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Redazione

Il ricordo della professoressa Bresciani nelle parole di Merelli in Consiglio Comunale

Chi di noi non ha mai avuto a che fare con un insegnante magari ritenuto duro durante le lezioni e poi ricordato con affetto e riconoscenza una volta finito il ciclo scolastico che lo o la riguardava? Pochi e quei pochi non sono stati fortunati. ...

Chi di noi non ha mai avuto a che fare con un insegnante magari ritenuto duro durante le lezioni e poi ricordato con affetto e riconoscenza una volta finito il ciclo scolastico che lo o la riguardava? Pochi e quei pochi non sono stati fortunati. Andreina Bresciani, già militante del MSI (Movimento Sociale Italiano), è stata questo per molti studenti del liceo Classico di Arezzo di alcune decine di anni fa (anche se aretina non era). Adesso che è scomparsa ultranovantenne Alberto Merelli, assessore della Giunta Ghinelli, l'ha ricordata nel corso della prima seduta utile del Consiglio Comunale. Le sue parole mi sono parse particolarmente toccanti ed efficaci, quindi ho acquisito il testo del discorso e lo pubblico qui di seguito, omettendo soltanto l'introduzione relativa al secolo scorso, soprattutto per brevità.

"Se Basovizza richiama con orrore e indignazione alla mente degli italiani il famigerato pozzo della miniera, finalmente monumento nazionale dal 1992 , luogo simbolo delle foibe giuliane, nell’ex poligono di tiro militare vicino all’Osservatorio astronomico si trova un altro monumento, nei pressi del quale le autorità slovene ogni anno celebrano i loro eroi.

Chi è nato e si è formato in quel Novecento in nuce ne ha avuto il carattere e la tempra morali segnati per sempre. Andreina Bresciani lì si era formata e il suo sguardo acuto, profondo, penetrante non ha mai cessato di riflettere quel densissimo nucleo di senso storico e di restituirne a chi lo incrociasse una versione tanto di parte, quanto irrefutabile.

Lo sapevano o lo intuivano i suoi devotissimi alunni, lo sapevano coloro che condividevano le sue coerenti, tetragone scelte politiche, lo sapevano coloro che le osteggiavano.

Il padre di Andreina, l'ingegner Carlo Bresciani, e l'amica più intima di Andreina, Norma Cossetto, sua compagna di liceo a Gorizia, di camera e di ideali negli studi universitari patavini, furono infoibati rispettivamente nel secondo (1945) e nel primo (1943) dei due cicli di esecuzioni sommarie e di violenze inaudite subiti dagli italiani a opera delle bande slavocomuniste titine.

Sulla morte dell'amica, Andreina dovette anche testimoniare e riferire in occasioni diverse, non senza strascichi di polemiche. Quella Norma Cossetto che ricevette la laurea post mortem su iniziativa del Rettore dell'Università di Padova, il latinista illustre Concetto Marchesi, maestro proprio di Andreina Bresciani oltreché della stessa Norma ed esponente dell'antifascismo e del Partito Comunista Italiano.

Il secolo breve intorno ad Andreina Bresciani, tragico e contraddittorio. Il padre e l'amica carissima di Andreina Bresciani: una parte di lei nella voragine dell'orrore delle foibe. Periit pars maxima nostri. Dalle tenebre delle foibe e del Novecento veniva ad Andreina Bresciani la capacità di intuire subito, senza esitazioni, con un lume morale (mai moralistico) e politico infallibile, dove si annidassero ambiguità, compromessi al ribasso, vizi privati contrabbandati per pubbliche virtù, slogan che mascherano l'assenza di pensiero, false modestie che nascondono autentiche arroganze, cascami culturali che imbellettano abissi di ignoranza.

Una lezione di vera politica, valida anche e soprattutto per l'oggi.

