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Redazione

una vecchia ma interessantissima intervista fiume a Gualtiero Bassetti, allora vescovo di Arezzo

Scartabellando tra le mie cartelle virtuali ho ritrovato un'intervista fiume fatta a Gualtiero Bassetti, attuale presidente della CEI, nel gennaio 2007. Era vescovo di Arezzo da circa otto anni e quel che mi raccontò, della sua vita e di Arezzo...

Scartabellando tra le mie cartelle virtuali ho ritrovato un'intervista fiume fatta a Gualtiero Bassetti, attuale presidente della CEI, nel gennaio 2007. Era vescovo di Arezzo da circa otto anni e quel che mi raccontò, della sua vita e di Arezzo vista con i suoi occhi, rimane ancora oggi interessantissimo. Erano i tempi del Codice da Vinci e delle discussioni sul Viva Maria, mentre lui non pensava ancora di dover lasciare la diocesi aretina... Ecco il lungo contenuto di quell'intervista:

Una suora apre la porta del Vescovado proprio mentre mi sto avvicinando. Si stupisce del fatto che io possa avere un appuntamento con il Vescovo, forse per il mio abbigliamento informale, ma il candore che sfoggio nell'affermarlo la convince a lasciarmi scivolare dentro insieme a lei.

Sua Eccellenza non c’è ancora, così vengo fatto accomodare in una stanza al piano terreno.

Tutto è molto sobrio e lindo, serio e silenzioso. Non si avvertono passi, né voci, né il rumore di un traffico che in piazza del Duomo non c’è più.

Mi siedo accanto ad un tavolo circolare molto grande, sopra il quale incombe un lampadario bianco a palla dal diametro di cinquanta centimetri.

La sedia non è comodissima, quasi più da monastero che da vescovado.

Gualtiero Bassetti arriva con un certo ritardo, ma dopo una lieve resistenza iniziale, acconsente volentieri all’intervista e recupera minuti con la cordialità che mi dimostra. Saliamo al secondo piano con un ascensore ben nascosto tra le pieghe del Palazzo e ci accomodiamo in una sala riunioni che alle pareti annovera dipinti chiaramente antichi e di valore.

Parte il registratore mentre ci scambiamo considerazioni su alcune conoscenze comuni.

-Dove è nato il piccolo Gualtiero? Penso che possa essere interessante conoscere le origini del nostro vescovo…-

Sono nato a Marradi, quasi al confine con la Romagna. Siamo gente di confine…

-E piena di castagne…-

E piena di castagne. Per certi versi abbiamo il palato buono dei fiorentini, per esempio dal punto di vista culturale, della sensibilità: ma abbiamo anche il cuore sincero dei romagnoli. Spesso la gente di confine è una sintesi delle cose buone dell’una e dell’altra regione.

Sono nato nel 1942, in un periodo molto critico. Da noi passava la linea gotica e c’erano delle passioni molto accentuate, la guerra civile, i partigiani, le rappresaglie dei tedeschi… Tanto è vero che io ho vissuto in una frazione dove tutti i miei compagni erano orfani, perché i loro babbi erano stati uccisi durante la rappresaglia di Fantino – Crespino. In quella circostanza furono trucidate 44 persone.

-Anche ad Arezzo siamo esperti di rappresaglie dei tedeschi, basta andare a San Polo o a San Severo…-

Mio padre si salvò perché faceva l’artigiano agricolo in un podere un po’ fuori mano e quando sono passati i tedeschi non l’hanno trovato. Quindi ho trascorso un’infanzia molto triste, in mezzo a tutti questi orfani e con tanta povertà, perché anche l’agricoltura fra quei monti rendeva pochissimo. Pecore, capre e castagne.

Ancora oggi ogni tanto mi piace farmi cucinare le castagne lesse, perché erano la mia minestra. Lo faccio per nostalgia e per affezione alla mia cultura, contadina e poverissima.

