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Botoli Ringhiosi e fieri di esserlo: ecco svelato perché Dante Alighieri definì così gli aretini

Tra le tante accezioni il poeta della Divina Commedia scelse proprio questa per definire la gente di Arezzo. Cosa ne pensano i diretti interessati oggi?

Duri, cattivi e tanto, tanto ghibellini. L'Aretinità che tutti i residenti della città di Giorgio Vasari, Guido d'Arezzo e di Pupo professano con fierezza si sintetizza così. Una tempra d'acciaio, scostante ma verace più che mai. Così è oggi e così era in antichità tanto che per Dante Alighieri, il vate della Divina Commedia, la gente di Arezzo era da definirsi "botoli ringhiosi".

"Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso".

Ma perché questa accezione? Per quale ragione tra le tante definizioni che si possono dare degli aretini scelse proprio di definirli botoli e pure ringhiosi? Noi, a distanza di qualche secolo dalla composizione del XIVesimo canto del Purgatorio lo abbiamo chiesto proprio ai diretti interessati.

***Nel canto in questione, Dante si trova nel girone degli invidiosi ed incontra Guido Del Duca.
Nobile ravennate della famiglia degli Onesti fu per lunghi anni giudice in varie città della Romagna.
Dante lo include fra gli invidiosi della II Cornice del Purgatorio, facendone il protagonista (insieme a Rinieri da Calboli) del canto XIV. Nella scena narrata dal vate i due penitenti si accorgono che Dante è vivo e gli chiedono di dire il proprio nome e il luogo da cui proviene. Dante risponde di provenire dalla valle dell'Arno. Rinieri domanda perché il poeta abbia omesso di pronunciare il nome dell'Arno e Guido risponde di non saperlo, anche se è giusto che il nome di quella valle sparisca: infatti l'Arno scorre fra terre abitate da popoli che rifuggono ogni virtù, dai Casentinesi (paragonati a porci), agli Aretini (botoli ringhiosi), ai Fiorentini (lupi famelici), fino ai Pisani (volpi dediti alla frode).

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