Questo il suo contributo nel decennio che la vide amministrare la città di Arezzo, ancorché all'opposizione, perché, come ammonisce Kant, è all'opposizione che si forgia il pensiero. Arezzo che non era la sua città, ma, senza sentimentalismi né localismi, lo era pienamente diventata. Un decennio che si conclude all’inizio degli anni ’70 con un evento per lei particolarmente significativo, a Osimo, nei pressi di Ancona, il governo italiano e quello jugoslavo sigleranno un accordo che sancisce il definitivo superamento del Territorio Libero di Trieste, riconoscendo l’appartenenza della ex Zona A all’Italia e della ex Zona B alla Jugoslavia.

Un capitolo chiuso, ma come si può chiudere la storia, che non si chiude mai e continua inesorabile a lacerare le coscienze e le memorie. Con la coscienza e la memoria lacerate, Andreina Bresciani fece dunque opposizione nel Consiglio comunale di Arezzo, militando fieramente nelle fila dell'allora Movimento sociale italiano, dopo avere ricevuto un migliaio di preferenze dagli aretini.

Andreina Bresciani fece opposizione, nel Comune di Arezzo, da questi scranni, con quel carico di giudizio morale e politico nella coscienza che le impediva di nascondere, di tacere, di edulcorare, di abbassare lo sguardo o di voltarsi dalla parte opposta, quando fa comodo.

Andreina Bresciani era infatti una donna di confine.

Lo era per il territorio che la vide nascere, lo era per l'esperienza tragica di cui s'è detto e lo era per indole, sempre in un difficilissimo, ma personalmente riuscitissimo equilibrio tra opzione per l'ordine e inclinazione alla libertà assoluta, perfino alla dissacrazione, tra fede religiosa profonda e riconoscimento della peculiarità dell'umano in tutti i suoi risvolti, tra dedizione allo studio severo e austero e gusto per la dimensione popolare della cultura, tra fedeltà al classico e passione per il moderno, tra retorica e antiretorica, tra elitarismo e sensibilità sociale, tra selezione e partecipazione, tra regole ed eccezioni.

L'intelligenza mobile, ma non mimetica di Andreina Bresciani teneva tutto insieme. Le gesta di Cesare e la morte di Cecilia, insieme. Perché poi, oltre la politica, più della politica, c'è la scuola di Andreina Bresciani, la sua vera azione politica. Andreina Bresciani faceva senz'altro politica a scuola, senza indottrinare nessuno, insegnando ad essere liberi. Andreina Bresciani non è stata una professoressa, è stata la professoressa. Lo è stata ben oltre l'aneddotica grata e affettuosa, un po' bozzettistica, che circonda il suo magistero leggendario nel Ginnasio del Liceo Classico “Francesco Petrarca”, dagli anni Cinquanta (vincitrice di concorso, non miracolata...) agli anni Ottanta, che ha formato generazioni di studenti tutti ugualmente devoti alla sua memoria. Lo è stata proprio per quell'essere di confine di cui ho detto, che le permetteva di entrare immediatamente in sintonia, alla prima intensissima occhiata, con interlocutori per definizione di confine, i suoi allievi, uomini in formazione, non (ancora) irrigiditi negli stereotipi sociali e del carattere. Andreina Bresciani odiava ogni stereotipo. Una cultura solidissima, inattaccabile, autenticamente classica, un carisma straordinario, una dedizione professionale assoluta, una severità e un rigore tanto poco negoziabili quanto empatici, mai arcigni, mai censori, mai umilianti, una didattica tanto apparentemente tradizionale quanto realmente innovativa (il confine, appunto), fatta di comunicazioni chiare, semplici, corrette, brevi, alte, di lettura quasi teatrale dei testi, e poi di impegno continuo e diretto degli studenti, nella traduzione, nella comunicazione, nell'elaborazione personale, nell'esercizio della memoria, dell'interpretazione e della critica. Un gioco mirabile e sapiente di presenza e assenza che faceva di Andreina Bresciani non una professoressa, ma la professoressa.

Maestra di vita, sì, come è stato detto, ma non perché dicesse cosa dovesse essere la vita e come e cosa dovessero essere e pensare i suoi alunni, ma perché lasciava essere.

Come sanno fare i grandi insegnanti.

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