-E la sua carriera scolastica come si è sviluppata? Come è arrivata la vocazione?-

Quando finii le scuole elementari, mio padre andò a parlare con il meccanico per farmi assumere da lui, come aiutante, ma fu il parroco a convincerlo che avevo una certa predisposizione per gli studi. Così insieme ad altri due o tre marmocchi, sono andato a scuola da don Cavini (oggi monsignore), ex compagno di banco di Don Milani. Gli insegnamenti del mio parroco traevano origine proprio dall’esperienza di Don Milani, con il quale si scambiava idee.

Era bellissimo perché era un metodo globale. Don Cavini non si preoccupava di dividere una materia dall’altra, lui ci insegnava, come faceva don Milani, tutto quello che sapeva.

Quando, da privatista, sostenni l’esame di terza media a San Lorenzo, mi trovai in grande difficoltà con le materie scientifiche, ma ero bravissimo nelle materie umanistiche.

Finite le medie inferiori, il babbo corse nuovamente dal meccanico, stavolta per piazzare un figlio che aveva anche la licenza media.

Il parroco si mise le mani nei capelli e non voleva saperne di farmi andare a gonfiare gomme.

Mio padre era mosso da un’impellenza di tipo diverso, cioè quella di dar da mangiare a tre figli. Così andò a finire che Don Cavini mi propose di andare in seminario, in modo che potessi studiare senza pesare sulle spalle della famiglia.

Allora alla vocazione non pensavo nemmeno. Ma il parroco mi disse: “Vai in seminario a studiare e a fare il ragazzo onesto, poi domani potrai scegliere se fare il parroco, il dottore o qualsiasi altra professione.”

E io sono andato in seminario con l’intenzione di impegnarmi, studiare e uscire da lì più istruito.

Le dirò che a quei tempi mi veniva da ridere nel vedere i seminaristi con i calzoni alla zuava, i calzettoni ed un buffo berrettino da banda musicale… “Non voglio fare quella fine lì”, dissi al parroco, ma lui mi convinse che a Firenze anche i seminaristi erano vestiti normalmente.

All’inizio per me fu un disastro, perché tornare ad un metodo di studio classico mi fu molto difficile, poi pian piano, anche facendo amicizia con ragazzi molto seri, mi sono trovato bene in comunità e sono arrivato in fondo al liceo.

Ancora a quel punto non ero del tutto convinto di voler diventare sacerdote. Vedendo, però, che i migliori sceglievano quella via, ho pensato che anch’io avrei potuto farlo. Si è trattato quasi di una sfida ed è proprio lì che si è inserita la mia vocazione.

Non mi è mai calato un panierino dal cielo o qualche bacchetta magica…

A ventiquattro anni ero già prete, un prete particolarmente portato a stare con i ragazzi. Facevo l’animatore di gruppi giovanili. Molto presto mi fu assegnata una parrocchia eccezionale, quella di San Salvi a Campo di Marte, a Firenze. C’erano dodicimila parrocchiani e tre o quattrocento ragazzi nell’oratorio. Mi divertivo moltissimo con loro, ma dopo tre mesi ci fu l’alluvione del ’66 che distrusse tutto.

Eppure l’esperienza di quei giorni mi è servito a riscoprire quello che dice la Bibbia, cioè che l’uomo nella prosperità rischia di diventare come le bestie mentre nella necessità riscopre la solidarietà.

Ricordo la distribuzione dei viveri, delle coperte… Non c’era più differenza tra ricchi e poveri e per un anno c’è stato questo lavoro che mi ha integrato e amalgamato con il quartiere. E’ stata un’esperienza umanamente bellissima.

Sul più bello arrivò l’arcivescovo che mi disse che in diocesi il seminario minore era in crisi. Siccome avevo una buona esperienza con i ragazzi… Lei capisce che rifondare un seminario minore nel ’68 era un’esperienza che poteva schiacciare. Mi trovai in difficoltà, addirittura cambiai il confessore.

Poi, come accade nelle situazioni più difficili, un po’ pregando il Signore, un po’ per dovere e un po’ per orgoglio, feci come la rana che cade dal cielo e si salva cadendo nel latte. Comincia a dimenarsi e produce il formaggio...

Praticamente da allora e per ventidue anni rimasi alla guida dei seminari di Firenze: prima il minore, poi il maggiore.

