consentono di tenere insieme pubblico e privato, realtà locali e realtà esterne, nella costruzione di una offerta che oggi è la promessa di uno sviluppo concreto ed estensibile. Se Arezzo “città dell’oro” è stato il nostro passato, ed è il nostro presente e sarà il nostro futuro, oggi possiamo aggiungere a questo brand quello di Arezzo “città della cultura”. Un percorso che non trascuri nemmeno il valore forte del rapporto tra comunità e idea di città, grazie ad un nuovo piano urbanistico che sta disegnando le linee guida della città di domani, dove al centro vi è la persona con la propria dignità, con i propri talenti, con la propria volontà di realizzare se stessa. Servizi, sviluppo, e sicurezza sociale sono poi le tre traiettorie che hanno tenuto insieme questa difficile traversata che ci ha visti impegnati negli ultimi anni, e che oggi con l’incremento significativo della presenza turistica di più del 63% in tre anni, ci conferma la correttezza del percorso intrapreso.  

Ma, ed ecco la ragione del perché ho fortemente voluto che questa Assemblea si svolgesse qui, Arezzo intende pensarsi come Municipio tra due patrie, quella italiana e quella europea. Due sentimenti forti, uno di patria originaria – l’Italia - e uno di orizzonte anche culturale – l’Europa -, che devono trovare nelle espressioni dei Comuni una nuova opportunità di aggregazione. L’Italia dei Municipi è l’Italia dei valori forti, della prossimità, della concretezza del fare, delle giuste rivendicazioni di coesione sociale, delle sfide sull’educazione e la formazione, delle scelte coraggiose in materia ambientale, non più rinviabili, e circa le quali si fa sempre più urgente l'assunzione di responsabilità. La sollecitazione forte da parte di coloro i quali sono il nostro futuro, i giovani, non consente più rifugi ideologici ma rende improrogabile la condivisione di scelte e programmi.  

Si tratta, tutte queste citate, di scelte che necessitano di una politica che veda nei Sindaci, e negli amministratori locali, i protagonisti veri di un nuovo progetto per l’Italia. I Sindaci tutti, al di là della loro appartenenza politica, hanno sempre la vocazione ad anteporre alle logiche di parte gli interessi delle proprie comunità, non fosse altro perché, a differenza di altri livelli istituzionali, sono, siamo, mescolati in una prossimità fisica con i nostri cittadini, dei quali abbiamo consapevolezza delle aspettative e dei bisogni concreti. Lo sono anche i Sindaci delle grandi città, meno esposti ad una quotidianità fatta di persone, ma comunque pur sempre il primo, e spesso purtroppo ultimo, baluardo istituzionale e riferimento reale per ogni singolo cittadino, dal più abbiente al meno fortunato. O la politica recupererà lo spirito dei Sindaci, o tanta fatica farà a riacquistare quella fiducia e quella credibilità di cui abbiamo bisogno in un tempo così complesso e difficile. 

Chiudo con il desiderio e con l'auspicio che da Arezzo emerga forte l’orgoglio dei Sindaci d’Italia, che da qui invitino la politica tutta ad imparare da ognuno di loro, da ognuno di noi, quel senso di responsabilità e umiltà, di presenza e di coraggio, di concretezza delle cose fatte, di coscienza di chi sa di dover rispondere non ad una astratta collettività ma ad una concreta comunità fatta di singole persone. Nessuno meglio di noi, come ebbe a scrivere Amintore Fanfani, figlio di questa terra, a Giorgio La Pira, sa che “non si è Sindaci soltanto nei giorni belli” e che lo spirito, la forza, la pazienza, la determinazione a fare, e soprattutto la tenuta di un progetto di comunità, non verrà mai meno. E’ questo il senso dell’essere Sindaco, che credo tutti noi, che abbiamo il grande onore e privilegio di portare la Fascia Tricolore, vorremmo diventasse il modo di fare politica. Ovunque. Ascoltando, decidendo, migliorando. 

Grazie.

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