Grazie a La Nazione e al collega Salvatore Mannino, quasi ogni giorno apprendiamo il contenuto di una parte della relazione sfornata dal commissario liquidatore sulla gestione degli ultimi anni della vecchia Banca Etruria. Anche a voler essere comprensivi, il quadro che ne esce è quello di una gestione scriteriata e senza senso, a meno che non si consideri sensato l'interesse personale o degli amici degli amici di una parte degli amministratori.

E' triste prenderne atto, ma se il commissario Santoni ha fatto il suo lavoro correttamente, e al momento non pare che sussistano elementi per asserire il contrario, quel che è accaduto è davvero sconcertante.

Quando si parla della liquidazione milionaria dell'ex direttore Bronchi si parla di quisquilie forse in parte figlie dell'ignoranza e dell'ingenuità, ma quando si tirano in ballo, e Santoni lo fa con tanto di cifre, le percentuali dei fidi concessi e finiti poi a incaglio o sofferenze, vengono i brividi. In due numeri c'è la fotografia di un intero quadro.

Se è vero che mediamente il 40% dei crediti finivano in sofferenze, è anche lecito chiedersi il perché di tanto scempio, visto che la media nazionale si aggira intorno al 22-24%. Se poi si considerano i fidi concessi a vari amministratori o ad aziende nell'ambito dei loro interessi, si arriva a circa il 57% di incagli o sofferenze, una percentuale spaventosa.

Da certi numeri gli amministratori e l'alta dirigenza della vecchia Banca Etruria escono con le ossa rotte, ed è del tutto normale che tra poco arrivino sulle spalle dei protagonisti richieste di risarcimento per centinaia di milioni (lo ha anticipato nei giorni scorsi il presidente Nicastro al Corriere della Sera); anche se sarà difficile, quasi impossibile, recuperarli.