Lì qualcosa di buono devo avere combinato, se è vero che Giovanni Paolo II mi ha nominato visitatore di tutti i seminari italiani. Ed è un incarico che ricopro ancora oggi, tanto che anche la prossima settimana sarò in visita ad un seminario.

-Quanto le è pesato il celibato?-

Il celibato per me è stata una conquista. A diciassette, diciotto anni ero incerto se formarmi una famiglia. Sentivo una forte attitudine, anche affettiva, in questo senso. Avrei voluto una moglie con dei figli. Però poi in un approfondimento di fede e in un esame profondo su me stesso, ho capito che il Signore mi chiamava a un orizzonte più alto. Non a rinunciare all’amore, perché non ci avrei rinunciato per niente al mondo, ma ad amare le persone che mi passavano e mi passano accanto. Da giovane sarei voluto andare in missione, anche se poi non è stato possibile perché il vescovo mi diceva sempre “La tua missione è qui” (lo dice imitando lo sguardo severo e la voce del vescovo…). Dal momento che ho accettato di fare il prete ho accettato tutto della Chiesa: l’ubbidienza, il celibato e anche la povertà, perché dover fare la volontà degli altri è forse la forma di povertà più grande.

-A proposito di celibati: ultimamente c’è chi spinge per un superamento del celibato dei preti…-

Può anche darsi che si arrivi a forme diverse del ministero sacerdotale, però secondo me ci si deve muovere con molta prudenza… In fondo anche la tradizione celibataria è abbastanza assodata ed ha portato certamente tanti frutti positivi. Questo soprattutto nel senso di potersi dedicare completamente al mondo…

-Però è vero che in giro per il mondo ci sono preti cristiani e sposati, e non è che questo paia limitarne la vocazione…-

Però vorrei sottolineare che nella mia vita il valore del celibato è stato fecondo.

-Si ha l’impressione che gli aretini siano in seria difficoltà nell’adattarsi alla povertà che avanza. Dal suo osservatorio lei ha questa sensazione?-

Dico che le cose sono profondamente cambiate nel corso degli ultimi otto anni. E’ proprio da otto anni che sono vescovo di questa diocesi e ho visto una grande trasformazione qualitativa. Basti pensare alla crisi dell’oro, alla chiusura delle grandi fabbriche… Lei sa meglio di me a che cosa ci siamo ridotti.

-Ho l’impressione che molti aretini si aggrappino ad una condizione di vita ormai insostenibile.-

C’era una media industria che ormai si sta frazionando, vedo che anche tra alcune categorie si tende ad una certa conflittualità anziché alla collaborazione. Non vorrei che si arrivasse ad una guerra fra poveri.

-Cose che succedono quando il boccone è piccolo.-

E’ piccolo.

-Ricordo con dispiacere che il tentativo di unire Confartigianato e CNA, primo in Italia nel suo genere, è sfumato nel nulla…-

E lei sa quanto io l’ho incoraggiato, quel tentativo…

-Una questione aretina di questi tempi, che mi pare non accennare a placarsi, è quella dell’intitolazione della piazzetta al Viva Maria. Anche oggi è uscito un articolo su Liberazione che si occupa di questa questione. Mi risulta che da queste stanze sia partito un freno al cambiamento…-

Non prendo nessuna posizione, né a favore né contro questa cosa…

-Eppure in città si mormora…-

E’ vero che ci fu una richiesta del consiglio presbiterale aretino che appoggiò quell’ipotesi, ma sinceramente non so quanto peso possa avere avuto. Tra l’altro io ero appena arrivato in diocesi…

Vengo da una cultura diversa, quella Fiorentina, poi sono stato vescovo di Piombino… Per esempio gli storici Piombinesi erano criticissimi.

