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La leggenda di Ippolita degli Azzi, la condottiera che riscattò Campaldino

La leggenda di Ippolita degli Azzi, l'eroina che spronò il popolo aretino a difendersi dopo la disfatta di Campaldino

Per certi versi potremmo considerare Ippolita degli Azzi come una sorta di Giovanna d'Arco aretina, limitandoci al paragone tra due donne che impugnarono la spada per difendere la propria patria. Ma chi era Ippolita e soprattutto come si sviluppò la sua leggenda?

Le origini della leggenda partendo da un fatto storico

Dobbiamo partire da una data, quella di sabato 11 giugno 1289: la battaglia di Campaldino. L'esercito ghibellino, o per meglio dire aretino, era stato annientato nella piana. I guelfi fiorentini avanzavano indisturbati verso Arezzo, conquistando e saccheggiando tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Arrivarono quindi verso la fine del mese alle porte della città. Per Arezzo la sconfitta di Campaldino fu la fine del Comune, della libertà mantenuta fino ad allora battendo anche una moneta propria e l'imposizione del dominio fiorentino che portò le sue armi fin sotto le mura.
E' in questo preciso momento storico che si inserisce la figura di Ippolita degli Azzi.

Così guidò la difesa di Arezzo

La nobildonna, il cui sposo aveva perso la vita a Campaldino, giurò vendetta e vedendo sopraggiungere le armate guelfe salì sulla torre più alta della città facendo suonare le campane per radunare tutti gli aretini. In città erano rimasti solo donne, vecchiragazzi. A loro si rivolse la nobildonna, invitandoli ad una difesa a dir poco disperata.
Gli aretini riuscirono a contenere i nemici e Ippolita non indietreggiò mai, nemmeno quando i guelfi catturato il figlio Azzolino minacciarono di tagliarli la gola davanti alla madre a meno che non si fosse arresa. Ippolita non indietreggiò e i fiorentini davanti a questo sua presa di posizione restarono basiti, quasi in ammirazione per il suo coraggio.
Decisero quindi di restituirle il figlio e venne incaricato il capitano Rinaldo de Bostoli, un aretino cacciato dalla città perchè appartenente alla fazione opposta a quella dominante. Bastò uno sguardo per far nascire un'intesa tra i due. Ad ogni modo Rinaldo rientrò subito nel campo dei guelfi, lo stesso campo che il giorno dopo Ippolita, alla testa degli aretini, dette alle fiamme con un'azione a sorpresa.
Ne scaturì una battaglia furiosa. Ippolita rimase ferita, Rinaldo vendendola a terra si fece largo per soccorrerla a costo della sua vita. Ippolita potè così tornare all'interno da Arezzo e salendo sulle mura e impugnando la spada guidò la difesa.

I caratteri dell'allegoria

Simone De Fraja e Giovanni Galli nell'opera da loro redatta su Ippolita degli Azzi ribadiscono ancora una volta come fino al 1800-1900 non vi siano tracce storiche in grado di avvalorare l'esistenza della condottiera.
Possiamo allora dire che la figura di Ippolita è quanto mai legata alla leggenda, a quella riconducibile all'eroina, alla donna guerriera, che unisce varie culture e stili letterari. Basti pensare già al nome Ippolita che nella mitologia greca era la regina delle Amazzoni. Quale miglior nome allora per una condottiera soprattutto per gli aretini che avevano perso la propria indipendenza a Campaldino e che cercavano una figura attraverso la quale riscattarsi.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi basta pensare ad esempio all'episodio che vede Ippolita assistere sulle mura della città alla minaccia dei guelfi di uccidere il figlio Azzolino che richiama ancora una volta la mitologia grecia. Oppure all'amore verso Rinaldo che nasce sul campo di battaglia e che non può avere futuro. Tutti caratteri tipici del mito, della leggenda, che rendono Ippolita una sorta di Giovanna d'Arco, per tenere alto l'orgoglio e l'dentità aretina all'indomani della battaglia di Campaldino.

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