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Venerdì, 19 Aprile 2024

Banca Etruria, l'affondo dell'ispettore Di Veglia: "Così prendevano decisioni prima del cda". Deputati 5 Stelle all'udienza

Prosegue il processo per il crac di Banca Etruria. Oggi in aula anche il tenente colonnello della Finanza Abruzzese

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"Al 27 febbraio del 2015 Banca Etruria non si sosteneva più". Così nell'aula Miraglia del Tribunale di Arezzo questa mattina Giordano Di Veglia, ispettore della Banca d'Italia, incalzato dalle domande del pool di magistrati della Procura di Arezzo, è tornato a parlare dei passaggi cruciali che hanno portato al crac dell'istituto di credito aretino. Già il commissario Giuseppe Santoni aveva affermato nella sua deposizione che "la banca non era in più in grado di fare la banca" a quella data. Oggi una ulteriore conferma è arrivata dall'ispettore stesso che ha spiegato come in quel momento i crediti deteriorati costituissero il 42 per cento dell'attivo. Una situazione talmente paradossale da poter essere considerata unica nel panorama internazionale.  E ancora, ha spiegato che i costi fossero arrivati a rappresentare addirittura il 97 per cento dei ricavi. "In pratica la banca non c'era più". Parole che pesano come macigni. Numeri che da soli raccontano come fosse stato raggiunto un punto di non ritorno. 

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Di Veglia ha poi posto l'accento su come venivano prese le decisioni: ha parlato infatti di un "comitato informale" che si riuniva prima dei consigli di amministrazione e che "guidava" le scelte dell'organo. Un comitato del quale avrebbero fatto parte il presidente Fornasari e i suoi due vice.

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Gli aspetti relativi sistema dei fidi - che ha provocato l'emorragia fatale per Banca Etruria - sono stati invece messi in luce dal tenente colonnello della Guardia di Finanza Peppino Abruzzese, che ha coordinato il gruppo investigativo. Abruzzese ha spiegato che il cda delegava le sue funzioni a direttore generale e comitato esecutivo (quest'ultimo valutava i crediti superiori ai 10 milioni). I fidi sono stati alla base del crac. Quali i più deleteri? Ad esempio, ha spiegato il militare, ci sono stati i 60 milioni (divenuti poi 62milioni di sofferenze) per la Sacci di Augusto Federici, all'epoca Consigliere. Oppure i 10 milioni (divenuti 12 milioni di sofferenza) di fido per Pierino Isoldi. E ancora 20 per Alberto Rigotti, frazionati per varie società; 25 per l'ormai celebre Yacht, 24 per la San Carlo Borromeo e quasi 4 per l'outlet abruzzese del quale si occupò la società di Lorenzo Rosi, ultimo presidente. 

Un'udienza densa di contenuti, alla quale hanno assistito i due parlamentari pentastellati Laura Bottici e Daniele Pesco. 

"Siamo qua - ha spiegato Bottici - per tenere un faro acceso su questa vicenda. Affinché non venga dimenticata".

"Assistere al processo è molto interessante - ha detto Pesco - le domande dei pm sono state precise e le risposte hanno mostrato cosa c'è stato dietro all'intera vicenda. Non dobbiamo dimenticarlo". 

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