Non conoscevo molto bene questo fenomeno, che comunque è certamente molto complesso e interpretato in maniera diversa e anche trasversalmente (in ambito politico). Conosco degli uomini di sinistra che ritengono che non si sia trattato di qualcosa che ha offeso gli ebrei, ma piuttosto di un movimento insurrezionale come tanti altri di quel periodo. Qualcosa che non aveva niente di clericale…

-Confesso che ho cercato di raggiungere una certezza in merito, ma non ci sono riuscito. Me ne sarei occupato volentieri, anche dal punto di vista giornalistico, ma non ho trovato elementi sufficienti per sposare una tesi anziché l’altra. Per un momento vado oltre il ruolo dell’intervistatore per esprimere un mio parere e dirò che nell’incertezza, forse, sarebbe stato meglio soprassedere.-

Però oggi la lapide c’è e toglierla ora sarebbe un segnale sotto al quale si potrebbe leggere chissà che cosa. Come Chiesa sarei piuttosto favorevole anche a promuovere dei convegni di studio molto approfondito sul tema. Io stesso sarei il primo interessato a capire bene la verità.

-Lei mi stimola a promuovere qualcosa del genere, ci penserò… Ma passiamo ad altro: le sue radici affondano nel territorio fiorentino ed in un periodo particolare, anche per la Chiesa. Cosa pensa dell’esperienza di Padre Balducci?-

Padre Balducci l’ho conosciuto molto bene. Sicuramente è uno degli uomini che in quei tempi hanno portato il pensiero cristiano ad una sintesi non indifferente. Il cardinale Dalla Costa aveva una grande fiducia in padre Balducci, anche se ogni tanto doveva difenderlo in certe sue esuberanze. Credo che se questo gruppo di persone cui facevano riferimento Balducci e la rivista Testimonianze, non si fosse sentito in qualche modo messo da parte dalla Chiesa, noi avremmo avuto un arricchimento non indifferente dalla loro esperienza.

Poi è vero che da parte di alcuni Balducciani sono state prese delle posizioni molto forti, anche nel periodo dell’Isolotto. Forse non era il caso che si identificassero molto o del tutto con quell’esperienza. Però riletto storicamente, quel periodo credo che assegni responsabilità sia all’una che all’altra parte. Certamente i fermenti di Balducci, La Pira, Barsotti, Meucci, Padre Turoldo, padre Giovanni Vannucci sono stati qualcosa di importante. Questi erano grandi uomini e non soltanto dal punto di vista umano, ma anche cristianamente parlando…

Ricordo che una volta facevano delle critiche atroci a Balducci e il cardinale Dalla Costa lo mandò a chiamare. Gli disse: ”Padre Ernesto, di lei dicono cose terribili, ma io voglio sapere soltanto una cosa: lei vuol bene al Signore?”.

“Ma certo,” Rispose Balducci “Mi sono fatto frate per quello!”

“Allora basta, va bene così.”

-Evidentemente c’era una stima profonda, altrimenti non sarebbe bastato…-

Sì, sì. Io vengo da quella Chiesa lì e quelle sono le mie radici.

-Il numero dei fedeli nelle chiese aretine pare essere in calo. Questo corrisponde al vero?-

Penso anch’io che ci sia un calo. Purtroppo si tratta di un fenomeno generalizzato, soprattutto nella nostra Toscana. Corrisponde ad un calo presente anche nelle vocazioni.

Anche se da un punto di vista socio-religioso la diocesi di Arezzo – Cortona - San Sepolcro rimane una delle diocesi toscane con più presenze nelle Chiese.

-E i giovani? Si avvicinano numerosi alle parrocchie o vivono la Chiesa come una cosa lontana?-

Viviamo anche noi questo dramma. Abbiamo quasi tutti i ragazzi fino ai tredici/quattordici anni, poi avviene questo “divorzio” e la maggior parte di loro se ne va.

Viviamo in una società talmente secolarizzata per un verso e consumistica per l’altro, che i ragazzi sono trascinati dalla corrente. Sono pochi quelli che riescono a risalire questa corrente, eppure ci sono: basta vedere quelli che partecipano alle iniziative proposte dalla pastorale giovanile della diocesi, come il pellegrinaggio della croce, che sta toccando tutte le parrocchie.

Devo comunque dire che appena hanno la possibilità di fermarsi ed entrare in se stessi, i ragazzi tornano a porsi delle domande di senso. Da dove vengo?, dove vado? E’ necessario seguire la Chiesa per essere cattolici?...

-Può dirmi una priorità per la diocesi da affrontare a breve scadenza?-

Le priorità sono molte… Ma forse la cosa di cui abbiamo più bisogno è di persone che rispondano alla chiamata del Signore.

