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Arezzo in ginocchio, poi la Liberazione: sono passati 72 anni dal 16' luglio '44

Esattamente 72 anni fa Arezzo veniva liberata. Era il 16 luglio 1944 e l’Anpi di Arezzo ricorda quel giorno. "ricorrono 72 anni dalla liberazione della nostra città dall’occupazione nazifascista. Può sembrare obsoleto ricordare oggi un evento così...

Esattamente 72 anni fa Arezzo veniva liberata. Era il 16 luglio 1944 e l’Anpi di Arezzo ricorda quel giorno. "ricorrono 72 anni dalla liberazione della nostra città dall’occupazione nazifascista. Può sembrare obsoleto ricordare oggi un evento così remoto, quando si vive in una realtà di pace, dove le case e i luoghi cari sono al sicuro da distruzione e razzie, dove si può liberamente girare per strada e dove altrettanto liberamente si può esprimere una fede politica o religiosa. Niente era però così nel 1944", così attacca la nota di Luca Grisolini, presidente del comitato provinciale Anpi Arezzo. Di seguito il comunicato integrale.

Caro cittadino di Arezzo,

il 16 luglio è una giornata importante: ricorrono 72 anni dalla liberazione della nostra città dall’occupazione nazifascista. Può sembrare obsoleto ricordare oggi un evento così remoto, quando si vive in una realtà di pace, dove le case e i luoghi cari sono al sicuro da distruzione e razzie, dove si può liberamente girare per strada e dove altrettanto liberamente si può esprimere una fede politica o religiosa. Niente era però così nel 1944: il regime repubblichino di Salò e l’occupazione tedesca avevano privato gli individui dei diritti più basilari, gettando sulla città un clima di polizia e terrore. Chi si ribellava, metteva a rischio se stesso e la propria famiglia; un singolo gesto cristiano come lo sfamare un ex prigioniero o un partigiano veniva punito come tradimento. Il nostro popolo sopravviveva grazie alla solidarietà reciproca, indipendente da criteri di nazionalità e ideologia e sempre minacciata dall’attività delle spie. Dove non arrivavano la paura e le angherie, arrivava con il suo potere catastrofico la miseria, che costringeva molti a sfollare in campagna alla ricerca di sicurezza e cibo.

Fino al 15 luglio 1944, Arezzo era una città in ginocchio: la distruzione si notava nell’anima stessa del suo popolo e non soltanto nei suoi palazzi bombardati. In questo clima di angoscia e incertezza, sin dall’8 settembre 1943 molti uomini comuni avevano deciso di rendere dignità al proprio stato di esseri umani: ben presto avevano preso le armi, mettendo da parte ogni differenza politica, prefiggendosi come unico obbiettivo la liberazione dal nazifascismo e la costruzione di un’Italia diversa, fatta di Democrazia, Pace, Libertà.

Tra di loro c’erano insegnanti come Antonio Curina, medici come Mario Sbrilli, ebrei come Eugenio Calò, studenti come Pio Borri, avvocati come Sante Tani e preti come suo fratello Don Giuseppe. C’erano operai, contadini, artigiani: erano cattolici, azionisti, socialisti e comunisti. Classi sociali e credi che fecero della propria diversità una forza, capace di fornire l’immagine concreta di un’Arezzo nuova. Molti di essi caddero in combattimento, sacrificando a quel progetto la propria gioventù e la propria esistenza: morirono però da partigiani, e dunque da uomini liberi. Alle ore 3 e 30 del 16 luglio 1944 il gruppo che prima aveva dato vita al Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista ed ora, accresciuto notevolmente, si era trasformato in I° Battaglione della XXIII^ Brigata Pio Borri, dopo mesi di guerriglia, lutti e rischi, dette finalmente avvio alla liberazione della città. Con la morte ancora nel cuore per le 75 vittime innocenti delle stragi di San Polo, Pietramala, Molin dei Falchi e San Severo, gli uomini al comando di Aldo Donnini, già nascosti dal primo del mese in Palazzo Albergotti, recuperano le armi introdotte in città da due coraggiose ragazze slave e dettero inizio ai combattimenti del centro. Ben presto si unirono all’attacco i patrioti al comando di Siro Rossetti, discesi nelle periferie dalle montagne, mentre l’artiglieria inglese batteva Olmo, Lignano e Sargiano. Alle ore 7, Donnini, Ettore Brocchi ed Alfredo Pieri issavano il tricolore sul palazzo comunale: fu il buongiorno ad una città libera, dove immediatamente si iniziarono a fare i primi bilanci: le vittime dei mesi dell’occupazione erano oltre 270. Il lutto non cedette però il passo alla disperazione: c’era infatti una città da costruire, un Italia nuova a cui dare le basi.

Quell’Italia nuova in cui noi oggi viviamo, fatta appunto di libertà, democrazia e pace: proprio per questo motivo, l’ANPI invita ogni cittadino aretino alle celebrazioni del 16 luglio, per esprimere gratitudine a quei giovani, partigiani, patrioti, semplici popolani e soldati alleati che concorsero, con la propria azione, a restituire la libertà ad Arezzo. Sarà un gesto simbolico per esprimere insieme un omaggio a quegli eroi, oggi in gran parte scomparsi, che misero a repentaglio la propria gioventù per qualcosa di più importante di un’idea: la libertà di ogni individuo, compresa quella di quanti, allora nemici, combattevano per il mantenimento di una dittatura.

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