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"La banca che vuol ricostruire e la città che tira il freno"

L'analisi del collega Giorgio Ciofini sul nuovo accordo con Ubi Banca e sull'assenza delle grandi aziende aretine al fianco del Cavallino

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del collega Giorgio Ciofini.

Anche il luogo è importante. Non per niente ubi, in latino, significa dove. Dunque, nella stagione che sta per cominciare, il marchio della Banca lombarda campeggerà accanto al Cavallino nel cuore della maglia amaranto e così, in qualche modo, la cronaca si farà storia. Forse. Di certo ne
abbiamo bisogno, reduci da anni e anni di cronaca spicciola, quotidiana, deludente e, molto spesso, anche tinta di nero. Questa mattina, varcando la fatidica soglia, abbiamo avuto netta questa impressione. Forse è stata solo una sensazione ma, come si diceva, il luogo conta. Del resto, in questa sede di Corso Italia, è stata fatta non solo la storia di Arezzo, ma anche la storia d’Italia. Non tanto perché, da quel balcone, s’affacciò Garibaldi in fuga dalla Repubblica romana. Ci sono fatti ben più vicini a noi, che pesano perfino sull’ubi consistam della politica Italiana, oggi alle prese con una crisi istituzionale senza precedenti. Fatti che, entrando, abbiamo ascoltato come si ascolta l’eco dell’oceano in una conchiglia. La storia d’Italia, decenni fa, è ancora passata da questo edificio, quando Arezzo era la capitale mondiale dell’oro. Poi vi è tornata quando la storiaccia del crac della Banca d’Etruria, ha messo a soqquadro il nostro piccolo mondo antico e Arezzo ha fatto di nuovo la storia d’Italia, innescando un terremoto politico le cui scosse di assestamento si ripercuotono perfino sulla attuale crisi di governo. Per questo abbiamo pensato che il patto di collaborazione tra la Ubi e la SS.Arezzo, abbia un profondo significato simbolico, che va ben al di là della operazione in sé. Da una parte infatti c’è una Banca che vuole ricostruire sulle ceneri di un crac clamoroso, decisa ad investire alla vecchia maniera sulle grandi potenzialità del territorio aretino, un Istituto che ha ben compreso il valore trainante che può avere in questo la squadra di calcio della città. Dall’altra ci sono una società e una città, che hanno l’ambizione di
tornare all’altezza del loro passato. Ostano cose e cose. In primo luogo uno stadio da rifare da capo a piedi, perché sempre lo spettacolo esige un teatro all’altezza. Da anni le Istituzioni e gli imprenditori aretini latitano anche su questo punto, decisivo per una vera svolta. Dopo Pieroni e
La Cava, ora è arrivata anche la UBI, una banca “straniera” in soccorso di una nave come quella amaranto, che è ancora alla ricerca di un porto sicuro. E le Istituzioni e le grandi Aziende aretine? Grandi assenti, solita storia.

Giorgio Ciofini

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