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Il monumento ai caduti del Mulinaccio

Il monumento che ricorda una delle più efferate e incomprensibili rappresaglie subite dai civili aretini durante le ultime settimane di occupazione nazista

Lungo via Golgi, a breve distanza dal palazzetto dello sport “Mario D’Agata”, meglio conosciuto come “Le Caselle”, si stacca un sentiero che in poche decine di metri conduce lungo le sponde del torrente Castro. Qui troviamo, seminascosto, il monumento che ricorda una delle più efferate e incomprensibili rappresaglie subite dai civili aretini durante le ultime settimane di occupazione nazista.

Il 6 luglio 1944 le forze alleate erano ormai alle porte della città, che sarebbe stata liberata dieci giorni dopo. Nell’agglomerato di tre case coloniche detto il Mulinaccio, sulla sponda destra del torrente, vivevano tre nuclei familiari numerosi, i Bianchi, i Martini e i Roggi, che in quei giorni avevano accolto anche alcuni sfollati della città. Si calcola che nell’ultima estate di guerra vivessero nel luogo oltre settanta persone.

Il monumento ai caduti del Mulinaccio

I tedeschi giunsero nel tardo pomeriggio, mentre gli uomini erano raccolti nell’aia assieme ai bambini, dopo una dura giornata di lavoro nei campi. Le donne stavano preparando la cena. Senza fornire spiegazioni, i militari appartenenti alla Wehrmacht, che nella zona aveva le batterie antiaeree, separarono i maschi da femmine e bambini e, dopo averli disposti in fila, ordinarono ai primi di seguirli. In quelle famiglie non c’erano partigiani e per questo, nonostante la comprensibile preoccupazione, nessuno degli esonerati dall’arresto immaginava che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto i propri cari. Gli invasori avevano già fatto altre volte la loro visita indesiderata per requisire viveri, ma non c’erano mai state particolari violenze. Si pensava forse a qualche lavoro pesante da svolgere, che necessitava di braccia forti.  

I soldati, secondo alcune testimonianze ubriachi, avviarono gli inermi civili verso il Castro, che attraversarono in un punto detto 'guado del Mulino Vecchio'. Il toponimo, alla pari di 'Mulinaccio', ci ricorda che in passato la zona era stata connotata da almeno due mulini per la macinatura dei cereali, poi dismessi, che avevano sfruttato le acque del fiumiciattolo.  
Giunti nel punto dove oggi è il cippo, i tedeschi compirono l’eccidio, accusando gli uomini di essere ribelli senza alcuna prova. Una storia già vista.

Ormai si era fatta sera e dalle case furono udite delle scariche di mitra, ma le donne le interpretarono per gli spari tra alleati e nazisti, che si stavano combattevano nelle colline intorno alla città. Il giorno dopo un militare di origine austriaca – mossosi a compassione – tornò alle coloniche e avvertì i rimasti di andarsene, perché i suoi commilitoni sarebbero tornati per arrestare anche loro. I familiari delle vittime seppero delle uccisioni solo dopo una settimana dai fatti, quando venne riaperta la fossa dove erano stati sepolti quindici corpi crivellati e legati tra loro con il filo di ferro. Il più anziano, Angiolo Roggi, aveva 62 anni. Il più giovane, Primo Vestrucci, ne aveva solo 16.

Negli anni Cinquanta, nella zona del massacro, fu innalzato un monumento in marmo a ricordo, caratterizzato da un obelisco che poggia su un triplice basamento quadrato e dalle foto in ceramica dei  trucidati. Tuttavia, a causa della sua posizione defilata, il manufatto finì presto nell’incuria e nell’abbandono. Nel 1977 si pensò persino di smantellarlo o spostarlo per rendere l’area edificabile, rischio che si ripresentò negli anni Novanta. 

Il degrado di questo luogo della memoria terminò grazie all’impegno della Circoscrizione Fiorentina e di alcuni parenti dei martiri. L’area intorno al cippo venne risistemata e il 6 luglio 2008, nel 64° anniversario della strage, fu nuovamente inaugurata. Nel 2012 fu aggiunta una piccola epigrafe per ringraziare il soldato austriaco senza nome che salvò donne e bambini dalla morte. Nello stesso anno Tiziana Nocentini, direttrice dell’Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, pubblicò il volume "Il Mulinaccio. Una strage dimenticata. 6 luglio 1944" (Pacini Editore), con il quale veniva fatta luce sulla strage, grazie anche alle testimonianze dirette dei sopravvissuti intervistati.

Oggi il Mulinaccio è un piacevole spazio verde lungo il Castro, delimitato da staccionate e dotato di panchine e area giochi, dove chiunque può andare per difendersi dalla calura estiva o riflettere su una tragedia che la mente umana fa ancora fatica a spiegare, ma che non dovrà mai essere dimenticata. 

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