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“La Sorella e la Ferita” nei Giardini del Praticino

Tutto ebbe inizio nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando Abel Vallmitjana, pittore, scultore, incisore e studioso di folklore nato in Catalogna nel 1910, giunse ad Arezzo dopo una vita fatta di viaggi ed esperienze che lo avevano segnato nell’anima e influenzato dal punto di vista artistico

Di questi tempi c’è bisogno di belle storie per farci tornare il sorriso e allora ve ne raccontiamo una davvero speciale, che prende spunto dai giardini del Praticino, di fronte alla Biblioteca “Città di Arezzo”, dove molti di voi avranno notato una scultura di bronzo contemporanea. Pochi tuttavia sapranno che quell’opera racchiude una lunga storia in cui la campagna aretina fa da sfondo a grandi amicizie e incontri tra alcuni giganti della cultura del Novecento. 

Tutto ebbe inizio nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando Abel Vallmitjana, pittore, scultore, incisore e studioso di folklore nato in Catalogna nel 1910, giunse ad Arezzo dopo una vita fatta di viaggi ed esperienze che lo avevano segnato nell’anima e influenzato dal punto di vista artistico. Lo spagnolo era un convinto oppositore del regime franchista e così, alla pari di molti altri suoi connazionali, nel 1938 lasciò la patria per vivere da esule. Durante la sua permanenza in Venezuela conobbe la seconda moglie, Clarisa Silva, di diciotto anni più giovane, con la quale si trasferì in Italia, terra che lo aveva sempre affascinato. I due si trasferirono a Villa Guillichini nei pressi di Tregozzano, acquistata assieme a Miguel Otero Silva, noto giornalista e poeta, cugino di Clarisa. Nella splendida dimora settecentesca Vallmitjana visse e inaugurò il suo nuovo studio, affiancandolo con un proficuo laboratorio di incisione.

L’artista, apprezzato a livello mondiale, aveva stretto negli anni solide amicizie con i mostri sacri della letteratura, così era facile vedere in zona personaggi del calibro di Rafael Alberti oppure premi nobel come Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez e Miguel Ángel Asturias Rosales, che facevano a gara a soggiornare a “Casa Vallmitjana” per trovare l’ispirazione, confrontare le idee o assaporare l’atmosfera agreste aretina. Grazie a quei soggiorni, ad esempio, Garcia Marquez ebbe lo spunto per scrivere “Spaventi di agosto”, uno dei suoi “Dodici racconti raminghi”.

La scultura dei giardini del Praticino

Ben presto la villa a nord della città divenne uno dei circoli culturali più importanti di Arezzo, dove i migliori talenti artistici locali entrarono in contatto con una figura di respiro internazionale. Quattro di loro – Dario Tenti, Orlando Cavallucci e i fratelli Francesco e Mario Caporali – furono incoraggiati dallo spagnolo a fondare la Galleria d’arte moderna “L’incontro”, in piazza San Francesco, nonché a dare vita al celebre “Premio Arezzo” nel 1959. Grazie a Vallmitjana il quartetto di pittori poté esporre con delle mostre a Caracas e Merida. Proprio nella capitale venezuelana, sei anni prima, Vallmitjana aveva iniziato a insegnare ed era stato nominato coordinatore delle “attività di estensione culturale” alla Facultad de Arquitectura y Urbanismo de la Universidad Central, che aveva contribuito a fondare.

Pablo Neruda amava sostare a Tregozzano per rilassarsi. A ogni suo arrivo la prima richiesta era un bel piatto di fagioli con le cotiche di cui andava matto, come aveva ricordato il pittore Mario Caporali a chi scrive, durante un’intervista di alcuni anni fa. In una di quelle visite, negli anni Sessanta, il grande poeta cileno ammirò il calco in gesso di una scultura che rappresentava due figure femminili abbracciate e coi volti stilizzati, dall’espressione angosciata e sofferente. Guardandole le definì “La Hermana y la Herida”, ovvero “La Sorella e la Ferita”, titolo che allo scultore piacque. 

Il 21 febbraio 1974, quando Vallmitjana morì per un ictus, l’opera non era stata ancora fusa. La consorte, decisa a offrire qualcosa alla città che li aveva accolti con così grande affetto, si rivolse agli artisti che avevano avuto la fortuna di conoscere il catalano, i quali inviarono ad Arezzo le loro creazioni per raccogliere le cifre utili alla fusione. Fu organizzata una collettiva al Circolo Artistico, i lavori vennero valutati e il loro importo globale fu suddiviso per le persone che avevano aderito. I partecipanti elargirono così tutti la stessa quota e le opere vennero cedute a sorteggio. Il progetto trovò l’appoggio delle istituzioni e la scultura venne collocata nello spazio verde delimitato dalla biblioteca comunale, dalle logge vasariane e dai ruderi del duecentesco Palazzo del Popolo. 

Da qualche anno, a farle compagnia, sono arrivate anche cinque pecore bronzee di Karen Wilberding Diefenbach, artista statunitense che le ha donate alla fine di Icastica 2013.

Abel Vallmitjana riposa nel piccolo cimitero di Puglia, assieme all’amata Clarisa, ma nel cuore della città c’è ancora oggi un capolavoro che ricorda ad aretini e turisti un personaggio che con il suo arrivo illuminò d’arte e cultura Arezzo, agli albori del suo boom economico.

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