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Da “porta dei vivi” a “porta del morto”. Origini e utilizzo nelle case dell'Arezzo antica

Davvero nelle abitazioni medievali veniva costruita una piccola porta solo per non far uscire il morto dalla porta dei vivi?

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Santino Gallorini, scrittore e appassionato conoscitore della storia locale.

Se passeggiamo per il centro storico di Arezzo, così come in parecchi altri centri di origine medievale, ubicati in Toscana, Umbria, Marche, ma anche nel Lazio, si incontra sovente, accanto ad un portone piuttosto grande, con soglia all’altezza della strada, una porticina stretta e lunga, che ha la soglia ad alcune decine di centimetri dal selciato stradale. Qui da noi ne possiamo ancora vedere qualche esemplare oltre che ad Arezzo, anche a Castiglion Fiorentino e a Cortona. Spesso quella porticina piccola viene denominata “Porta del morto” e se ne dà una suggestiva spiegazione, che addirittura si fa risalire agli etruschi: dal portone passavano i vivi; dalla porticina, normalmente chiusa, passavano solo i morti, quando o con una cassa, o con una barella, venivano portati via dalla propria abitazione e condotti alla chiesa e poi alla sepoltura, che poteva essere anche in un “tombino” della stessa chiesa.

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Benedetto Bonfigli - Vista della città di Perugia nel '400, dagli affreschi di Sant’Ercolano e San Ludovico (1461-1466) nella Cappella del Palazzo dei Priori - Oggi nella Galleria Nazionale. Particolare.

Ma è proprio così? Davvero nelle abitazioni medievali veniva costruita una piccola porta solo per non far uscire il morto dalla porta dei vivi? Molti storici e studiosi di storia dell'arte e di architettura medioevale lo hanno smentito. Tra gli specialisti che hanno negato un’utilizzazione esclusivamente funeraria della cosiddetta “Porta del morto”, cito per primo il grande storico dell'arte Mario Salmi (1889-1980), che fin dal 1927 ne aveva spiegato il vero utilizzo, quale accesso principale all'abitazione medievale (L'Architettura romanica in Toscana, Milano, 1927). Salmi tornò sull'argomento nel 1955, apportando nuovi elementi a sostegno della sua spiegazione (La cosiddetta "Porta del Morto" - Firenze 1955). Ricordo poi l’architetto Gianfranco Caniggia (1933-1987), che ha lavorato al recupero del centro storico di Firenze. Cito ad esempio il suo lavoro: “Rilevamento, analisi storico-tipologica e indicazioni operative”, in ‘Ricerca operativa sulla struttura urbanistica e sull’evoluzione della tipologia edilizia del centro storico di Firenze’, Firenze 1980. Lo stesso ha fatto anche l'architetto e professore Gian Luigi Maffei (1942-2019), che nel suo studio “Per una lettura tipologica dell’edilizia”, in ‘Cortona, struttura e storia’, Cortona 1987, p. 301, scrive: “A Cortona, come in molta edilizia medioevale delle altre nostre città, la cellula è caratterizzata dall’avere al piano terreno due aperture gerarchizzate sul percorso, una porta grande (m- 1,50/1,80) per l’attività al piano terreno stesso (bottega, deposito, laboratorio) e una più piccola per accedere ai piani superiori; questa ultima – cosiddetta ‘porta del morto’ - di solito presenta pochi gradini esterni o un piccolo profferlo che, se da una parte facilita il raccordo con la strada in pendenza, dall’altra rende la rampa interna, ortogonale al fronte, più agevole visto che la profondità del corpo di fabbrica è notevolmente ridotta”. Anche monsignor Angelo Tafi, nel suo “Immagine di Cortona”, lo nega decisamente. Dunque, la spiegazione più accreditata è questa. Quando fu costruita, la cosiddetta “porta del morto” era la porta che dava accesso all’abitazione che, normalmente, si trovava sopra la bottega o il magazzino, al primo piano. I due ambienti non erano collegati dall’interno e le porte esterne si aprivano una di seguito all’altra sulla medesima facciata. La porta più stretta e più alta rispetto alla strada, che dava l’accesso alla casa, era la logica risposta ad una duplice un’esigenza: difensiva e di risparmio dello spazio interno. Una porta piccola, in tempi turbolenti come quelli medioevali, dove le città, i castelli e le case private erano spesso esposti ad assalti di armati sia di città nemiche, sia di fazioni avversarie, aumentava le possibilità di difesa. Infatti, una piccola apertura in caso di pericolo era facile da barricare dall’interno, con legname, ferri, pietre ed altri materiali messi a contrasto con la porta esterna. Ma una porta piccola corrispondeva ad una scala stretta e quindi, veniva tolto minor spazio alla adiacente bottega-laboratorio, che forniva la sussistenza della stessa famiglia. Il fatto che la soglia fosse alta rispetto alla strada, permetteva di guadagnare spazio internamente alla casa, prolungando la rampa della scala interna sulla strada. E siccome spesso in origine quei tre, quattro, cinque scalini esterni erano in legno, in caso di pericolo, venivano tolti e ritirati all’interno, aumentando le difficoltà di un eventuale assalitore. Le difficoltà del potenziale aggressore erano spesso accentuate anche da due pietre rientranti, collocate sulla soglia, sotto ai due stipiti laterali, che rendevano difficoltoso lo scardinamento della porta.