Se in Italia si è salvata un’esperienza cristiana diffusa lo si deve alle parrocchie e quindi ai nostri preti. Il fatto che nella nostra diocesi l’età media dei sacerdoti sia di settant’anni, fa sì che sia necessario scommettere sulla pastorale giovanile e su quella vocazionale.

In Italia è stata fatta un’inchiesta scientifica con la quale si è potuto dimostrare che un 20% dei giovani tra i tredici ed i sedici anni si sono posti il problema della vocazione. Vocazione come qualcosa di bello per gli altri. Se molti di loro non sono approdati al sacerdozio, forse è accaduto perché non hanno trovato chi gli ha fatto la proposta o è mancato, nelle parrocchie, quell’humus adatto. Però questo lo dico in positivo.

Il fatto che nel cuore di tanti giovani ci sia stato il porsi questo problema, vuol dire che nella figura e del Prete c’è ancora qualcosa di attraente.

-Cambiamo totalmente argomento: cosa ne pensa del Codice Da Vinci?-

Il Codice da Vinci è un romanzo. Lo stesso autore scrive in premessa che si tratta di una storia di fantasia. Penso che sia assurdo che una storia dichiaratamente di fantasia sia diventata un codice di veridicità storica sulla vita di Gesù Cristo. Sappiamo tutti che le fonti storiche sulla vita di Gesù Cristo sono tutte altre e sono state molto approfondite in campo cattolico.

Ho letto il libro perché dovevo dare delle risposte su alcuni perché, ma la prima cosa che ho visto è stata la premessa che citavo prima.

-Che rapporti ha con l’Opus Dei?-

Vorrei dire che non appartengo ad alcun movimento e sono soltanto dell’Ordine di San Pietro, cioè membro della Chiesa universale.

Per me l’Opus Dei è un movimento come altri. Io sono il pastore di questa diocesi e come Vescovo devo accogliere e promuovere tutte le associazioni ecclesiali che sono sorte dopo il Concilio Vaticano II.

-Negli ultimi tempi la diocesi aretina ha dovuto fare i conti con un grave caso di pedofilia. Avete preso dei provvedimenti affinché casi simili non si ripetano?-

Siamo rimasti sconvolti da questa cosa. Non è un caso che abbia incontrato le famiglie che sono state toccate dal fatto. Fin da subito ho preso tutti i provvedimenti canonici necessari. Il caso è stato presentato al Santo Padre che è a conoscenza di quanto accaduto. Colui che ha commesso quegli atti terribili è stato prima sospeso a divinis e poi ridotto allo stato laicale. Inoltre sono andato nelle comunità ed ho parlato con le persone del posto, anche alla casa del popolo. Infine è bene ricordare che oggi le parrocchie interessate dal caso sono state affidate a due sacerdoti d’esperienza che stanno svolgendo un’importante opera pastorale.

Non abbiamo agito come è successo in qualche caso in America, dove hanno spostato qualcuno da una parrocchia all’altra.

-Cosa ne pensa delle vicende di spionaggio che hanno coinvolto la chiesa Polacca in questi giorni?-

Che si tratta di vicende molto, ma molto pesanti. Un giudizio è difficile. E’ una Chiesa che è passata per una grandissima sofferenza, anche per una persecuzione pesantissima. Ci sono vescovi che sono stati in prigione. Mi sembra che la richiesta della Santa Sede, di avere le carte su tutti, stia a testimoniare della volontà di trasparenza della Chiesa. Poi sarà il Papa a decidere.

-Vuol mandare un saluto agli aretini dalle colonne virtuali di Arezzo Notizie?-

Agli aretini voglio dire che sono molto affezionato a questa Chiesa. Ci ho speso tante energie. Ormai mi sembra di essere vissuto sempre ad Arezzo. Talmente sono immerso nei problemi della nostra terra, della nostra gente, soprattutto di quella che soffre di più, che mi sento aretino.

NB: la foto a corredo dell'articolo risale al giorno in cui Bassetti salutò gli aretini (diretto a Perugia) nella cappella della Madonna del Conforto.

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