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In questa casa di Assisi, non è stato mai realizzato il collegamento tra le scale e il magazzino/bottega, come era in origine in quasi tutte le case medievali. (da Mario Salmi)

Con il passare del tempo, aumentando la sicurezza delle città e dei vari castelli, la funzione difensiva di questa stretta porta andò via via a scemare e per rendere più comodo l’ingresso in casa, si pensò di utilizzare il portone più grande del limitrofo magazzino/bottega. Però, per poter entrare dal portone, occorreva che i due ambienti fossero in qualche modo collegati, pertanto, all’altezza del pianerottolo alla base della ripida rampa di scale, fu creata un’apertura laterale, che tramite una breve scala ortogonale all’altra, portava nel vasto locale produttivo o commerciale di cui abbiamo detto. Questa corta rampa di scale fu in genere in muratura e addossata alla controfacciata.

Si ebbe così un’unica scala, con due ripide rampe, ortogonali tra loro, che dal locale a piano terra portava in casa. Da quel momento, l’antica piccola porta rimase normalmente chiusa e in qualche caso perfino murata. Ma quando c’era da portare via dalla casa un componente della famiglia morto, sorgeva un grosso problema: con la scala stretta era pressoché impossibile girare ad angolo retto con una bara o una lettiga con sopra la salma. Era molto più facile andare a dritto, riaprendo per l’occasione l’antica porta stretta e il morto veniva fatto passare da lì. Siccome vedere quella porta aperta quasi sempre stava a significare che c’era un morto da portare fuori, ecco che nacque la denominazione che ancora sopravvive qua e là in vari centri storici del centro Italia, ma anche di altre città del nord – cito Bergamo Alta – che ne fanno escludere i supposti antichissimi rapporti col mondo etrusco.

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Anche in questa casa di Perugia non c'è collegamento tra porta piccola e magazzino/bottega. Quindi, niente "porta del morto" ... (da Mario Salmi).

Questa è la verosimile nascita dell’espressione pittoresca e suggestiva di “porta del morto” nonché della conseguente superstizione che passarci da vivi, avrebbe portato sventura. Ovviamente, siccome le storie fantasiose colpiscono di più l’immaginazione rispetto alle spiegazioni reali, ecco il perché della fortuna di questa pseudo spiegazione.

Abbiamo un antico documento che accenna a questa porta, normalmente sprangata da legname e pietre. Si tratta della “Legenda latina Sanctae Clarae virginis Assisiensis”, storia datata al 1255 e attribuita a Tommaso da Celano o a Bonaventura da Bagnoregio, dove si accenna alla porta che “normalmente è chiusa”, quella che chiamiamo “porta del morto”. Ovviamente siamo ad Assisi, ma come ho detto sopra, tutti i paesi e le città del Centro Italia avevano situazioni simili. Ecco il testo: “Nocte sequenti ad Sancti mandatum se praeparans, optatam fugam cum honesta societate aggreditur. Cumque ostio consueto exire non placuit, aliud ostium, quod lignorum et lapidum pondera obstruebant, miranda sibi fortitudine, propriis manibus reseravit”. E questa è la traduzione: “La notte seguente, preparandosi a obbedire al comando del Santo, intraprese la sua lunga fuga desiderata con una compagna virtuosa. Dato che non si accontentava di uscire per via della solita porta, meravigliandosi della sua forza, aprì con le proprie mani quell'altra porta che è abitualmente bloccata da legno e pietra". Santa Chiara, che lasciava la casa paterna per seguire Francesco, non uscì dal portone usuale, ma preferì sbloccare da legname e pietre la porta normalmente chiusa, quella che oggi viene chiamata "porta del morto".

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Una “porta del morto” a Bergamo Alta.

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